Naviglio da rottamare: un business tutto in salita
PIOMBINO 4 aprile 2017 – Dovremmo esserci almeno secondo le dichiarazioni uscite il 10 settembre 2016, il giorno seguente alla firma a Firenze dell’accordo per la realizzazione del “Polo di eccellenza nazionale dedicato alla demolizione, al refitting e alla realizzazione di navi” nel porto di Piombino. Questo allora capitò infatti di leggere nei vari media:
La Nazione: “L’obbiettivo è entrare nel vivo dei cantieri nei primi mesi del 2017 e di far partire le attività alla fine del prossimo anno (ndr: cioè del 2017);
Siderweb: “La realizzazione delle infrastrutture sarà avviata nei primi mesi del 2017”;
Greenreport: “L’obbiettivo della Pim è quello di iniziare a realizzare le infrastrutture nei primi mesi del 2017”;
Regione notizie: “L’obbiettivo della Piombino industrie marittime è quello di iniziare a realizzare le infrastrutture nei primi mesi del 2017.
Un coro unanime preceduto addirittura, quattro mesi prima, dal Tirreno che, il 6 maggio 2016, con un articolo a firma di Guido Fiorini, informò sull’attività di demolizione e refitting delle navi “che partirà all’inizio del 2017”.
Un mese più tardi, il 6 giugno 2016, sempre il Tirreno riportò anche una dichiarazione del commissario Guerrieri che puntualizzò di nuovo: “…hanno già chiesto l’autorizzazione integrata ambientale e la dovrebbero avere entro settembre. Quindi inizieranno i lavori sulla banchina da terminare entro l’anno (ndr: anno 2016). Il polo della rottamazione dovrebbe essere attivo già all’inizio del 2017”.
La realtà che si può fotografare oggi è oggettivamente un po’ diversa rispetto alle previsioni di sette mesi fa.
L’accordo firmato a Firenze
Di fatto il 9 settembre 2016 venne firmato a Firenze un accordo che prevedeva “la concessione – così scriveva l’agenzia di stampa della Regione Toscana — da parte dell’Autorità portuale di Piombino delle nuove aree portuali alla Piombino industrie marittime (Pim) e consentiva alla Pim di insediarsi nel Porto di Piombino e iniziare la costruzione di capannoni e strutture, avviando investimenti quantificabili in circa 14 milioni di euro, con prospettive occupazionali, a regime, per circa 200 lavoratori e con un significativo beneficio economico per l’indotto”.
Per la cronaca – è sempre la Regione ad informarci – “la Piombino industrie marittime è una società composta dal cantiere genovese San Giorgio del Porto, leader in Europa e punto di riferimento a livello mondiale nelle riparazioni e trasformazioni navali così come in progetti di nuove costruzioni, e dalla livornese Fratelli Neri, impegnata da oltre cento anni in attività di salvataggio, rimorchio navale, difesa ambientale e terminalismo portuale”. Due grossi soci privati al 50 per cento ciascuno.
Alla Pim venne concessa, per un periodo di 40 anni, una superficie totale di 103.295 metri quadrati. “Di essi – scrisse l’agenzia della Regione Toscana – sono 80.922 già realizzati e gli altri 22.373 sono di prossima realizzazione e dovrebbero essere terminati entro 12 mesi”. Luciano Guerrieri puntualizzò meglio i lavori conclusi indicando a Siderweb “una nuova banchina, ultimata a tempo di record e con fondali a meno venti metri e ampi piazzali ottenuti con il riempimento delle vasche di raccolta dei fanghi di dragaggio del porto”.
A siglare l’accordo furono lo stesso Guerrieri, allora commissario dell’Autorità portuale di Piombino, e Piero Neri, presidente della Pim. Presente e garante il presidente della giunta regionale toscana, Enrico Rossi nella sua qualità di coordinatore degli accordi di programma per l’area di crisi complessa di Piombino e di commissario per i lavori di ammodernamento del porto. Al tavolo anche il sindaco di Piombino Massimo Giuliani, il consigliere regionale Gianni Anselmi, l’amministratore delegato di Pim, Ferdinando Garrè e il rappresentante di Logistica toscana Giovanni Bonadio.
Dopo la firma i commenti furono improntati all’ottimismo. Dichiarò Enrico Rossi: “Quello che Pim realizzerà a Piombino sarà l’unico polo portuale del Mediterraneo per demolizioni, manutenzioni e refitting navali conforme alle normative europee. Quella di oggi è una firma storica per la Val di Cornia e la Toscana perché, grazie ad un massiccio intervento finanziario della Regione sul porto per oltre 110 milioni di euro, siamo stati in grado di dare un futuro a quest’area e una accelerazione alla portualità toscana. È la mano pubblica che ha creato una infrastruttura a livello europeo con fondali di 20 metri ed attrattiva per gli imprenditori privati e quindi in grado di generare nuova occupazione”.
Dal canto proprio la Pim, per bocca del presidente Neri rilevò che “il punto di partenza dell’attività della società, la demolizione navale eco-compatibile, rappresenta una sfida nuova che l’Europa ha deciso di accettare ed alla quale noi con la San Giorgio del porto abbiamo deciso di partecipare”.
L’inizio operativo venne indicato da tutti i media con riferimento alle navi militari. Scrisse l’agenzia della Regione Toscana: “La nuova infrastruttura partirà con l’attività garantita dall’accordo con il Ministero della difesa e la Marina militare per lo smantellamento di navi militari previsto dall’accordo di programma per l’area di crisi industriale complessa, ma proseguirà nei contatti con il mercato armatoriale privato per assicurarsi altre commesse. Ogni anno in tutto il mondo sono circa 1.000 (molte della quali di proprietà di armatori europei) le imbarcazioni di medie dimensioni che vengono avviate alla demolizione. Troppe sono smantellate nei Paesi del sud est asiatico con la pericolosa e altamente inquinante tecnica dello “spiaggiamento”, mentre il regolamento UE 1257/2013 impone agli Stati membri di utilizzare impianti di riciclaggio e demolizione che usano metodi e procedure sicuri e ambientalmente compatibili. Come Piombino”.
Nella sostanza quindi due obbiettivi immediati: regolamento Ue e navi militari.
Il regolamento Ue 1257/2013
Che cosa è il regolamento Ue 1257 che viene citato come strumento per regolare la demolizione in modo ecocompatibile? Nella sostanza si tratta di una norma approvata in ambito europeo nel 2013 e concepita per “prevenire, ridurre, minimizzare nonché, nella misura del possibile, eliminare gli incidenti, le lesioni e altri effetti negativi per la salute umana e per l’ambiente causati dal riciclaggio delle navi”.
Il regolamento si applica alle navi battenti bandiera di uno Stato membro Ue e alla unità di un paese terzo destinate ad un porto di un paese Ue.
Di particolare rilievo è l’articolo 13 del regolamento che tratta gli impianti di riciclaggio delle navi definendo i requisiti per essere inseriti in un apposito registro, la “european list of ship recycling facilities”, ovvero l’elenco degli impianti europei certificati appunto per il riciclaggio.
Va rilevato che ad oggi sono inseriti nel registro un impianto in Belgio a Gent, due impianti in Danimarca a Grenå e Esbjerg, tre impianti in Francia a Le Havre, Bordeaux e Plouigneau, un impianto in Lettonia a Liepaja, tre impianti in Lituania, tutti situati a Klaipeda, due impianti in Olanda a Rotterdam-Botlek e a Gravendeel, un impianto in Polonia a Szczecin, un impianto in Portogallo a Aveiro, un impianto in Spagna a Gijon e tre impianti nel Regno Unito nei porti della Able Uk limited e della Swansea Drydock Ltd e a Belfast in Irlanda.
Purtroppo e nonostante tutto, al momento, non esistono in Italia impianti certificati secondo il regolamento Ue 1257/2013: non esistono a Piombino, non esistono altrove.
Le navi militari promesse nel 2014
Il riferimento che spesso ricorre nelle dichiarazioni dopo la firma di settembre a Firenze riguarda l’accordo di programma, firmato il 24 aprile 2014 e relativo alla riqualificazione e riconversione del polo industriale di Piombino. Nel testo del documento si può, tra l’altro leggere: “…il Governo si impegna a rendere disponibili navi da smantellare presso il porto di Piombino e, a tale scopo, il ministero della difesa procederà alla definizione di un programma di dismissione delle navi anche in termini di numerosità e tonnellaggio, nell’ambito di uno specifico cronoprogramma determinato entro tre mesi”.
Da allora di mesi ne sono passati ben più di tre ma di vere “definizioni di programma” di navi militari da smantellare a Piombino non vi è mai stata traccia. Interrogato più volte sulla questione il commissario Luciano Guerrieri ha riferito di “un elenco di 34 unità da demolire fornito dal governo”. Quanto questo elenco sia lontano parente del programma e del relativo cronoprogramma previsto nell’accordo di aprile 2014 non è dato a sapere. A lume di naso ci paiono cose molte, molto diverse.
L’unico vero piano di dismissioni di unità della marina italiana è quello che nel 2013 promosse l’allora ministro delle difesa del governo Monti, l’ammiraglio Giampaolo di Paola, un documento che faceva riferimento alla indicazione di sei miliardi di euro previsti, sotto forma di contributi ventennali, per la Marina militare dalla legge di stabilità di quell’anno. Di fatto il progetto era quello di dismettere in dieci anni, previo un contemporaneo reintegro di nuove unità, una cinquantina delle circa 70 navi della nostra flotta militare. Anno per anno venivano indicate le demolizioni da eseguire per un naviglio per la gran parte già in disarmo. Alcune dismissioni sono state effettivamente eseguite, altre no. Di regola si è andati avanti accumulando ritardi tali da vanificare gran parte del piano dell’ammiraglio di Paola. D’altra non più speditamente ha progredito l’opera di sostituzione del naviglio militare in disarmo. Risultano attualmente in allestimento ma non ancora attive soltanto una nave di supporto logistico della classe Stromboli, due unità polifunzionali ad alta velocità da 36 metri di lunghezza, tre fregate della classe Bergamini e un sottomarino della classe Todaro. Altre unità sono state finanziate ma non sono ancora in costruzione.
Va anche riferito che non è credibile che un gruppo di navi militari da demolire venga presa e spedita a Piombino senza colpo ferire. Si tratta comunque di un patrimonio pubblico che, anche nella fase di radiazione dai quadri del naviglio militare, è soggetto a regole che, peraltro, come si vedrà in seguito, sono piuttosto complesse e decisamente rigide.
Ma quale è oggi la situazione della navi militari da rottamare? Esistono? Quante sono? Dove sono? Abbiamo provato a fotografare la situazione.
Le navi militari disarmate
Trovi davvero di tutto se vai a cercare le navi disarmate nei tempi recenti dalla marina militare italiana. Non è sempre semplice ricostruire la vita di una singola unità che spesso ha avuto più impieghi, è stata magari più volte riadattata e riorganizzata, è stata battezzata, secondo una regola ormai consolidata, col nome di una o anche di più navi del passato, ha cambiato base operativa nel corso della vita e qualche volta giunge, ristrutturata, da marine di altri paesi. Né è agevole decifrare il destino finale del naviglio. Una ricerca nella quale, come e più dei dati ufficiali, incredibilmente aiutano le cronache dei “funerali” sempre molto partecipati, pieni di ricordi e di rimpianti. Non è raro ormai trovare addirittura sui socialnetwork siti ben strutturati di singole unità nei quali le rievocazioni di antiche gesta riuniscono vecchi marinai.
La morte di una nave è di solito accompagnata da una lenta inesauribile agonia che inizia con la Rtd, ovvero la “Ridotta tabella di disponibilità”. Ovvero la significativa riduzione dell’equipaggio che, a ranghi ridotti all’indispensabile, provvede a presidiare in porto ed effettuare le operazioni di disattivazione che precedono il disarmo e la successiva radiazione della nave dai quadri del naviglio militare dello Stato. Un’attività che richiede spesso non mesi ma anni. L’ultimo ammaina bandiera è la triste cerimonia dell’atto finale. Che non è necessariamente la rottamazione ma spesso procede per altre strade. Non infrequentemente si assiste alla vendita del naviglio ad altre marine come è accaduto per le fregate della classe Lupo cedute al Perù o alle corvette Minerva che, dopo un traino dalla base di Augusta, dove hanno lavorato a lungo a raccogliere i migranti dall’Africa, sono giunte a Genova per gli aggiustamenti necessari alla vendita alla Guardia costiera del Bangladesh. O, come è avvenuto per quattro sommergibili che, acquistati negli anni sessanta dagli Stati Uniti, alla fine sono stati rivogati nuovamente alla marina americana negli anni settanta e ottanta. Pare che tre degli scafi siano stati rivenduti oltre oceano e che uno, il Romeo Romei, sia servito addirittura da bersaglio durante le esercitazioni a largo delle isole Hawaii. Del resto non una pratica proprio insolita se è vero che le due cacciatorpediniere Indomito e Impetuoso hanno fatto la stessa fine per le esigenze di formazione dei nostri marinai.
Qualche rara volta accade che, soprattutto per unità di piccolo tonnellaggio e di fronte a operazioni di rottamazione affatto redditizie, si arrivi ad accordi bonari. Della serie: “prendete pure purché rottamiate”.
Di recente la Marina ed il governo hanno scelto anche la strada della cultura. Così vecchie navi cariche di storia sono state trasformate in veri e propri musei: ne esiste uno a La Spezia realizzato grazie all’impiego del sottomarino Nazario Sauro. In mostra all’arsenale di Venezia è l’altro sottomarino Enrico Dandolo mentre nei padiglioni dell’esposizione della tecnica “Da Vinci” di Milano si può ammirare la vecchia unità Enrico Toti. Un polo museale è previsto a Trieste verso cui sono destinate le navi Fecia di Cossato e Vittorio Veneto e qualcosa del genere si punta a realizzare anche ad Augusta dove, allo scopo, dovrebbe essere utilizzato il sottomarino Lazzaro Mocenigo.
Il resto è mercato, ovvero i tentativi di vendita con finalità di demolizione delle unità. Oggi le tecniche per rottamare il naviglio sono state molto perfezionate e una particolare attenzione viene riservata alla tutela dell’ambiente per operazioni nelle quali si devono spesso trattare materiali pericolosi. In passato non è sempre stato così. Una cronaca del Tirreno degli anni novanta descrive con sgomento la rottamazione del Caio Duilio, un gioiello di incrociatore che l’Accademia militare labronica ha conosciuto come nave scuola.
Va anche rilevato che, in un documento ufficiale della direzione generale dell’Agenzia industrie difesa, ovvero del Governo, già dal 2015 viene fatta menzione di un progetto per “mettere a punto nell’arsenale di La Spezia, un processo industriale pilota, sicuro ed efficiente, sviluppato in adempimento della convenzione di Hong Kong, sul riciclaggio delle navi sicuro e compatibile con l’ambiente e, laddove applicabile, del regolamento Ce 1257/2013, teso ad ottimizzare i risultati delle attività di Ship recycling delle ex unità navali della Marina militare italiana, sia dal punto di vista della creazione di competenza specifica competitiva, sia dal punto di vista della creazione di lavoro relativamente alle attività di cui trattasi”.
Una chiara volontà, quindi, di garantire una fine eco-compatibile alle unità della Marina molte delle quali a La Spezia sono di casa. E, allo stesso tempo, un modo per risparmiare tempo e denaro nell’ultimo atto del naviglio militare. Nella sostanza un polo per il cosiddetto Ship recycling che è difficile non vedere in concorrenza, almeno per la navi militari, con altri che possano nascere. Da rilevare, comunque, che finora ben poco di quanto preannunciato nel 2015 è stato concretamente realizzato nell’arsenale della città ligure.
Le gare di appalto
Dalla tabella che pubblichiamo emergono alcuni elementi che non possono essere ignorati nel capitolo della rottamazione della navi militari. Innanzi tutto si deve rilevare che le unità da rottamare non sono molte e di tonnellaggio abbastanza contenuto.
Alla voce “Destino” potete trovare alcuni punti interrogativi. Si riferiscono a unità la cui sorte non si è riusciti a ricostruire ma che verosimilmente sono pronte per lo smaltimento.
In secondo luogo va anche considerato il lungo periodo di attesa tra la collocazione nella ridotta tabella di disponibilità e l’inizio della demolizione. Un fattore che non aiuta certa chi voglia intraprendere la strada del business delle demolizioni. Infine, come meglio verrà chiarito in seguito, i passaggi per il riciclo dei materiali durante una demolizione è costellato di adempimenti, quasi sempre indiscutibilmente necessari, ma indubbiamente onerosi. Al punto da non indurre nessuno a pensare a lauti guadagni.
Comunque, quando alla fine viene presa la decisione di rottamare una nave, il ministero della difesa, agisce da organismo pubblico, ovvero mette in moto un complesso meccanismo di vendita a terzi con l’obbligo di un riciclaggio sicuro e compatibile con l’ambiente di tutti i materiali presenti sull’unità in demolizione.
Materialmente la gestione dell’operazione è affidata all’Agenzia industrie difesa che appunto fa capo al ministero.
Da quattro anni a questa parte è condizione essenziale per gli operatori acquirenti che essi agiscano con riferimento al regolamento europeo 1257 del 2013. Va detto che il regolamento Ue, al secondo comma dell’articolo 2, prevede alcune esenzioni. Si riferiscono, per esempio, a navi sotto le 500 tonnellate lorde e riguardano anche e soprattutto le “navi da guerra, le navi ausiliarie o a altre navi possedute o gestite da uno Stato e impiegate, nel periodo considerato, esclusivamente per servizi statali non commerciali”. Tuttavia quest’ultima indicazione appare come una possibilità, non certo come un obbligo a disattendere il regolamento (sarebbe assurdo) per il naviglio della marina militare. Si capisce bene che nessun impedimento esiste ad applicare regole più restrittive e di maggior tutela al momento della demolizione di una nave. Tanto è che solitamente la scelta del Ministero della difesa è comunque orientata al rispetto delle indicazioni comunitarie nella demolizione di unità che, peraltro, necessitano, per la loro natura, di particolari attenzioni sotto il profilo ambientale. Sono molti gli esempi. Citiamo, per testimonianza, il caso della demolizione della fregata Carabiniere, in disarmo dal 2008 e oggetto da parte del ministero della ricerca di manifestazioni di interesse per la demolizione nel 2015 o il più recente caso del bando di gara per “la vendita soggetta all’obbligo di riciclaggio sicuro e compatibile con l’ambiente degli ex cacciatorpedinieri Ardito ed Audace” predisposto dall’agenzia industrie difesa e riservato ad “operatori che agiscono con riferimento al Regolamento europeo 1257/13” .
Si può quindi affermare, come regola generale promossa dalla prassi, che solo chi agisce secondo i dettami del regolamento Ue, ovvero chi è iscritto nel registrato che abbiamo citato, può partecipare alle gare indette dall’Agenzia industrie difesa. La quale preliminarmente rende noto un questionario di “Pre- qualificazione” per “selezionare potenziali offerenti ammissibili alla vendita”. I selezionati presenteranno poi offerte in base ad una richiesta del venditore e quindi si espedirà la gara.
Limitiamoci a dire che non sono poche, anzi sono proprio tante, le prescrizioni che vengono richieste ai potenziali acquirenti. E bisogna avere davvero le spalle larghe per poter partecipare ad una gara del genere e per ottenere dal riciclo delle navi reali vantaggi economici.
Speriamo sinceramente di non essere bollati col solito scontato riferimento ai gufi se osiamo pensare che al momento, a Piombino, al di là dell’assenza della indispensabile certificazione europea, non esistono le condizioni per partecipare a gare del genere.
Il mercato armatoriale privato
Come più volte annunciato la Pim presterà anche attenzione al mercato armatoriale privato che, per lo smaltimento delle unità, deve sottostare a precise regole ma che ha oggettivamente meno vincoli del settore militare. Fosse soltanto per il fatto che le navi private non hanno armamento da togliere e smaltire adeguatamente.
Il privato però punta solitamente al sodo, ovvero guarda particolarmente alle condizioni economiche per effettuare le demolizioni.
Fermo restando che anche gli armatori devono sottostare alle regole dell’Europa, essi hanno comunque la possibilità di spaziare su offerte diverse, spesso fuori dei confini nazionali. Una condizione che è meno praticabile e teoricamente difficile da accettare sul piano politico per un nave militare battente bandiera italiana.
Un ingresso per le demolizioni sul piano armatoriale privato contempla, nella sostanza, la necessità di misurarsi col mercato e di sottostare alle regole della concorrenza. Cosa da non sottovalutare dal momento che nel continente sono presenti autentici colossi che utilizzano le più sofisticate tecnologie per restare competitivi sul piano dei costi. E fuori dall’Europa esistono impianti che operano da sempre, che non praticano sistematicamente tecniche come lo spiaggiamento, che, anzi, hanno avuto attestati di qualità dalla stessa Europa e che comunemente trattano naviglio proveniente da privati di rilievo. Che hanno costi per il personale infinitamente più bassi di quelli italiani e in generale europei. Un caso per tutti è il sito turco di Aliaga che sta, per esempio, demolendo attualmente la Costa Allegra, una nave da crociera da 28.500 tonnellate, lunga 187 metri, gravemente danneggiata da un incendio.
Le stesse considerazioni riguardano operazioni di ristrutturazione e, come ebbe a dire Guerrieri, perfino di costruzione di nuovo naviglio da parte di Pim.
L’augurio chiaramente è che alla fine tutto proceda non fosse altro per le difficoltà occupazionali del comprensorio ma, questo precisato, non conviene illudersi sulla facilità di superare difficoltà che esistono e che non sono insignificanti.
Il progetto della Piombino industrie marittime
Il 27 dicembre 2016, in ossequio alle indicazione di legge, la società Piombino industrie marittime ha provveduto a richiedere alla Regione Toscana l’avvio del procedimento di verifica di assoggettabilità relativamente al proprio progetto di demolizione navale controllata e ha depositato la documentazione prevista. Il passaggio è essenziale e propedeutico all’esecuzione delle opere previste.
Agli uffici regionali che trattano le valutazioni di impatto ambientale e le valutazioni ambientali strategiche sono giunti così una relazione sulle ricadute socio economiche del piano e il progetto vero e proprio realizzato dall’ingegner Agostino Molfino della studio genovese Molfino e Longo.
Nel testo relativo alle ricadute socio economiche viene indicata la volontà di realizzare un impianto principale per il riciclaggio delle navi nonché un cantiere per la costruzione, la riparazione e la manutenzione delle unità . Si pone l’attenzione su uno scenario che indica un migliaio di imbarcazioni che in tutto il mondo vengono ogni anno inviate alla demolizione (in prevalenza sono di armatori europei), si sottolinea l’importanza del regolamento europeo che disciplina il riciclaggio dei natanti evidenziando come nel Mediterraneo non esistono impianti certificati dall’Europa. Con la conseguenza del possibile ruolo che in questo senso può avere l’Italia e il porto di Piombino. Non si dimentica, infine, di citare l’apporto che, in questo contesto, possono recitare gli stabilimenti siderurgici.
In questa relazione esiste un capitolo, decisamente importante, dal titolo: “Le prime opportunità commerciali” nel quale testualmente si legge: “La creazione del polo di demolizione delle navi a Piombino è incentivato dalla demolizione di un primo lotto di navi dismesse della Marina militare italiana previsto dall’accordo di programma del 24 aprile 2014. Aldilà della dimensione economica si tratta di un segno di volontà politica, che auspicabilmente si rafforzerà, se si considera che ai sensi del comma 2 dell’articolo 2 del Regolamento alle navi da guerra, a quelle ausiliarie ed a quelle possedute o gestite dallo Stato non si applicano gli obblighi del Regolamento. La demolizione di piattaforme offshore rappresenterà un ulteriore interessante segmento di mercato che la Società intende aggredire in modo appropriato”.
Come abbiamo già rilevato è innegabilmente vero che l’articolo citato offre la possibilità, per le navi militari possedute da uno Stato, di soprassedere alle rigide regole del regolamento. Cosa che, però, nella prassi non avviene privilegiando, il Ministero della difesa, demolizioni operate nel rispetto delle criteri predisposti dall’Europa.
È possibile che per Piombino si faccia un’eccezione e, trattandosi di un “segno di volontà politica”, si deroghi alla consuetudine e ci si giovi dell’esenzione concepita nell’articolo 2. Innegabilmente un decisione del genere costituirebbe, tuttavia, un precedente per altre future e analoghe occasioni. Ovvero non il massimo al punto che ci pare ragionevole ritenere che anche per il porto di Piombino alla fine varranno le stesse linee individuate per tutte le altre demolizioni di navi militari.
Nel testo si riportano poi in dettaglio gli interventi previsti in tre macro aree: “l’area di ingresso, uffici e logistica, l’area di banchina fronte mare da adibire ad area di demolizione navi servita da carroponte per la movimentazione di grosse sezioni strutturali di nave e il molo con banchina operativa allestita con gru per imbarco/sbarco materiali da bordo di navi ormeggiate”. Si indica quindi l’esigenza di procedere in direzione di una tecnologia spinta, si fa il punto sugli indirizzi di mercato con l’indicazione di un recupero della domanda oggi in gran parte rivolta ad operatori che operano nel sud est asiatico, si parla di occupazione (oltre 200 addetti, in prevalenza nell’indotto, a far data dal 2020 e nelle fasi di punta) e della formazione delle maestranze. Si quantificano infine, distribuiti negli anni fino al 2020, i costi dell’investimento complessivo (poco più 15,5 milioni di euro) e quelli di gestione.
A che punto siamo
L’istanza per il procedimento di verifica di assoggettibilità è stata presentata dalla Piombino industrie marittime il 28 dicembre 2016, la documentazione è stata pubblicata nel sito web regionale e quindi la procedura avviata il 24 gennaio 2017. Sono già da tempo trascorsi i 45 giorni previsti per la consultazione e la presentazione di eventuali osservazioni.
Dall’avvio del procedimento, quindi dal 24 gennaio scorso, sono previsti 90 giorni per la conclusione del procedimento che quindi dovrebbe arrivare alla meta il 24 aprile prossimo salvo eventuali richieste o presentazioni da parte del proponente di integrazioni. Aggiunte che, però, al momento non risultano né sollecitate, né inviate. A questo punto non resta, nella sostanza, che attendere l’adozione e la pubblicazione del decreto regionale di approvazione oppure di non approvazione o anche di approvazione con prescrizioni. Solo in quel momento si potrà concretamente parlare di cantieri e di lavori sul porto.