Liu Xia. Sulla fotografia dei diritti umani
PIOMBINO 13 novembre 2016 -
“Come piedistallo avrete un letamaio e come tribuna un armamentario di tortura.
Non sarete degni che di una gloria lebbrosa e di una corona di sputi”.
E.M. Cioran
“Il diritto di avere diritti, o il diritto di ogni individuo ad appartenere all’umanità,
dovrebbe essere garantito dall’umanità stessa”.
Hannah Arendt
I. Sulla fotografia della libertà (1)
Quando ero bambino, mio padre m’insegnò a non piegare mai la testa di fronte alla brutalità di ogni potere e mi lasciò in sorte queste parole: “Un uomo ha diritto di guardare un altro uomo dall’alto, soltanto per aiutare ad alzarsi”.
Quando ero bambino, mia madre mi disse di non avere timore di piangere, né quando si ama né quando si soffre… mi disse anche di “Non aver paura di conoscere l’amore dell’uomo per l’uomo, ma di temere di non averlo incontrato mai!”.
Quando ero bambino, mia nonna partigiana mi regalò un cane bastardo (Spartaco), con queste parole: “Nella vita fa’ tutto quello che vuoi, ma quello che fai fallo sempre con amore e rispetto per l’altro, l’escluso, l’ultimo, lo straniero… il sorriso dei giusti consuma le bare degli stolti”.
Ai miei figli e ai loro figli lascio due o tre cose che so di ogni forma di potere: “In ogni generale, politico o profeta si cela un assassino e quando si erge a capo di un popolo, c’è un po’ più dolore nel mondo”.
La fotografia dei diritti umani esprime una teologia della liberazione o non è niente… è una fotografia in libertà che — ovunque lo spettacolo delle ideologie, delle fedi o dei mercati riduce l’uomo a suddito — si oppone all’avvenire del terribile, dilata il pensiero della dissidenza e lo riveste di dignità. “La teologia della liberazione che cerca di partire dall’impegno per abolire l’attuale situazione d’ingiustizia e per costruire una società nuova, deve essere verificata dalla pratica dello stesso impegno… Tutte le teologie politiche della speranza, della liberazione, della rivoluzione, non valgono un gesto di solidarietà autentica con gli uomini, con le classi e con i popoli oppressi. Non valgono un atto di fede, di carità e di speranza, che si pone nella partecipazione attiva per liberare l’uomo da tutto quanto lo disumanizza“ (Gustavo Gutierrez) (2), gli impedisce di vivere secondo la propria volontà.
Il bene, il giusto, il buono o il bello non si possono cancellare con un esercito, la Borsa, i partiti e il diritto della forza, ma difesi con la forza del diritto… anche la riduzione dell’uomo a puro soggetto di bisogni delle democrazie consumeriste o servo impaurito dei regimi comunisti è parte di una civiltà dello spettacolo che è la fata e la strega della vita socialmente dominante. ”Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto fra individui, mediato dalle immagini” (Guy Debord) (3), è la ricostruzione materiale di una fenomenologia del male che mortifica i principi di libertà pubblica, spirito pubblico e pubblica felicità (Hannah Arendt) (4) e va delegittimata. La libertà è in ciascuno e non può essere mendicata né recisa. Tutti gli uomini nascono liberi e uguali, ma ovunque sono tenuti a catena.
La fotografia della libertà è un contenitore di segni dove la libertà d’espressione o la poesia della vita quotidiana rovesciata non è soltanto posta in difesa dell’umano ma è appartenenza alla libertà dell’umano. La fotografia delle passioni liberate “cuoce” i militari, i politici, i maestri e i santi della storia imposta in salsa piccante e li serve con le loro aureole fritte sulla tavola dei giusti e dei passatori di confine. Le briciole delle loro vestigia le riserva ai cani da guardia dell’informazione totale. I saperi della foto-grafia dominante li getta direttamente nelle macellerie dell’arte per tutti. “La passione non ottiene mai il perdono… i diritti civili sono in sostanza i diritti degli altri” (Pier Paolo Pasolini) (5). Gli uomini hanno sempre interpretato i fasti della fede, della morale, della ragione unica, si tratta ora di farli crollare, mostrare la vergogna del potere e renderla ancora più vergognosa.
L’immaginale della fotografia della libertà è sempre una finestra aperta sul mondo e una fotografia, quando è grande, contiene il ritratto di un’epoca, pone fine alla concezione “aristocratica” della politica dell’inganno. È deplorevole per l’educazione della gioventù che la storia della fotografia sia sempre stata scritta da gente che la fotografia del dolore non ha ammazzato. Non ci sono guerre giuste né guerre umanitarie o guerre di religione che possono giustificare le predazioni dei paesi ricchi contro i popoli impoveriti… la fotografia della libertà compensa con la dignità tutta l’impudenza e la mancanza di principi della vita dominata e denuncia le condizioni di schiavitù nelle quali versano gli ultimi della terra. Andare in direzione ostinata e contraria significa restituire agli invisibili, gli esclusi, i perseguitati lo statuto di uomini liberi, fare di quelle vite perdute anime salve (Don Andrea Gallo) (6). Quando non c’è nessuna speranza, non c’è nessun futuro.
La pace si fa con la pace. Chi semina pace raccoglie la pace. Toccare la pace significa disertare i codici, i valori, i credi comunicazionali che fanno spettacolo di sé… una comunità consapevole chiede la pace e l’educazione alla pace comincia con il ripudiare la guerra e rivendicare i diritti dell’uomo. Non esiste un uso buono o cattivo della libertà d’espressione, soltanto un uso insufficiente o inutile di essa. Quand’anche possedessi tutta la ricchezza degli uomini, avessi lo spirito libero degli antichi poeti e parlassi la lingua degli angeli, se non ho l’amore non sono niente.
Nota a margine. Nell’epoca della Rete (il più grande spazio pubblico che l’umanità abbia mai conosciuto) non è più possibile sostenere la menzogna né impedire la libera circolazione delle idee e il disvelamento dei soprusi. L’agorà virtuale induce a un’espansione dei diritti alla sfera pubblica e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione affidano il compito di costruire dal basso nuove forme di democrazia partecipata. Le rivolte popolari, in ogni parte del mondo, annunciano la caduta di regimi secolari e richiedono il diritto di far circolare — liberamente — attraverso la Rete pensieri, scritti, immagini… creare occasioni di redistribuzione dei saperi per non cedere alla passività e alla sottomissione. “La rivoluzione dell’eguaglianza, mai davvero compiuta, l’eredità difficile, la promessa inadempiuta del secolo breve, è oggi accompagnata dalla rivoluzione della dignità. Insieme hanno dato vita a una nuova antropologia, che mette al centro l’autodeterminazione delle persone, la costruzione delle identità individuali e collettive, i nuovi modi d’intendere i legami sociali e le responsabilità pubbliche” (Stefano Rodotà) (7). Tutto vero. La fame di democrazia ha spinto persone di ogni estrazione sociale a protestare per il rispetto dei diritti più elementari dell’uomo e cambiato la consapevolezza di molti con la compassione, il sacrificio, il coraggio e la gentilezza, anche… gettato le basi per la rivoluzione dei beni comuni.
La fotografia dei diritti calpestati in Cina (ma questo vale per tutti gli stati ossessionati dai bilanci e di controllo sociale, anche di quelli che si dipingono democratici) espressa dalla fotografa Liu Xia, non lascia spazio a fraintendimenti… o si è complici degli oppressori o ci si schiera a fianco dei partigiani della libertà. L’aveva già scritto Alexis de Tocqueville nel 1847 (prima che il Manifesto dei comunisti di Marx ed Engels divenisse la Bibbia illusoria dei proletari di tutto il mondo e delle dittature fameliche che l’hanno applicata) (8) così: “Ben presto la lotta politica si svolgerà tra coloro che possiedono e coloro che non possiedono: il grande campo di battaglia sarà la proprietà, e le principali questioni della politica si aggireranno intorno alle modifiche più o meno profonde da apportare al diritto dei proprietari” (9). Qualcuno però aveva compreso ancor prima che la proprietà è un furto e nel 1840 scriveva: “La concezione economica di capitalismo, quella politica di governo e quella teologica di Chiesa sono tre concetti identici, collegati in modi differenti. Attaccare uno solo di loro equivale ad attaccarli tutti. Quello che il capitale fa al lavoro, e lo Stato alla libertà, la Chiesa lo fa allo spirito. Questa trinità di assolutismo è rovinosa nella pratica tanto quanto nella filosofia. I mezzi più efficienti per opprimere il popolo sarebbero simultaneamente sopprimere e schiavizzare il suo corpo, la sua volontà e la sua ragione” (Pierre Joseph Proudhon) (10). Il fatto è che ogni politica, ogni fede, ogni speranza deposta negli profitti della civiltà consumerista e di quelli delle ideologie totalitarie sono forme di terrore, tanto più spaventose quando ne sono fautori i paladini dell’ordine costituito.
Là dove il sistema utilitarista ha creduto di plasmare le folle all’obbedienza e l’autocrazia industriale si è resa complice delle politiche di repressione dei governi occidentali e dei regimi comunisti, i segnali di un’altra rivoluzione sono in atto… circolano in cieli incontrollabili della Rete e disseminano ovunque l’antica concezione foureriana della lotta allo Stato per l’ascesa all’emancipazione dell’Uomo in un nuovo mondo amoroso (11)… per questa fratellanza egualitaria è deprecabile vedere la continuazione dello sfruttamento dei deboli da parte dei forti e che la sopraffazione dei diritti fondamentali dell’uomo dibattuti intorno ai “grandi tavoli” televisivi da coloro che sono i responsabili di queste catastrofi… la fratellanza egualitaria della Rete dice che la libertà è una condizione indispensabile per raggiungere chi la libertà non l’ha mai avuta e l’esercizio della libertà taglia i collari degli oppressi e le sostituisce con i vincoli sociali di reciprocità… la bellezza della libertà non è la conquista, ma la distruzione dell’economia oligarchica/parassitaria (12) in favore della decrescita felice (13) e rilocarizzare l’econonia e la vita.
La rivoluzione egualitaria infiamma le strade della terra e si rovescia nella Rete… lo scopo della rivoluzione egualitaria è consegnare la ricchezza sociale nelle mani dei creatori, dei costruttori, di fratelli e sorelle che organizzati in libere associazioni distribuiranno equamente ai cittadini… il consiglio federale sarà la voce di tutti e in questa situazione di non-comando lo Stato non avrà ragione d’essere, e il governo del futuro sarà espressione delle volontà di giustizia e libertà espresse dai cittadini (14). La Rete dunque è una cosmogonia di linguaggi, una specie di specchio ustorio capace di incendiare gli animi in ebollizione di uomini e donne che vogliono farla finita con la violazione dei diritti umani… la Rete partecipa al progresso culturale della Comunità libera a venire… lo scatenamento dei linguaggi tecnologici, in particolare, è un processo di libera creazione che contribuisce a destare le coscienze popolari, promuovere altre visioni dell’esistere e la costruzione di democrazie dell’uguaglianza.
II. Di Liu Xiaobo, Premio Nobel per la pace,
in carcere perché attivista e difensore dei diritti umani
Liu Xiaobo (Changhcun, Cina, 1955) è il marito della fotografa Liu Xia… critico letterario, scrittore e docente cinese… attivista e difensore dei diritti umani in un Paese dove gli uomini e le donne non valgono nulla e il Partito tutto. L‘8 dicembre 2008 Liu Xiaobo è stato arrestato a causa della sua adesione al Manifesto Charta 08, di cui è il primo firmatario, e detenuto in un luogo segreto, sebbene l’arresto sia stato formalizzato solo il 23 giugno 2009. L’accusa è quella di “incitamento alla sovversione del potere dello stato”. Dopo un anno di detenzione, il 23 dicembre 2009 si è svolto il processo e il 25 è condannato a 11 anni di prigione e a due anni di interdizione dai pubblici uffici. La sentenza è stata confermata in appello l’11 febbraio 2010.
L’8 ottobre 2010 Liu Xiaobo è insignito del Premio Nobel per la pace «per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina» (15). È il primo cinese a ricevere un premio Nobel mentre risiede in Cina, ed è la terza persona ad avere questo riconoscimento mentre si trova in prigione, dopo Carl von Ossietzky (1935) e Aung San Suu Kyi (1991) (16). Charta 08 (17) è un manifesto sottoscritto il 10 dicembre 2008, anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1048), da 303 intellettuali e attivisti per i diritti civili allo scopo di promuovere riforme politiche volte alla democratizzazione della Repubblica popolare cinese e pubblicato in Rete. Qui si legge: “Il potere si è ripiegato su se stesso al punto che il cambiamento non può più essere evitato… La Cina oggi rimane l’unico grande paese guidato da un regime autoritario, responsabile di numerose violazioni dei diritti umani… La situazione deve cambiare! Le riforme politiche democratiche non possono più aspettare” (18). Va detto. La dittatura comunista cinese (ma anche quella russa è della medesima risma) si fonda sull’ingiustizia, dove l’agonia di un essere si nutre dell’agonia di un altro essere. I ceppi del potere rendono l’aria irrespirabile e ai dissidenti tolgono tutto, tranne la libertà di sopravvivere in un campo di lavoro o marcire in galera… gli affaristi rampanti o i quadri di partito muoiono “eleganti” (19) in abiti griffati Armani, incapaci di comprendere la felicità, l’onestà, il rispetto e l’amore tra gli uomini.
L’attività di Liu Xiaobo in difesa dei diritti umani è coraggiosa… quantomai efficace… si laurea all’università dello Jilin nel 1982 e nel 1984 prende la laurea magistrale all’università di Pechino. Espone le sue idee pacifiste alla Columbia University (USA), all’università di Oslo (Norvegia), all’università delle Hawaii (USA)… nel 1989 si trova negli Stati Uniti, quando scoppia la protesta di piazza Tienanmen torna in Cina a fianco degli studenti in rivolta… per evitare che denunciasse il massacro degli insorti operato dall’esercito, il professore viene incarcerato e accusato di propaganda e istigazione controrivoluzionarie. Va ricordato che il politico Zhao Ziyang, fustigatore della burocrazia e della corruzione del suo Paese, fu l’unico tra i quadri del partito che si oppose al massacro di Tienanmen e questo gli costò l’arresto e il confino fino alla morte (1985). A giudicare dal proprio successo contro i dissidenti, il terrore cinese è di prima qualità, si è specializzato nel colpo di grazia.
Nel 1996 Liu Xiaobo è condannato a trascorre tre anni in un campo di rieducazione (Laogai) per aver criticato attraverso il Web la politica dissennata del Partito Comunista e recato “disturbi alla quiete pubblica”… i suoi scritti sono vietati in Cina e persino il suo nome è censurato. Tuttavia l’attività umanitaria di Liu Xiaobo ha trovato approvazioni e considerazioni nella cultura internazionale. Nel 2004 Reporters sans frontières lo ha insignito del Premio “Fondation de France”, per la sua opera di irriducibile difensore della libertà di stampa. Va ricordato che il governo cinese ha oscurato la diretta televisiva del Premio Nobel (definendo il riconoscimento a Liu Xiaobo un’“oscenità”), messo agli arresti domiciliari la moglie Liu Xia e tutti i membri della sua famiglia. In questo stato di isolamento i mass-media stranieri sono stati privati di ogni informazione su Liu Xiaobo, una delle menti più lucide della Cina.
Il fanatismo comunista cinese, che è una catenaria di falsi assoluti, una successione di angherie innalzate a pretesti e giustificazioni dell’ordine imperante, non è riuscito però ad impedire che l’opera fotografia di Liu Xia abbia divelto confini e barriere e mostrato che l’intolleranza è responsabile di tutti i crimini impuniti (fino ad ora) di una minoranza al potere… sotto ogni direttiva del comitato centrale cinese giace un cadavere che ha lottato per la libertà. Quando ci si rifiuta di riconoscere i diritti fondamentali dell’umanità, scorre il sangue. Non è facile distruggere gli idoli e quando qualcuno dice di parlare a nome del popolo è sempre un impostore o un boia. La liberazione arriva quando gli uomini e le donne rifiutano di dare al potere ciò che di solito gli viene concesso per farlo esistere.
L’abolizione della tirannia passa dalla rottura del potere col sacro e dall’utopia concreta che nella ricerca della dignità, della verità e dell’amore tra le genti vede la maggior felicità per il maggior numero. “Nessuno educa nessuno. Nessuno si educa da solo. Le persone si educano nel dialogo e nel cammino della libertà” (Paulo Freire) (20). L’obbedienza non mai stata una virtù. La società diseguale è un fallimento pianificato e la sua recessione inevitabile… la malvagia distribuzione della ricchezza non ha scampo e le campagne elettorali sono farse nemmeno interpretate bene… i governanti sono sempre più sfidati dalle richieste popolari di mutuo appoggio e partecipazione democratica alla cosa pubblica, non hanno mai compreso che condivisione e fraternità s’imparano facendole. Quando a sognare è un uomo soltanto, resta solo un sogno, ma quando il suo sogno si trascolora nel sogno di tanti diventa storia.
III. Sulla fotografia dei diritti umani
La fotografia dei diritti umani o dell’esistenza di Liu Xia (Pechino 1959) comincia con il riconoscimento della ragione di fronte alla realtà ferita a morte… opera uno spaesamento estetico ed etico dell’immagine fotografica e restituisce la percezione della dignità dove è stata schiacciata… il diritto alla dignità è inviolabile, non è negoziabile, non ha prezzo, su di essa lo Stato non ha nessun potere (se non quello di reprimerla). Restituire dignità individuale e sociale agli umili e agli oppressi vuol dire “riconoscerla anche al peggiore dei carnefici, al più efferato degli aguzzini è la migliore risposta possibile alla logica dell’odio, dello sterminio, del genocidio, traccia un solco invalicabile fra la cultura della vita e il dominio della morte” (Moni Ovadia) (21). È la dignità dei perseguitati che sconfiggerà ogni manifestazione di violenza e getterà le lingue della tirannia, del privilegio, della brutalità, dell’arroganza nella polvere della storia. Il movimento dei diritti civili non ha certo realizzato il sogno di Martin Luther King (22), ma prodotto profondi cambiamenti nella coscienza delle persone, a cominciare dai poveri… le azioni di disobbedienza civile che ne sono seguite alla fine sono riuscite ad abbattere diffidenze, barriere, discriminazioni e a produrre maggiori libertà. Quando i governi cominciano a perdere il consenso, vuol dire che le proteste sono state efficaci.
Ogni immagine presa alla storia della violenza (come quelle di Liu Xia ) corrisponde a un tipo di felicità da conquistare… i fotografi della libertà sono testimoni o poeti che ci insegnano a riflettere, a non dimenticare… ci nutrono con le loro immagini grazie alle quali possiamo vedere di che materia sono fatti i nostri sogni… la coscienza e la conoscenza di questi corsari della fotografia del vero e del bello disertano tutte le discipline dei linguaggi figurativi, spalancano le gabbie della realtà condizionata affinché l’umanità non rinunci all’innocenza del divenire. La fotografia dei diritti umani fiorisce in affrancamento ai rivolgimenti e ai mutamenti sociali che sfuggono al controllo delle classi privilegiate… combatte le strutture del dominio, del sapere e della tecnica e deplora il cattivo uso della politica come museruola a una vita dignitosa… ogni potere è per sua natura cannibale e la civiltà che ha fondato è una congiura ordita dai potenti per perpetuare le loro violenze e proteggere le loro rapine… la fine dell’ineguaglianza è la spinta che muove le giovani generazioni alla lotta per la libertà non avrà mai tregua sino a quando gli uomini tutti non godranno della medesima libertà… principio e fine di ogni filosofia/politica è la libertà.
Liu Xia è fotografa, poetessa, pittrice… ha lavorato presso l’ufficio delle tasse a Pechino… attivista dei diritti civili e interprete indocile della scena culturale cinese… nel 1980 conosce Liu Xiaobo e lo sposa prima che lo destinano in un campo di rieducazione, colpevole di “attività sovversive contro lo Stato”. La forza silenziosa (23), dirompente, creativa di Liu Xia svetta in una raccolta di 25 fotografie in bianco e nero fatte tra il 1996 e il 1999, mentre il marito era (ancora una volta) in detenzione. La mostra delle opere fotografiche di Liu Xia è stata esposta negli Stati Uniti, presso l’Accademia Italiana di Studi Avanzati alla Columbia University… a cura di Guy Sorman, francese, sostenitore dei diritti umani, amico di Liu Xia e Liu Xiaobo (a lui si deve l’uscita “clandestina” delle immagini “proibite” di Liu Xia dalla Cina). La signora Liu continua la sua battaglia in maniera defilata, solitaria, discreta… le sue fotografie raccontano con grazia il dolore di un uomo e di un popolo e nel contempo accusano la casta del potere comunista in Cina (24). In occasione del Nobel per la pace al dissidente cinese, rilascia al New York Time questa dichiarazione: “Per tutti questi anni, Liu Xiaobo ha perseverato nel dire la verità sulla Cina e per questo, per la quarta volta, ha perso la sua libertà personale” (25). Non c’è nessuna dignità là dove si distrugge la dignità dell’altro.
L’abbiamo scritto altrove e lo confermiamo qui: La bellezza della fotografia coincide con la verità… il mistero della bellezza, in fotografia o in ogni altra forma d’arte è nel disimparare a morire nella società dello spettacolo o nei regimi comunisti… sapere che quanto viene fatto passare dalla schizofrenia dei media (che sono sempre in mano ai palafrenieri della politica) è menzogna o parzialità dell’informazione (cultura addomesticata) che riproduce il volere del potere in carica… la fotografia, anche, e da sempre, è una scatola delle illusioni che contiene i generi che le corrispondono (fotogiornalismo d’accatto, erotismo da supermercato, simbolismo razzista…) e non vale un goccia di sangue versato dall’uomo che chiede il rispetto di sé… la fotografia autentica accende la luce sulla dittatura dei bisogni, senza mai spegnere il fuoco della disobbedienza… acuisce le contraddizioni del sacro e rende pubblico l’oltraggio dei media (delle preghiere o dei fucili) affastellato contro gli ultimi, chi non si può difendere… fotografare significa rendere vera la propria vita, quando invece nulla è dato e tutto resta da costruire. Chi è profanatore di bellezza, odia la vita (26). L’unico tribunale (che riconosciamo) è il sorriso di un bambino e il sorriso di un bambino non si può comprare.
L’immaginario fotografico di Liu Xia si accorda alla filosofia dell’esistenza liberata dalle camicie di forza dell’ideologia e dai deliri di onnipotenza del totalitarismo… è uno spazio, una presenza, una metafisica poetica tesa a salvaguardare la dignità e la libertà dell’uomo. A leggere le sue immagini con attenzione si colgono le abrasioni che la fotografa affabula contro l’ingiustizia e la barbarie… le metafore acute, gli accostamenti metonimici, gli espedienti visivi (arnesi abituali dei surrealisti e dei situazionisti) esprimono comportamenti, torture, violazioni dei corpi e “cantano” una contro-storia dei culti, dei rituali, dei confessionali legati alla tragicità della realtà cinese. La fotografa usa con intelligenza allegorica bambolotti che gridano, picchiati, abbandonati tra mucchi di sedie di paglia, legati su una poltrona davanti a un libro aperto, impediti di giocare, avvolti fino a soffocare nella plastica, stritolati, devastati, massacrati da pugni indecenti o accolti da mani amiche… la critica radicale al potere è diretta, carica di sdegno, implacabile… i bastonatori dell’ordine non si vedono, si mostrano però le efferatezze, le violenze, gli orrori delle loro gesta e l’inveramento sprezzante del loro trattamento, che lo combattono, che lo negano… i fanatici dell’improbabile sono derisi e questo fare-fotografia “surreale”, tutto ciò che chiede è di affrettarne la fine.
La fotografia dei diritti umani di Liu Xia si oppone alla produzione della felicità generalizzata… si affranca con uomini, donne coscienti dei loro desideri di bellezza e di giustizia… rifugge il mondo percepito come rappresentazione della verità unica e fa della soggettività, dei sentimenti, dei piaceri una visione cosmica immaginata e immaginaria… il fascino poetico delle immagini così prese o costruite è collegato a universi nuovi che agiscono nel profondo con il fotografo che li fabbrica. L’immaginale dei diritti umani è una fotoscrittura pervasa dalla dolcezza e ci insegna a non dimenticare nulla dei nostri terrori… figura una metafisica delle opposizioni, anche le più estreme, e il potere nulla può contro le spinte della disobbedienza montante che sfuggono alla sterilità di un universo politico chiuso, incapace di capire (senza nemmeno un’oncia di stile) il fiorire dei geni che hanno seminato i germi della libertà ovunque, e non sapere mai che alla fioritura dei diritti umani segue il crollo degli imperi.
La costruzione di situazioni fotografiche di Liu Xia delegittima lo stato di fatto di un regime sprezzante, sanguinario, barbaro… a suo modo lo ridicolizza e lo rende fragile delle proprie paure, lo accusa di delitti sommari e lo rende ignudo a quanti credono nella resistenza sociale. Nell’opera fotografica della Liu Xia ci sono immagini di uno splendore creativo che vanno a toccare la coscienza dei contemporanei e dicono che i governi passano ma le loro devastazioni restano a memoria dei popoli che faranno della cultura della bellezza anche la fine della politica della prostrazione.
Entriamo a “gatto selvaggio” o a “volo d’aquila” nelle fotografie di Liu Xia. La lettura delle immagini è fortemente partigiana, sta con una parte, quella degli ultimi, degli esclusi, di chi non ha voce né volto, forse è perfino così libertaria che ci vede anche quello che non c’è… tuttavia la rivendichiamo come ricerca della conoscenza, libertà, democrazia partecipata e diritti dell’uomo. È una critica radicale di ogni autoritarismo e quando si uccide in nome di un dio, uno stato o un mercato malato di denaro, si leva il pugnale, o forse basta uno sputo. Il male è inutile, il bene no! Chi erige muraglie e incenerisce i libri nelle fiamme di un rogo, in entrambi i casi finisce per bruciare nel medesimo incendio (27).
Uno. Un bambolotto viene picchiato da un manichino con la testa di lampadina, difende una bambolina impaurita (a ridosso di un muro scuro, di una cella, forse), il suo grido però non è di soggezione semmai di rivolta. La fotografa mette a fuoco con esattezza il cuore dell’esecuzione e ciò che esce dall’immagine non è il senso tragicità ma il gesto di bellezza di chi porta in sé la giustizia del mondo. La bellezza del resto non è che la forma visibile della giustizia, diceva. Le dottrine muoiono a causa dei loro eccessi o delle loro consolazioni… l’intolleranza, la brutalità, il dispotismo sono le armi dei paurosi, dei minorati mentali, degli imbonitori che vengono a patti con il male che li corrode e solo ciò che li lusinga li rende forti… poiché la vita autentica è fuori da ogni idolatria e agli insorti del desiderio di vivere tra liberi e uguali il pudore di morire non manca, sono destinati all’ossario del sublime.
Due. Una serie di bamboline denudate sono accartocciate tra fili spinati… rimandano all’impietosità dei campi di sterminio nazisti… ridestano dolori passati e infamie mai dimenticate… vanno a colpire i catasti dell’indifferenza e insegnare i valori del giusto… il giusto è il nobile, il bello e il vero insieme… è la denuncia dell’idiozia e della violenza di Stato. Per quasi tutte le nostre libertà siamo debitori alle nostre irritazioni, all’esacerbarsi della nostre inquietudini, a prendere coscienza dei nostri supplizi e, ad ogni costo, impedire di vivere e morire in pace a coloro che insanguinano i diritti dell’uomo. Degno del nostro interesse è soltanto chi non ha alcun riguardo per il potere che lo reprime, ma per il disprezzo che porta alla secolarizzazione delle lacrime. L’infelicità non è un destino… essere degli incurabili che protestano significa affrancarsi ai valori di pace dell’uomo e contrastare — con tutti i mezzi necessari — la mistica del potere.
Tre. Uno gruppo di bamboline/donne senza volto, coperte dalla testa ai piedi da pezzi di stoffa scura, su fondo nero, anticipano di non poco le rivolte arabe… le facce bianche sono indecifrabili, appartengono a tutte le donne vessate della terra e sembrano avanzare verso il bello, il vero, il buono, il giusto della loro belligerante intelligenza. Insegnano a far buon uso dell’indignazione e ad incamminarsi verso la nascita di una nuova civiltà. La rivoluzione delle donne è una lezione di umanità, perché chi ama senza esaminare l’amore agisce in forza delle passioni e delle eresie che si porta nel cuore. C’è un ciarlatano in ogni santo, un criminale in ogni eroe, un imbecille in ogni militare che pensa che il rispetto dell’altro sta sulla punta del fucile (a memoria Mao Tse-tung). Quando le donne si sono prese la loro parte di piombo sulle barricate della Comune di Parigi (e di quelle a venire), hanno prefigurato gli uomini come ratti affamati di potere su cumuli di spazzatura. La giustizia esiste e si afferma soltanto grazie alla sconfitta del brutto come pratica dell’ingiusto… l’onestà è il pane spezzato con tutti e, più ancora, è il rinascimento di una civiltà dell’amore.
Quattro. L’immagine dell’innocenza violata è quella di un piccolo bambolotto vestito di bianco, chiuso in una specie di sfera di vetro e cerchi di metallo, non so… lo sfondo è nero… il bambolotto sembra arreso, vinto, sconfitto da una forza sovrastante… i piedini distorti sono appiccicati al vetro, cercano forse uno spazio vitale che non c’è… l’infanzia del pensiero viene recisa e i massacratori (che emergono nella loro assenza) sono gli aguzzini di una lunga agonia… i rantoli del bambolotto/bambino precedono i nostri e l’avvicinamento alla ferocia degli assassini tocca i furori delle nostre coscienze pulite. Le lacrime dei bambini (il bambolotto sembra quasi piangere) sono più leggere delle ali degli angeli, ma possono diventare pietre nelle anime belle che credono nella giustizia come esatta misura del bene comune.
Cinque. Una bambolina incartata in una sorta di kimono e una fascia sulla fronte semicoperta dai capelli (in un angolo buio) è di fronte ad una fila di libri… le braccia sono allargate, lo sguardo inclinato verso i libri è perplesso, incredulo… le allusioni alla cultura cinese come possibilità di uscita da un regime oppressivo sono dirette, credo… è un rimando alla memoria dei padri e alla loro eredità come risposta alla brutalità dei demagoghi e dei prepotenti… ogni potere intossica di ottimismo e inculca ai sudditi la fede in un sistema — ideologico o mercantile fa lo stesso — che lo sbriciola nella genuflessione… le collere degli ultimi non hanno ancora debuttato sul teatro della vita autentica e quando lo faranno infrangeranno le statuine di terracotta degli dèi, una volta per tutte… il consenso è una virtù da schiavi, la rivolta della bellezza una speranza da uomini liberi.
Sei. Un bambolotto grida dalla scaffalatura di una biblioteca che sborda dal nero (sfocata)… ha le braccia un po’ abbassate e lo sguardo rivolto contro le tenebre… figura la giusta collera che infiamma il vuoto degli esclusi, forse… è una ferita aperta del corpo che non accetta ritorsioni e reclusioni ma alleva il risentimento e la riparazione dei torti… indica la fine delle ubriacature del potere della menzogna e fa del marcitoio delle certezze il casellario della demenza in divisa… non c’è via di uscita finché l’intelletto resta prono all’ordine costituito… gli idioti da parata danzano sui loro resti e i saltimbanchi delle tribune evocano i profili malvagi delle loro medaglie al merito… s’illudono di essere immortali senza accorgersi mai l’approssimarsi della loro necessaria caduta. Di fronte all’ingiustizia impunita ogni frattura è sovrana… e il giusto è restituire il “dovuto” a quanti hanno sottratto la gioia di vivere.
Sette. Un bambolotto bianco è dentro una gabbia, lo sfondo è nero. Le braccia cercano di stringere le sbarre… si ha la sensazione di una sofferenza senza via di uscita ma, al contempo, s’intuisce la tentazione di rompere quelle sbarre… l’anticipazione di una libertà che si oppone alla rassegnazione… ci sono momenti nella storia in cui la resistenza, l’azione o la rivolta vengono vissuti come esigenze morali, etiche, esistenziali e le persone che si ribellano alle imposizioni che li tengono a guinzaglio si ergono a favore di una società libera e giusta per tutti gli uomini… poiché la loro utopia trabocca di vita vera, non ha altari né regimi da adorare, semmai da combattere… gli uomini, le donne sono stati protagonisti della propria emancipazione quando si sono liberati dalla dissolutezza del potere e dal ghigno di chi lo detiene. Di tutto quanto sulla terra è terribile si può farne a meno e nessuno più conosce la felicità dei padri se non partecipa alla caduta del male.
Otto. Alcuni bambolotti bianchi sono gettati su un piano scuro, lo sfondo è nero… ricordano non poco le fosse comuni del partigiani… proviamo le stesse emozioni, il solito sdegno mescolato alla rabbia per tanta bestialità… la luce che proviene dall’alto l’illumina teneramente, quasi a sfiorali… quei processi sommari evidenziano che una casta di saprofiti, una rappresentanza politica, un’orda di criminali è intrecciata in un sistema di relazioni economiche di scambio tra poteri pubblici e interessi privati… e in nome del mercato i governi dell’apparenza tacciono… fascismo non è dire ma impedire di dire. “La saggezza è l’ultima patria di una civiltà che si spegne” (E.M. Cioran) (28) e la brutalità l’ultimo rifugio delle carogne… la tentazione di esistere si afferma grazie ad atti di liberazione. La distruzione dei simulacri porta con sé quella dei pregiudizi.
Nove. Una bambolina vestita di bianco è sull’orlo del tetto di una capanna di legno (che non si vede)… la bambolina è rovesciata contro il cielo grigio, tagliato da nuvole bianche, una manina pare volerlo acchiappare… la testa è riversa nell’abisso o, meglio, in direzione dei suoi persecutori… la bocca è sgranata, grida nel vuoto… il precipizio l’attende, ma non c’è solo paura in questa immagine, c’è anche l’inversione di un destino millenario spezzato, di un’eredità mai voluta, di una dissipazione della bellezza mai accettata… lo splendore del vero annuncia il valore dell’offeso e il suo corpo si fa cielo e terra, spirito e carne, lacrime e sangue… più di ogni cosa è un’annunciazione laica che fa dell’arte del disprezzo la desertificazione dell’incoscienza dei dominatori: “La conoscenza del dolore si trasforma in conoscenza attraverso il dolore” (Michel Onfray) (29) e denuda la fatalità della tirannide. Il pudore della libertà muore con l’innocenza brutalizzata dalla storia. I cadaveri della verità si nascondono nei parlamenti, nelle bibbie o nelle merci, solo gli uomini e le donne dell’interrogazione che, per un eccesso di vitalità, sapranno decostruire l’ordine della violenza ed elevarsi verso quella bellezza che la libertà esige, sapranno trovare le risposte adeguate alla loro eversione non sospetta. Quando è vissuta sul sangue dei giorni, la vita acquista un’eccezionale carica di verità.
Dieci. Un bambolotto è posto tra due maschere cinesi grigie e due file di pentole rovesciate… ha un vestitino pulito, i piedi nudi… grida verso sinistra, la braccia sono aperte, accoglienti, quasi un abbraccio rivolto a quanti hanno subito solo cattiverie… questa immagine contiene, credo, il fulcro dell’indignazione della fotografa… è un ritratto di dolore, certo, ma non di sconfitta, il disturbo visivo è forte, surreale, anche… qualcosa di antico, di moderno e di materico s’intreccia e una sorta di piccolo Cristo inchiodato nell’anima in volo, stretto da due pentole sul tappeto… è connaturato col desiderio, per niente simbolico, di lasciare a quelli che s’incontreranno sulla sua strada in libertà, un diverso modo di abitare il mondo. Ideologie, polizie, chiese sono all’origine dell’orrore che si nutre del consenso generale… ma la forza della libertà è contagiosa e mostra che il divenire della bellezza, della fratellanza e della solidarietà sorge impetuosa alle periferie della terra.
Undici. L’immagine di una bambolina/donna coperta da un panno grigio su fondo nero (come in un sudario), è sconvolgente, di una bellezza senza tempo… contiene il riscatto delle donne della terra e nella sua regale immobilità respinge ogni pietà o incomprensione… ci fa capire che la nostra epoca ha forgiato la propria disperazione nella bruttezza e nelle convulsioni… “noi abbiamo esiliato la bellezza… i Greci per essa hanno preso le armi… La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei” (Albert Camus) (30). L’icona della Liu Xia è una metafora di resistenza sociale che rigetta l’obbligo di sottomissione al “diritto” delle armi… il gesto, la postura, lo sguardo celato dietro la tela… è una sfida all’autorità costituita e la rifiuta, diventa portatrice di un altro diritto, quello di vivere una vita più giusta e più umana. “Se i popoli si accorgessero del loro bisogno di bellezza, ci sarebbe rivoluzione nelle strade” (James Hillman) (31). Tutto vero. La politica della bellezza che fuoriesce da questa immagine austera (quasi sacrale) contrasta la bruttura dei poteri e lascia emergere il disagio che abita il valore degli insorti. Tremare di paura è facile, ma saper dirigere il proprio tremito contro il terrore dei potenti è un’arte di gioire, da qui derivano tutte le rivoluzioni della bellezza.
Dodici. Il ritratto di Liu Xiaobo è un capolavoro d’intensità poetica, eversiva. Il marito della fotografa è figurato contro il cielo bianco, appoggiato alla sinistra del fotogramma… su una spalla tiene il solito bambolotto che grida (verso sinistra) e l’uomo tiene altero con una mano (sinistra)… l’orologio sembra indicare la fine di un tempo morto e annunciare l’inizio di un tempo del disincanto che annuncia il diritto alla libertà… Liu Xiaobo guarda al futuro, sicuro di sé, quasi sprezzante, sembra dire che un potere muore quando non tollera le verità che denunciano il suo fallimento. La magia poetica di questa fotografia della Liu Xia riassume in sé le deformità e gioghi di un potere alla deriva… è un’esortazione alla riconoscenza di un genio che provocato emorragie di bellezza e dissidi incalcolabili… che ha sfidato l’impossibile per renderlo possibile, che ha demolito l’ineluttabile e la sua miseria, che ha disconosciuto inni e bandiere che si torcevano sotto un potere mai sazio di isterie… nessuna vita umana ha più valore quando non c’è più dignità morale/etica tra le persone e l’uso della libertà e il diritto di usarla per il bene comune è superiore al bene individuale e a quello di una nazione… nessun potere, in nessun modo, può decidere della vita di una persona e i fondamenti di giustizia e libertà sono il meraviglioso di una società eguale e giusta. Il genio comincia sempre col dolore.
La fotografia dei diritti umani o del risveglio di Liu Xia si affranca ai bisogni di libertà del più gran numero… dice che non può esserci società giusta senza persone che godono della libertà di pensiero, di opinione, di fare ciò che credono sia giusto fare… la coscienza del dovuto si dispiega ovunque si reprime il diritto alla fraternità, all’accoglienza, alla condivisione e la verità diventa il grimaldello eversivo di esperienze compartecipate che portano sulla scena della storia le utopie libertarie di infanzie interminabili… interrogare il potere dei suoi misfatti e restituirlo all’oblìo vuol dire chiedere ragione e cancellare le sozzure sulle quali si poggia, rinnovare l’insieme di fratellanze e solidarietà contro i traditori e i massacratori di speranze… le consorterie, i familismi, la criminalità organizzata dei governi despoti (o delle democrazie autoritarie) esprimono una cultura dell’espropriazione e vanno abbattuti.
Il risveglio delle coscienze è un richiamo alla vita autentica e la sola occasione per mettere fine al miscuglio indecente di terrori, banalità, costrizioni che i poteri forti architettano contro i popoli impoveriti e repressi. “In quasi tutto il mondo la disuguaglianza sta aumentando, e ciò significa che i ricchi, e soprattutto i molto ricchi, diventano più ricchi, mentre i poveri, e soprattutto i molto poveri, diventano più poveri. Questa è la conseguenza ultima dell’aver sostituito la competizione e la rivalità alla cooperazione amichevole, alla condivisione, alla fiducia, al rispetto. Ma non c’è vantaggio nell’avidità. Nessun vantaggio per nessuno. Eppure abbiamo creduto che l’arricchimento di pochi fosse la via maestra per il benessere di tutti” (Zygmunt Bauman) (32). Tutte le volte che i potentati hanno insinuato nella vita degli uomini i loro precetti di domesticazione sociale è stato per sfruttare lo smarrimento degli esclusi e farli precipitare nella rovina. Gli indesiderabili della terra sono alle porte dei palazzi e dicono che l’uomo non è stato capace soltanto di inventare i campi di sterminio, la bomba atomica, la catastrofe del pianeta o il terrorismo della Borsa, ma anche di inventare le rose (33).
I “valori” dei tiranni devono crollare di fronte al primato della coscienza e dei diritti della persona. La libertà politica è la spinta verso l’uguaglianza (34). Gli uomini non possono essere uguali né liberi se sono espropriati della loro libertà. La libertà non si concede, ci si prende. Si tratta di non dominare né voler essere dominati. Non c’è libertà né giustizia a pieno titolo dove anche a un solo uomo è sottratta la libera creazione della propria personalità. Il riconoscimento della persona, della sua umanità, dignità sociale non può essere ingannevole, ma sovrano… i falsi valori della tirannide divorano e prosciugano i diritti dell’uomo ma non possono impedire il legittimo mutamento che l’ondata delle disuguaglianze porta fino alla loro estinzione. Il diritto di avere diritti è un appello alla terra e a tutti gli uomini, le donne che continuano a lottare per la conquista di una dimensione dell’umano che si accorda con i diritti di bellezza, giustizia e libertà, apre il cammino della speranza del vivere bene, del vivere insieme e del vivere giusto in una una civiltà del rispetto e di pace.
1 Questo testo è stato scritto per il Festival del cinema dei diritti umani, Napoli 5/13 dicembre 2013. In occasione della nostra presentazione della mostra di fotografie di Liu Xia, La forza silenziosa, e pubblicato in Fotographia, novembre 2013, per gentile e coraggiosa ospitalità del direttore, Maurizio Rebuzzini. Le fotografie della Liu Xia erano state fatte uscire clandestinamente dalla Cina… e per la prima volta viste in Italia… il saggio non ha vincoli di Copyright, chiunque lo può usare, saccheggiare, tradurre in qualsiasi lingua, liberamente.
2 Gustavo Gutierrez, Teologia della liberazione, Queriniana,1972
3 Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1979
4 Hannah Arendt, La disobbedienza civile e altri saggi, Giuffrè Editore, 1985
5 Pier Paolo Pasolini, citazione a memoria
6 Don Andrea Gallo, Così in terra, come in cielo, Mondadori, 2010
7 Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, 2012
8 Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista, Einaudi, 2005
9 Alexis de Tocqueville, Ricordi, Editori Riuniti, 1991
10 Pierre Joseph Proudhon, Che cos’è la proprietà?, Laterza, 1978
11 Charles Fourier, Teoria dei quattro movimenti. Il nuovo mondo amoroso, Einaudi, 1971
12 Noam Chomsky, Siamo il 99%, Nottetempo, 2012
13 Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, 2008
14 Noam Chomsky, Il governo del futuro, Tropea, 2009
15 La motivazione del Premio Nobel: «Durante gli ultimi decenni la Cina ha fatto enormi progressi economici, forse unici al mondo, e molte persone sono state sollevate dalla povertà. Il Paese ha raggiunto un nuovo status che implica maggiore responsabilità nella scena internazionale, che riguarda anche i diritti politici. L’articolo 35 della Costituzione cinese stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso, ma queste libertà in realtà non vengono messe in pratica». «Per oltre due decenni, Liu è stato un grande difensore dell’applicazione di questi diritti, ha preso parte alla protesta di Tienanmen nell’89, è stato tra i firmatari e i creatori di Charta 08, manifesto per la democrazia in Cina. Liu ha costantemente sottolineato questi diritti violati dalla Cina. La campagna per il rispetto e l’applicazione dei diritti umani fondamentali è stata portata avanti da tanti cinesi e Liu è diventato il simbolo principale di questa lotta»
16 http://it.wikipedia.org/wiki/Liu_Xiaobo
17 Charta 08 deriva dal documento dei dissidenti cecoslovacchi Charta 77, redatto da Václav Havel, Jan Patočka, Zdeněk Mlynář, Jiří Hájek, Pavel Kohout, descriveva i firmatari come “un’associazione libera, aperta e informale di persone […] unite dalla volontà di perseguire individualmente e collettivamente il rispetto per i diritti umani e civili” in Cecoslovacchia e ovunque nel mondo. Veniva sottolineato che Charta 77 non era un’organizzazione munita di organi permanenti o di uno statuto, né mirava a costituire la base per un’attività politica di opposizione al regime comunista cecoslovacco. Quest’ultima affermazione era infatti necessaria per garantire il rispetto della legge vigente in Cecoslovacchia, per la quale era illegale l’opposizione organizzata. I firmatari furono descritti dal governo comunista come “traditori e rinnegati” o “agenti dell’imperialismo”… subirono repressioni, ritorsioni, cacciata dal lavoro, il rifiuto dei figli nelle scuole, la perdita di cittadinanza, l’espulsione e il carcere… la rivoluzione di velluto del 1989 sconfisse il regime e il potere dei senza potere mostrò che la coltivazione degli spiriti liberi è il cammino della crescita sociale e culturale dell’umanità. http://it.wikipedia.org/wiki/Charta_77
18 http://it.wikipedia.org/wiki/Charta_08
19 Oliviero Toscani, Moriremo eleganti. Conversazione con Luca Solmi, Aliberti Editore, 2012
20 Paulo Freire, La pedagogia degli oppressi, EGA-Edizioni Gruppo Abele, 2011
21 Moni Ovadia, Madre dignità, Einaudi, 2012
22 Martin Luther King Jr., Il sogno della non violenza, Feltrinelli, 2008
23 The Silent Strength of Lii Xia, February 9 – March 1, 2012, The Italian Academy 1161 Amsterdam Avenue New York, NY (212) 854‑8942 www.italianacademy.columbia.edu
24 In questi giorni circola in Rete la notizia che Liu Xia è scomparsa, deportata nelle carceri per “incitamento alla sovversione”
New York Times, 8 ottobre 2010, articolo di Andrew Jacobs e Jonathan Ansfield
25 http://en.wikipedia.org/wiki/Liu_Xia
26 Pino Bertelli, Fotografia situazionista della rivolta. Dal sessantotto alle attuali insurrezioni nel mondo arabo, Mimesis, 2011
27 Nuccio Ordine, L’utilità dell’inutile. Manifesto, Bompiani 2013
28 E.M. Cioran, Sommario di decomposizione, Adelphi, 1996
29 Michel Onfray, L’arte di gioire. Per un materialismo edonista, Fazi Editore, 2009
30 Albert Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, 1999
31 James Hillman, La politica della bellezza, Morett&Vidali, 2010
32 Zygmunt Bauman, “La ricchezza di pochi avvantaggia tutti” (Falso), Laterza, 2013
33 Pino Bertelli, Dell’utopia situazionista. Elogio della ribellione, Massari Editore, 2007
34 Luciano Canfora, Manifesto della libertà, Sellerio Editore, 1994