Masterplan: esaltazione, entusiasmo, limiti e timori
PIOMBINO 5 agosto 2016 — Che il masterplan di Aferpi sia un documento importante non c’è dubbio. Così come non giova certo una sopravvalutazione acritica delle indicazioni che da esso emergono e, d’altro canto, non appare opportuno un sforzo, spesso immotivato, per favorire anche ciò che, nel piano, non è oggettivamente in linea con gli interessi della collettività. Di fronte ad un passaggio storico nell’economia della vallata, ci pare scontato uno sforzo per capire, per valutare, per ragionare. È ciò che abbiamo cercato di fare nell’articolo che segue convinti di non avere la verità in tasca, sicuri che la strada da battere sia quella dello studio, della riflessione, dell’umiltà, del confronto, della buona Politica chiamata ad una sfida come dal dopoguerra non se ne sono conosciute di simili.
Premessa
Nelle intenzioni del gruppo algerino Cevital, il masterplan del 5 luglio 2016 è la trasposizione planimetrica del cosiddetto “Piano Industriale” presentato a suo tempo al Commissario Straordinario della Lucchini e alle massime Autorità istituzionali nazionali, regionali e locali. Su quel Piano furono fondati l’atto di acquisto dello stabilimento siderurgico di Piombino e l’Accordo di Programma firmato il 30 giugno 2015 alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
I suoi contenuti sono largamente noti: chiusura degli impianti a caldo del “ciclo integrale” del vecchio stabilimento, rafforzamento della produzione siderurgica con la realizzazione di una nuova acciaieria con due forni elettrici, sviluppo del business logistico portuale e creazione di un polo agroalimentare. Trattandosi d’interventi tutti interni al perimetro del SIN di Piombino (ovvero di siti inquinati) sono necessari investimenti, pubblici e privati, per mettere in sicurezza e bonificare falde acquifere e terreni, condizione indispensabile per l’attuazione del Piano Industriale.
A distanza di oltre un anno quei contenuti si sostanziano nel masterplan con l’individuazione di aree a specifica destinazione (siderurgica, logistica, agroalimentare) e delle infrastrutture stradali e ferroviarie necessarie per il loro effettivo utilizzo.
Dal punto di vista organizzativo il Gruppo Cevital precisa che, in coerenza con la diversificazione dei comparti produttivi e logistici previsti nel Piano Industriale, sono state create due apposite società controllate:
- la Aferpi Spa dedita al core business siderurgico della nuova acciaieria elettrica;
- la Piombino Logistics S.p.A. dedita allo sviluppo del business logistico tramite la realizzazione e la gestione di banchine portuali, aree di stoccaggio delle merci, linee ferroviarie private di collegamento tra il porto e la rete ferroviaria pubblica RFI e, se richiesto, anche con l’imbarco dei materiali sulle navi.
Nessuna notizia viene invece fornita sul soggetto imprenditoriale che dovrà sviluppare il polo agroalimentare, del quale non vi è traccia alcuna nei documenti del masterplan, se non quelli cartografici che individuano dove dovrà essere realizzato. Nessuna indicazione viene fornita, infine, sulle interazioni, temporali e finanziarie, tra interventi di bonifica e costruzione delle opere e degli impianti previsti dal masterplan. Non si tratta di una carenza formale (colmabile in una fase successiva), ma bensì di un elemento essenziale per valutare l’attendibilità delle previsioni del masterplan e, prima ancora, quelle dell’Accordo di Programma del 2015. Se accolte nella pianificazione urbanistica del Comune, le previsioni del masterplan sono destinate a vincolare gli usi di porzioni enormi di territorio, equivalenti quasi allo spazio occupato dall’intera città. Vediamo nello specifico i temi trattati.
Il polo siderurgico
La nuova acciaieria (produzione e laminazione) si concentrerà tutta nelle aree di Ischia di Crociano, in contiguità fisica con i treni di laminazione esistenti che resteranno in esercizio. Il masterplan prevede l’impegno di circa 120 ettari, contro i circa 600 del vecchio stabilimento, sui quali dovranno trovare collocazione la nuova acciaieria con due forni elettrici per una capacità produttiva di circa 2,0/2,2 milioni di tonnellate/anno. Si tratta di una scelta che cambia radicalmente la fabbrica e il suo rapporto con la città. Dal punto di vista del layout dello stabilimento si compattano gli impianti e si riducono drasticamente le movimentazioni di materiali e prodotti, grande criticità del vecchio stabilimento ex Lucchini.
Dal punto di vista del rapporto città-fabbrica la totale dismissione degli impianti del “ciclo integrale” (altoforno, cokeria, acciaieria e relativi parchi minerali, carbone, rottame) scarica i vicini quartieri residenziali da pesanti criticità ambientali e apre spazi enormi per la riprogettazione urbana di Piombino. Sono gli spazi che il Piano Industriale Cevital destina a polo agroalimentare, polo logistico e a funzioni commerciali e di servizio urbano.
La compattazione dell’acciaieria e la sua delocalizzazione a nord è un fatto positivo, di rilevanza storica. Il masterplan evidenzia tuttavia criticità che non possono essere trascurate. Nonostante la drastica riduzione degli spazi destinati alla siderurgia, la proposta di Aferpi prevede di occupare per fini industriali le aree umide e palustri del “Quagliodromo” alla foce del fiume Cornia. Sono le aree (demaniali) che le precedenti pianificazioni urbanistiche avevano sottratto agli usi industriali. A fronte dell’occupazione di aree naturali, balza agli occhi il mancato riuso di aree interessate da gravi fenomeni di abbandono incontrollato di rifiuti industriali. Tra queste le discariche abusive a nord della “Chiusa di Pontedoro” (a suo tempo sequestrate dall’autorità giudiziaria) e quelle della cosiddetta “LI53” adiacente alle discariche ASIU/Lucchini. Si tratta di decine di ettari di aree demaniali pubbliche che non figurano tra quelle trasferite ad Aferpi. Di fatto si propone il consumo di aree umide allo stato naturale e si confinano nell’oblio decine di ettari di terreni industriali inquinati.
Si deve infine rilevare che mentre il masterplan prefigura — per la parte siderurgica — la piena attuazione dell’Accordo di Programma del 2015, gli investimenti annunciati (peraltro non ancora pienamente garantiti per mancanza di risorse finanziarie), si riferiscono ad impianti con una capacità produttiva che è circa la metà di quella prevista. Per questo primo stralcio il planning prevede la conclusione dei lavori ad agosto 2018 per la nuova acciaieria e ad agosto 2019 per il nuovo treno rotaie. Indipendentemente dalla crisi del mercato dell’acciaio e dalle criticità finanziarie del Gruppo Cevital (che fino ad oggi non hanno ancora consentito l’acquisto del nuovo forno elettrico, di cui parla in relazioni ufficiali anche il Commissario straordinario della Lucchini), i tempi ipotizzati sono molto improbabili, considerando che si agisce in contesti inquinati e che non è dato ancora di conoscere progetti, tempi e costi per la bonifica dei siti.
Il porto e il polo logistico
Nei piani di Cevital quasi tutte le aree degli impianti “a caldo” del vecchio stabilmento Lucchini dovranno essere utilizzate per il potenziamento del porto e della logistica.
Si tratta in gran parte di aree demaniali marittime e in misura minore di aree private ex Lucchini acquistate da Cevital. Per lo sviluppo di queste attività Cevital ha costituito la Piombino Logistics S.p.A con il compito di infrastrutturare le aree, previa demolizione di tutti i vecchi impianti industriali del ciclo integrale. La Piombino Logistics Spa. Non sarà solo a servizio delle attività del gruppo Cevital, ma opererà come intermediario con le imprese interessate ad avvalersi delle banchine, dei piazzali di stoccaggio e dei raccordi ferroviari che si propone di realizzare nelle aree di proprietà e in quelle demaniali marittime in concessione.
Le opere che dovrà realizzare la Piombino Logistics Spa sono enormi. Tra adeguamenti e nuovi lavori è prevista la realizzazione di 1.537 metri di banchine di attracco, nuovi piazzali di stoccaggio per circa 50 ettari, dragaggi dei fondali per centinaia di migliaia di metri cubi. È inoltre prevista la realizzazione di nuovi binari per la movimentazione delle merci dalle nuove banchine portuali fino alla rete ferroviaria esistente, da potenziare. Nel masterplan si dice che “l’ipotesi di servizio di movimentazione è ancora in fase embrionale”, ma è chiara la volontà di realizzare e gestire direttamente tutti i collegamenti ferroviari tra le banchine pubbliche del porto (comprese quelle che in futuro potrebbero essere concesse ad altre imprese portuali dalla stessa Aferpi) e la rete ferroviaria statale.
Per il raggiungimento di questo obiettivo Aferpi ha bisogno di tutte le aree che vanno dal mare fino alla ferroviaria esistente: quelle di sua proprietà, quelle demaniali marittime che erano in concessione alla soc. Lucchini (53 ettari che l’Autorità portuale ha già rinnovato temporaneamente in favore di Aferpi) e nuove aree demaniali per le quali chiede il diritto d’opzione in caso di istanze provenienti da altri soggetti terzi. L’Autorità portuale, con deliberazione del 29 aprile 2015, ha già avviato il procedimento per il rilascio dell’accordo sostitutivo della concessione demaniale, la cui durata, come richiesto da Aferpi, dovrà avere una durata non inferiore a 50 anni.
A fronte di un così vasto e impegnativo processo di riconversione, né l’Accordo di Programma del 2015, né gli atti dell’Autorità portuale, né il Comune sembrano essersi posti seriamente il problema dei costi e dei tempi che serviranno per attuare gli interventi previsti. Sembrano accontentarsi delle indicazioni fornite dal masterplan di Cevital, davvero improbabili se si pensa che la realizzazione delle opere del polo logistico presuppongono la completa demolizione dei vecchi impianti del ciclo integrale e la bonifica dei terreni e della falda nella parte più antica della fabbrica e quindi con i più alti livelli di contaminazione. Per la demolizione dell’altoforno, dell’acciaieria e della cokeria è prevista la fine lavori ad agosto 2020. I successivi lavori del polo logistico dovrebbero essere terminati a dicembre del 2023. Dei preliminari lavori di bonifica non si parla. Su questo incerto scenario Autorità portuale, Comune, Regione e istituzioni in generale, fondano la concessione a Cevital per almeno mezzo secolo di decine di ettari di aree demaniali marittime e le modifiche della pianificazione urbanistica. Più che di accordi di programma ragionevoli e verificati nella loro fattibilità, sembra di essere di fronte ad atti di fede in favore di Cevital, in parte già fatti, altri da fare. Chi vivrà vedrà.
Il polo agroalimentare
C’è poco da dire. Il masterplan individua solo le aree del polo agroalimentare: sono quelle comprese tra la vecchia via provinciale di accesso a Piombino (quella che costeggia il quartiere Cotone/Poggetto, oggi in parte inglobata nel perimetro industriale) e la linea ferroviaria. Altro non dice. Niente sulla natura delle attività agroalimentari, niente sui prodotti, niente sugli impianti per la loro trasformazione. Sui tempi queste sono le previsioni: i lavori (quali?) inizieranno solo dopo la demolizione della cokeria, della vecchia acciaieria, del vecchio treno rotaie, ecc. Le previsioni sono queste: inizio lavori a settembre 2020 e fine a dicembre 2022. Anche in questo caso delle bonifiche neppure si parla.
Le infrastrutture stradali e ferroviarie
Cevital dispone di tutte le aree che per oltre un secolo sono state occupate dall’industria siderurgica, quelle che gli sono pervenute in proprietà dalla Lucchini Spa e quelle demaniali pubbliche (di gran lunga maggiori) che lo Stato ha concesso prima all’Iri e poi alle aziende private per lo sviluppo e la gestione dello stabilimento siderurgico. Inoltre, come abbiamo visto, ha ipotecato nuove aree demaniali (circa 37 ettari) sul porto e sulle aree retro portuali. Nei decenni, espandendosi, il perimetro industriale ha inglobato strade e ferrovie di collegamento tra la città e il territorio, come la strada di Portovecchio, l’omonima stazione ferroviaria e la vecchia strada provinciale del Cotone-Poggetto, determinando così la loro progressiva perdita di autonomia per diventare appendici logistiche interne allo stabilimento.
Il vecchio stabilimento oggi non c’è più. Degli oltre 600 ettari del comparto industriale siderurgico solo 120 saranno utilizzati per la nuova acciaieria. Gli altri, dismessi, devono essere riprogettati considerando che dentro quelle aree passano le arterie vitali per la città, per il porto e per l’economia in generale. Servono dunque soluzioni che rappresentino gli interessi generali della città e come tali richiedono un primario punto di vista delle istituzioni, in primis del Comune di Piombino. Visioni che fino ad oggi non sono emerse, lasciando che sia il nuovo proprietario/concessionario di questi immensi territori a enunciare, con il masterplan, i propositi e le soluzioni, comprese quelle relative alle infrastrutture pubbliche d’interesse generale. Vediamole.
Il prolungamento della SS. 398
È largamente riconosciuto che una delle principali criticità della città e del porto di Piombino è costituita dalla mancata realizzazione del prolungamento fino al porto della strada statale 398, ancora ferma a Montegemoli, nonostante quella previsione faccia parte della pianificazione comunale sin dagli anni 80 del secolo scorso. Quel tratto di strada è stato oggetto di innumerevoli e costosissime progettazioni, tutte convergenti nel ritenere che il tracciato che meglio risolve la separazione dei flussi per il porto da quelli per la città presuppone l’arrivo diretto della 398 fino allo rotonda di Piazza Salvatore Allende (in prossimità della stazione marittima e degli imbarchi per i passeggeri) attraversando le aree ex industriali (oggi nella disponibilità di Cevital) in aderenza al tracciato ferroviario.
Gli ultimi progetti in ordine cronologico sono quelli elaborati dalla SAT, in connessione con i progetti dell’autostrada tirrenica, quando ancora lo stabilimento Lucchini era in esercizio. Le industrie attraversate (Lucchini e Magona), pur ponendo condizioni per garantire la sicurezza del traffico rispetto agli impianti in esercizio, non hanno mai giudicato impossibile la realizzazione dell’opera. Sulla base di quei progetti e dei relativi accordi istituzionali il Comune di Piombino ha annunciato infinite volte l’inizio dei lavori per il prolungamento della SS.398, ritenendoli ovviamente fattibili. Desta davvero sorpresa che oggi Comune e Autorità Portuale non abbiano nulla da dire di fronte ad un masterplan che, nel momento in cui vengono completamente dismessi i vecchi impianti industriali, propone un tracciato alternativo che, utilizzando la vecchia strada provinciale per l’ingresso a Piombino, lambisce tutto l’abitato del quartiere Cotone-Poggetto, attraversa le aree di Città Futura fino ad immettersi nella viabilità urbana in corrispondenza della rotatoria di via Pisacane/via Cavallotti per proseguire poi sulla via di Portovecchio fino alle banchine del porto. Una soluzione che non permette di separare i traffici urbani da quelli portuali; che riproduce condizioni di disagio per gli abitanti del Cotone/Poggetto, dei quartieri di via della Resistenza, via Cavallotti e via Pisa e che non separa i traffici merci da quelli passeggeri sulle banchine del porto. Insomma, una soluzione chiaramente peggiorativa nel momento in cui per la città e per il porto si è aperta la possibilità di realizzare, con costi minori, la soluzione progettuale da sempre ritenuta la migliore. Misteri dei nostri tempi.
Ferrovie e stazioni
Sulle questione ferroviarie sembrano chiari i propositi di Cevital, molto meno le soluzioni progettuali e i modi per realizzarle. Quello che emerge, come abbiamo già visto analizzando il polo logistico, è la volontà della Piombino Logistics di ottenere le concessioni demaniali marittime per realizzare e gestire direttamente per almeno mezzo secolo i collegamenti ferroviari tra le nuove banchine e la rete ferroviaria nazionale RFI. Per gli interventi di adeguamento della rete ferroviaria nazionale si richiedono invece generici interventi pubblici, almeno fino allo snodo merci di Fiorentina. Gli obiettivi sono ambiziosi: fare di Piombino un “hub” euromediterraneo con servizi shuttle ferroviari tra le banchine, le piattaforme inland e la rete nazionale RFI ammodernata in modo tale da consentire la formazione di treni lunghi fino a 750 metri. Anche in questo caso non sono quantificati i costi e le risorse necessarie, pubbliche e private. Del resto non risulta che siano stati redatti progetti, neppure di larghissima massima.
Se nebulosi risultano gli scenari ferroviari per le merci, ancora di più sembrano esserli quelli della stazione ferroviaria per i passeggeri. In questo caso, però, non si possono certo imputare carenze progettuali al masterplan, sia perché la delocalizzazione della stazione passeggeri di Piombino non è davvero materia che compete all’imprenditore Cevital, sia perché è lo stesso Comune a non aver mai prefigurato una possibile soluzione per un servizio pubblico di così rilevante importanza per la città.
Nel Regolamento Urbanistico approvato nel 2013 (con validità quinquennale) ha sì previsto la dismissione e l’arretramento della stazione ferroviaria di Piazza Gramsci per far posto ad interventi di riqualificazione urbana, ma non ha mai individuato dove intendeva collocare la nuova.
Il masterplan, su “espresse richiese dell’amministrazione comunale” e in surroga di ciò che il Comune neppure oggi indica, si confronta con questo tema, individuando all’interno delle aree ex siderurgiche “porzioni di terreno destinabili a futura stazione ferroviaria passeggeri e merci”. Non è chiaro dove effettivamente siano ubicate queste porzioni di terreno, come possa la nuova stazione concentrare traffici merci e passeggeri (compresi i passeggeri che attualmente usano la stazione sul porto) e come la nuova stazione sarà collegata con il resto della città. Sembra di capire, ma le carte non lo evidenziano, che la stazione sia da collocare nell’ambito di Portovecchio nel quale, a giudicare da carte e relazioni, si concentrano il traffico veicolare per il porto, il polo agroalimentare e il polo logistico, unitamente all’industria “Magona” che resta al proprio posto. Al proprio posto restano anche le antistanti aree dei carbonili ex Lucchini, altamente inquinate, anch’esse non trasferite a Cevital. Si tratta di un coacervo di destinazioni e di infrastrutture ferroviarie e stradali che richiedono un’attenzione sicuramente maggiore di quella che Cevital (e ancora prima il Comune) hanno dedicato a questo tema, tanto più se ci si accinge a fare scelte di pianificazioni di lunga durata. Anche in questo caso non sono minimamente esposti costi, tempi e soggetti che devono procedere alla bonifica dei siti e alla realizzazione della nuova stazione ferroviaria, cosa davvero irrazionale se si pensa che il Comune ha già deciso, con il Regolamento Urbanistico, che la stazione ferroviaria da Piazza Gramsci deve sparire.
Le cosiddette “fasce filtro urbane”
Intanto vediamo cosa sono le fasce di filtro urbane definite dal masterplan. Sono i terreni di proprietà delle ex Lucchini, acquistati da Cevital, che non servono per l’agroindustria, per la logistica portuale e per l’industria siderurgica. Sono le aree poste lungo via della Resistenza e via Cavallotti e quelle della porzione privata di Città Futura, occupate dal parco rottami della ex Lucchini. Sono pertanto terreni privati che, come qualsiasi altro terreno, dovrebbero essere pianificati dall’amministrazione comunale. Sono quelli che, ancora più degli altri, richiedono una precisa integrazione con il resto della città. Sarebbe stato molto meglio se, dichiarando che quelle porzioni di proprietà non servono per le iniziative industriali e logistiche previste, Cevital avesse lasciato al Comune il compito di pianificarle.
Per queste aree, invece, il masterplan parla di “progetti in affinamento”. In effetti, se paragonate all’indeterminatezza pressoché assoluta del polo agroalimentare e del polo logistico, in questa aree sono ubicati edifici, centri commerciali, sistemazioni a verde, ecc. Segno evidente di un approfondimento progettuale altrove mancante. Tuttavia anche queste previsioni evidenziano vistose criticità e incongruenze. La prima riguarda la necessità di tanti nuovi “new mall” (nuovi centri commerciali). Non sembra che vi sia un sottodimensionamento di centri commerciali nella città, a meno che non si pensi ad una rapida crescita demografica di Piombino. Al momento le tendenze demografiche sono opposte. La seconda riguarda il “dove” si prevede di realizzarli, ossia sulle strade urbane che il masterplan (eliminando il tracciato della SS.398 interno alle aree ex industriali) ha deciso che debbano essere confermate come strade di scorrimento per il traffico del porto. Una scelta che da un lato aggrava le condizioni ambientali (i flussi di traffico per il porto sono causa non marginale dell’inquinamento atmosferico cittadino) dall’altro ripropone la pesante frattura tra la città e le aree a monte di Via della Resistenza. Alcune dei nuovi centri commerciali sono previsti addirittura tra le aree dello stabilimento “Magona” e quelle dell’industria agroalimentare, a loro volta attraversate dalla via di Portovecchio sulla quale dovrebbero concentrasi i flussi di traffico per il porto. Forse è opportuna qualche riflessione aggiuntiva, tanto più se si punta a richiamare in queste zone “affermate realtà commerciali che impreziosiscono le più blasonate realtà urbane, griffe che fungerebbero da testa di ponte per lo sviluppo di un territorio ricco di potenzialità e elementi caratteristici, fusi in un unicum singolare e irripetibile”, come scritto nel masterplan.
Una trattazione a parte meritano le aree della cosiddetta Città Futura. In origine con questo toponimo s’intendevano tutte le aree comprese tra viale Unità d’Italia e la vecchia strada provinciale inglobata nel perimetro industriale. Si trattava di aree industriali già ampiamente dismesse. La pianificazione comunale degli anni 90 decise di sottrarle all’industria per favorire la loro riconversione per fini urbani, favorendo la ricongiunzione dell’abitato del Cotone/Poggetto con il resto della città, interrotta dalle espansioni industriali del dopoguerra. Nel 2008 lo stesso Comune, con una variante urbanistica, decise che parte di quelle aree (circa la metà) potevano essere nuovamente destinate ad usi industriali per consentire la costruzione della nuova acciaieria proposta dalla Lucchini (il cosiddetto Minimill) in aree ancora più vicine agli abitati. Anche in quel caso le varianti si basarono su specifiche richieste dell’impresa, con nessuna valutazione delle coerenze con l’insieme della pianificazione urbanistica, anzi contraddicendola palesemente. Le sorti di quel progetto sono note: non solo non si è costruito il Minimill, ma è chiuso l’intero stabilimento. A fronte di un così evidente abbaglio, logica avrebbe voluto che il Comune riesaminasse le concessioni fatte in nome di uno sviluppo industriale e occupazionale che non si è mai realizzato. Così non è stato e oggi il Comune lascia che sia il nuovo proprietario a decidere che fare. Bontà sua Cevital sembra non avere interessi industriali su quelle aree. In questo un “Cevital mercì” ci può stare. E come per tutte le aree di sua proprietà avanza proposte, sostituendosi al Comune. Per quelle aree il masterplan prevede un altro polo, questa volta “polifunzionale, sportivo e commerciale comunque a vocazione verde, che permetterebbe di liberare aree urbane attualmente occupate da piscina comunale, stadio Magona e altre attrezzature sportive, ridisegnando così un tessuto urbano attualmente saturo”. Insomma un polo del “tutto di più” per la cui realizzazione occorrerebbe smontare e rimontare la città. È inutile chiedersi chi saranno i soggetti chiamati ad attuarlo, con quali risorse, con quali tempi. invece opportuno ricordare che a confine con la aree private di Cevital ci sono le aree pubbliche di Città Futura. A distanza di un quarto di secolo dal loro acquisto quelle aree versano ancora nelle stesse condizioni di allora, nonostante che il Comune abbia fatto ambiziosissimi e costosi progetti per il loro riuso ed abbia ricevuto dallo Stato decine di milioni per la bonifica, neppure avviata. Contrariamente ai nostri dubbi sulla fattibilità delle previsioni del nuovo polo commerciale-artigianale-polifunzionale-sportivo, comunque “a vocazione verde”, le previsione del masterplan sono tranquillizzanti: inizio dei lavori a gennaio 2023 e fine entro due anni, cioè a febbraio 2025. A costo di apparire detrattori dei sogni, ci sembrerebbe molto utile che chi di dovere si chiedesse a chi servono e chi potrà finanziare anche una minima parte di quei propositi destinati a formare “una griselle sfumata che fa da elemento transitivo dal tessuto urbano a quello produttivo”.
Considerazioni conclusive
Se il masterplan doveva sostanziare gli impegni assunti da Cevital con il “Piano industriale”, bisogna ammettere che siamo ancora ben lontani dal delinearsi di credibili scenari su cui fondare scelte di pianificazione territoriali destinate a condizionare per molti decenni la città di Piombino. Se si escludono le previsioni del polo industriale siderurgico (dimezzato nella capacità produttiva inizialmente prevista, in contrasto con la pianificazione comunale per le zone umide e con forti preoccupazioni per il reperimento delle risorse finanziarie), per il resto siamo in presenza di indefiniti propositi che sembrano avere come scopo primario quello di ipotecare destinazioni urbanistiche e ampliare le concessioni demaniali marittime. Sulla vaghezza delle previsioni parlano le carte, le relazioni, l’assenza di stime sui costi e sui finanziamenti, la mancanza della necessaria concatenazione temporale tra opere di bonifica e opere di infrastrutturazione delle aree. Non ci nascondiamo affatto gli enormi problemi e le difficoltà che si presentano nel ridefinire assetti e funzioni di territori così vasti, destrutturati e contaminati da secoli di lavorazioni siderurgiche, tanto più in un periodo caratterizzato da una crisi economica strutturale, acciaio compreso. Sappiamo che dentro quei territori devono trovare soluzione i problemi infrastrutturali ancora irrisolti della città di Piombino (strade, ferrovie, porto) e che le loro soluzioni s’intersecano con quelle immaginate per lo sviluppo di altri settori produttivi. Sappiamo che in una realtà come Piombino, dove il territorio industriale equivale a quello urbanizzato dell’intera città, non è cosa agevole progettare e attuare la riconversione delle aree dismesse poiché la loro dimensione chiama in causa una gradualità che sembra confliggere con l’acutezza della crisi industriale e occupazionale e con il bisogno di risposte immediate.
Nello stesso tempo ci pare che non sia cosa saggia ignorare le difficoltà, prefigurando scenari rassicuranti quanto improbabili e, come tali, destinati a produrre non solo delusioni, ma difficoltà ancora maggiori. Ipotecare un futuro del quale non ci è ancora dato ragione di conoscere i profili, ma per il quale si compiono atti operativi vincolanti per almeno mezzo secolo, è contemporaneamente un azzardo e una perdita di potenziali opportunità. Consentire l’avvio di processi che non hanno sufficienti basi di fattibilità, non solo impedirebbe il raggiungimento dei propositi enunciati negli Accordi di programma, ma renderebbe ancora più difficile prefigurare altri scenari, magari più limitati ma più realistici.
Senza nulla togliere agli sforzi di chi sta oggi lavorando sui progetti industriali, sulle infrastrutture, sulle bonifiche, sulla pianificazione territoriale e sulla programmazione finanziaria, quello che anche il masterplan presentato da Cevital sembra confermare è un approccio “immaginifico” per la risoluzione della gravissima crisi economica e sociale di Piombino con la disperata ricerca di un “salvatore” a cui affidare non solo le sorti dell’industria siderurgia in crisi (cosa già di per sé molto complessa), ma addirittura dell’intera città. È un approccio pericoloso che rischia di caricare l’imprenditore industriale di responsabilità e compiti che non possono essere suoi e che relega le istituzioni a ruoli di mera ratifica, deresponsabilizzandole dal ruolo di governo che le è proprio. Questo è già accaduto a Piombino con la vicenda del Minimill e sembra replicarsi, in proporzioni ben maggiori, con il masterplan di Cevital. Si tratta di ruoli inadeguati per entrambi destinati a indebolire da un lato l’impresa produttiva, dall’altro il governo organico delle complessità dalla cui soluzione, in ultimo, dipende la vera competitività dei territori e delle loro economie. Queste criticità sono ben presenti negli Accordi di programma per la risoluzione della crisi industriale di Piombino e nel masterplan che ne è scaturito.
Di fronte alla vistosa indeterminatezza di molte delle delle previsioni per il riordino dei territori industriali, colpisce che la Giunta di Piombino, in un atto d’indirizzo del 6 luglio, nel dare avvio al procedimento di variante urbanistica per consentire l’attuazione del piano industriale di Cevital, nell’apprezzamento generale del masterplan, si limita a rilevare alcuni punti di contrasto con la strumentazione urbanistica comunale. Dalla lettura degli atti sembrano concentrarsi sull’occupazione delle aree umide e palustri del Quagliodromo. Per il resto tutto bene. Un po’ poco. La linea sembra essere quella di assecondare e attendere che si realizzi anche l’inverosimile, o almeno di farlo credere il più a lungo possibile.
Colpisce che, a fronte di un cataclisma come quello che ha visto spegnersi per sempre gli impianti della storica acciaieria e la dismissione di enormi aree industriali, non sia stato il Comune a definire con maggiore libertà rispetto al passato dove devono passare le strade e le ferrovie per l’accesso alla città e al porto, dove deve sorgere la nuova stazione ferroviaria, come si devono raccordare le strade urbane con le aree industriali dismesse da riprogettare, quanti e quali devono essere i filtri e i servizi da prevedere tra gli abitati e le nuove aree produttive e tante altre cose ancora. Se avesse esercitato queste prerogative non avrebbe affatto tolto libertà all’imprenditore industriale, ma, al contrario, gli avrebbe fornito le dritte su cui impostare i propri progetti nel rispetto di una visione d’insieme, sicuramente più realistica, che solo il Comune e le istituzioni regionali e nazionali possono avere.
Colpisce che l’Amministrazione di una città che ha nella lavorazione del ferro il più forte tratto identitario sociale e produttivo (con radici che affondano nei millenni e ne fanno un unicum mondiale proprio per la sua straordinaria continuità storica), non abbia sentito il dovere di segnalare a Cevital, con autorevolezza e atti amministrativi, che tra quegli impianti che si propone di demolire e vendere come rottame ce ne sono alcuni che hanno fatto la storia di Piombino e dei suoi abitanti e che hanno un valore testimoniale d’interesse generale che merita di essere conservato sotto il profilo culturale ed anche economico. Ad un imprenditore algerino si può chiedere di tutto, ma non anche di surrogarci nella valorizzazione della nostra storia e dei nostri patrimoni. Gli esempi diffusi in Europa e nel mondo ci dicono che proprio nelle città siderurgiche in crisi la componente storico-culturale delle produzioni è stata una pista della diversificazione e della rigenerazione economica, senza con ciò inibire innovazioni e riusi di natura produttiva e logistica come quelli che si ipotizzano per Piombino. Anche questo non è semplice, ma non provarci neppure è colpevole.
Colpisce, in ultimo, l’abdicazione di fronte alle responsabilità. Dare carta bianca all’imprenditore/salvatore, assumere acriticamente le sue proposte anche quando appaiono manifestamente inconsistenti o in contrasto con gli interessi generali, conformare a queste gli strumenti di pianificazione urbanistica, consegnargli per oltre mezzo secolo centinaia di ettari di aree demaniali, fare tutto subito senza porsi troppe domande perché si rischierebbe di far svanire il sogno e le speranze, non ci pare essere il migliore dei metodi per governare le complessità, ma soprattutto non ci pare responsabile verso il mondo del lavoro che si dice di voler tutelare, sia per coloro che rischiano di perdere il lavoro che hanno, sia per chi non lo trova da decenni e sogna solo di andarsene. Il clima sociale che si è creato a Piombino non favorisce il libero dispiegarsi del confronto delle opinioni, tanto più necessario quanto più sono complessi i problemi da risolvere. Piombino ha bisogno di liberare pensiero critico, energie intellettuali, imprenditorialità diffusa. Per questo non servono imbonitori. Servono il coraggio della verità e la capacità per affrontare problemi davvero difficili.
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E’ difficile aggiungere qualcosa che non possa essere ripetitivo ad un documento cosi capillare e ben fatto e notevolmente articolato. Aggiungo soltanto che sarebbe da incoscienti se l’amministrazione comunale non ne prendesse atto e non lo considerasse in tutta la sua importanza dato che è un classico esempio di collaborazione con ricchezza di idee e di spunti nell’interesse comune.