Migrazioni: una moderna sfida per tutti
Partiamo da alcuni termini spesso usati o abusati impropriamente:
1) problema migratorio: quasi nascondesse comunque un disagio;
2) fenomeno migratorio: quasi ci si dovesse nascondere dietro i numeri , le statistiche ;
3) realtà migratoria: insieme di storie, culture, espressioni, sensazioni, paure, speranze…
Ecco, occorre prima di tutto trovare la giusta collocazione del fenomeno migratorio, pensarlo prima di tutto come risorsa e non come problema. La realtà è complessa e come tale richiede risposte articolate e condivise.
Le migrazioni, gli uomini e le donne delle migrazioni, le loro storie fanno parte di una storia globale.
Non c’è solo la globalizzazione dell’economia, come qualcuno vuol farci credere, anche se per la verità le migrazioni danno comunque un grande contributo economico alla globalizzazione.
La migrazione è la vera grande sfida che ci riguarda tutti e tutte! Non ci facciamo ingannare dalle informazioni poco attendibili: è davvero da questa nuova e complessa realtà di migranti, nelle loro variegate condizioni (richiedenti asilo, profughi, senza permessi di soggiorno, con permessi, ma a tempo, i figli nati in italia e non riconosciuti italiani…), che oggi si misura la nostra volontà e capacità di guardare oltre, di costruire una condivisione non di opportunità, ma di vita. E’ una sfida etica, sociale, educativa, culturale… Le migrazioni ci interpellano, interpellano il nostro modo di vivere, la prospettiva, l’orizzonte culturale e sociale sul quale dobbiamo confrontarci e dovremmo orientarci. In un momento difficile, drammatico, come quello che stiamo attraversando, appare per molti improprio dire che dobbiamo mettere al centro l’uomo, ridisegnare la vita, più che attraverso dei “compromessi strategici” (i numeri di quelli che potranno venire perché assegnatari di lavoro), piuttosto su vere occasioni di confronto a partire da “azioni secondo giustizia”, insomma spendersi nell’ accogliere ed accompagnare.
Si tratta di andare a ricercare tutte quelle circostanze che riconducono alla responsabilità personale, civile, sociale e politica a partire da una nuova dimensione dell’essere al servizio del bene comune.
I migranti fanno parte, per diritto, di questo bene comune. Migrare è nel DNA dell’uomo chiamato a dare risposte alla propria storia. Dove c’è guerra, miseria umana materiale e/o sociale, mancanza di lavoro, dove c’è violenza ed oppressione, si incarna forte il desiderio di migrare. Anche in un paese come il nostro dove l’economia va a picco, si diffonde la forte paura della miseria generalizzata e l’immigrazione riprende: dei giovani, dei “cervelli”, un fenomeno ormai in crescita non solo al sud, ma anche in quel nord fino a ieri opulento, ricco, esente da questo fenomeno.
Con il migrante occorre quindi costruire relazione, relazione quotidiana, ben consapevoli che questa chiede e da responsabilità. Le migrazioni, offrono orizzonti strategici sullo stesso versante della conoscenza, delle relazioni interetniche come prova di “globalizzazione culturale”.
Chi meglio delle nostre comunità dovrebbero allora essere luoghi di autentica relazione!
E’ importante, anzi è un dovere quindi, creare i presupposti per una accoglienza ragionata attorno ai valori forti che contraddistinguono il nostro agire, che tengono conto della reciprocità, della prossimità, della continuità, nella consapevolezza appunto di essere uomini e donne di una grande e variegata umanità.
L’immigrazione aiuta anche a costruire nuove occasioni di “cittadinanza” e diviene ulteriore terreno di prova per una “vera democrazia” per le nostre città.
Ma se di sfida si tratta è altrettanto vero che non può essere lasciata al caso, ad una sorta di “pietismo da una parte o di irrigidimento dall’altra”. Pubblico e privato devono trovare momenti di sinergia e aiuto comune, bisogna lavorare concretamente per percorsi integrati.
Morire a 20 anni sotto l’asse di un camion a cui ci siamo aggrappati per sfuggire ai controlli… affogati nel mare di Sicilia su bagnarole traballanti… in una cella frigo o sulle strade di degrado sociale sulle quali sono obbligate a prostituirsi…essere colpiti in un riparo posticcio, ci pone una domanda: è possibile pensare, ancora oggi, ai migranti solo come minoranza? Forse, c’è bisogno di ripensare “il fenomeno” nella sua complessità e ciascuno/a di noi può, anzi deve fare la sua parte.
Non è questo un problema di volontà, io lo vedo come dovere civile di rispetto verso i principi di convivenza e dei diritti di tutti gli individui. Mi viene in mente un altro diritto da anni calpestato e oggi completamente assente dal dibattito pubblico: legge 68/99 (collocamento mirato per inserimento persone con disabilità al lavoro). In una situazione di crisi occupazionale come quella che stiamo attraversando può apparire stonato aprire questo argomento, così come il diritto al lavoro per gli immigrati, ma non è così per una società o per un paese civile che non pone frontiere ai diritti individuali e collettivi. E’ necessario confrontarci con questi che sono intollerabili atteggiamenti di una società, di un mondo quello del lavoro che, non sempre per problemi, pone pregiudizi intollerabili a dispetto delle stesse leggi vigenti. Credo che sarà opportuno tornare sopra l’argomento.
(Foto di Pino Bertelli)