Modello Piombino ovvero fumo negli occhi
PIOMBINO 13 dicembre 2015 — “MODELLO PIOMBINO”, uno slogan presuntuoso e strumentale, con fini prettamente propagandistici, del resto questo è il metodo che ha caratterizzato da sempre il nostro territorio: “FUMO NEGLI OCCHI”. Si leggono ovunque interventi sulla questione industriale e portuale inerente l’ex ambito Lucchini, ma l’impressione è che vi sia poca chiarezza e forse anche poca dimestichezza nella lettura dei fatti e su come stiano concretamente le cose. L’impressione è che l’obbiettivo sia sempre stato lo stesso: l’allungamento dei tempi. In effetti, se avessero voluto accorciarli, oggi vi sarebbero programmi e progetti concreti, oltre ad un simil Marchionne, di cui non si vede una figura paragonabile pur in scala minore, ma del quale senza dubbio ci sarebbe necessità. Anche l’attivazione di tecnici interni all’azienda, se pur capaci, per progettare l’introduzione delle nuove tecnologie innovative sembra alquanto azzardata ed improvvisata. Normalmente tali interventi sono prerogativa di soggetti esterni altamente qualificati e specializzati, con grande esperienza nella costruzione ed installazione di nuovi impianti produttivi. Peraltro, da sempre la cultura locale, impregnata di rapporti personali e particolari, ha pesato molto anche sul mondo del lavoro ed in particolare quello industriale, soprattutto sotto il profilo della professionalità. Tipiche logiche del passato, oramai non più sostenibili, se non con forzature strumentali tutt’altro che meritocratiche. Dopo alcuni mesi è evidente che a parte l’acquisizione delle aree siderurgiche ed una miriade di protocolli ed accordi firmati, ci sia ben poco attualmente di consolidato. Non dimentichiamo poi le questioni irrisolte, in primis quella legata alle pseudo bonifiche, i fondi sono pochi e senza finanziamenti privati non sarà risolvibile, nonchè quella pesantissima dell’energia dai costi difficilmente sostenibili, oltretutto a fronte di un crollo del prezzo dell’acciaio e dei prodotti laminati. Senza dimenticare i problemi personali della proprietà algerina, con difficoltà oggettive nei rapporti con il governo del proprio paese, che potrebbe compromettere la disponibilità finanziaria, mettendo a rischio le ingenti risorse utili a far ripartire le attività produttive di Piombino. Nonostante la politica abbia perseverato nelle dichiarazioni rassicuranti di facciata, peraltro non sempre comprensibili a fronte di un’evidente carenza di certezze, la realtà incomincia inesorabilmente a manifestarsi in tutta la sua crudezza. In particolare per molti di quei lavoratori in cassa integrazione, che fra poco più di un anno potrebbero rischiare di rimanere senza ammortizzatori e senza lavoro, qualora non abbiamo avuto nel frattempo la forza ed il coraggio di tentare altre soluzioni. Le grandi difficoltà industriali si risolvono con investimenti strutturali, non certo con gli ammortizzatori sociali a lungo termine, che alla fine rischiano di condurre inesorabilmente verso il baratro, anche se servono a far sopravvivere i venditori di speranza ed i loro interessi di casta il più a lungo possibile. A fronte di ciò, anche le voci insistenti, ma opportunamente non confermate, di possibili trattative per un ulteriore passaggio proprietario di uno o più rami d’azienda ad un nuovo potenziale investitore, non fanno altro che rafforzare le perplessità. Senza poi dimenticare che il valore dello stabilimento, se pur ormai in ginocchio, è certamente superiore al prezzo pagato; la sola vendita di alcuni impianti ancora utilizzabili altrove, come paventato, sarebbe di per se già un profitto. Se dovesse esserci un subentro di proprietà, l’auspicio è che si tratti di uno o più gruppi affidabili, di cordate locali o forestiere poco credibili, messe insieme strumentalmente dal solo interesse di qualche finanziamento pubblico, il territorio non se ne farebbe niente.