Né l’indiano né domineddio, nessuno fa miracoli
PIOMBINO 10 settembre 2017 — Se l’abitante del pianeta più vicino alla terra, capace di intendere e di volere, osservasse cosa sta succedendo in quel punto sperduto della terra che si chiama Val di Cornia e nel suo centro più abitato che si chiama Piombino resterebbe molto stupito dal fatto che, almeno apparentemente, sembrerebbe non applicarsi lì il principio di causalità. Quel principio per il quale tra i fatti c’è sempre un rapporto di causa/effetto.
Sì, gli accadrebbe perché sembra lì diffusa l’idea che sia avvenuta per colpa del fato cinico e baro la caduta di ogni ipotesi di sviluppo del territorio legata ai fanghi di Bagnoli, alla Concordia, ai progetti del giordano Khaled al Habahbeh e giù per li rami fino a quelli dell’algerino Issad Rebrab. Tutte tanto più propagandate quanto più cadute in modo ignominioso.
Dovendosi pur tuttavia dare una qualche giustificazione, chi per ognuna di esse ha levato alte laudi al cielo per sé e per il commander-in-chief di turno susseguentemente e talvolta contemporaneamente ha di volta in volta individuato i colpevoli negli autori di complotti, nei tessitori di trame, negli accecati da invidia, nei fedifraghi traditori e mentitori. Naturalmente con le debite offese collegate.
Ed invece la causa era di volta in volta molto più semplice. Bastava leggere e riflettere.
Si sarebbe potuto così verificare che
- portare i materiali della colmata di Bagnoli non era realistico per mancanza di soldi, per mancanza di tempi e per mancanza di infrastrutture e di progetti,
- far arrivare e smantellare la Concordia a Piombino cozzava con la mancanza di infrastrutture portuali prevedibili solo in tempi lunghi,
- il piano del giordano Khaled al Habahbeh era fondato sul nulla e sarebbe bastato fare un ricerca in Internet per capire il personaggio,
- il piano dell’algerino Issad Rebrab non era credibile perché non fondato né su analisi di mercato serie, né su tempistiche altrettanto serie, né su finanziamenti certi.
Sì, bastava leggere ed avere il coraggio di non firmare protocolli e accordi anch’essi, di conseguenza, fondati sul nulla e di apprendere e raccontare quello che potremmo chiamare lo stato vero delle cose.
E così oggi quel punto sperduto della terra che si chiama Val di Cornia e quel suo centro più abitato che si chiama Piombino si trovano con un pugno di mosche in mano fondando la loro sopravvivenza prevalentemente sull’ assistenza dello Stato e spesso nemmeno su quella.
Sì, perché anche quell’abitante del pianeta più vicino alla terra capace di intendere e di volere capirebbe che il danno fatto riguarda non solo il passato ma soprattutto il futuro che diventa sempre più nebuloso, dal momento che, mentre si levavano le laudi al cielo per quei progetti tutti sgonfiatisi, niente veniva preparato di diverso, alternativo o complementare che fosse.
Oggi appare all’orizzonte l’ indiano Sajjan Jindal, certamente un imprenditore siderurgico ben diverso da quelli precedenti, e sembra che la storia sia ripartita tutta come se i precedenti non avessero insegnato niente.
Certamente anche l’abitante del pianeta più vicino alla terra si sta chiedendo se questa volta non sarebbe il caso, prima di levare altre alte laudi al cielo, di leggere le carte e riflettere.
E pensare che anche la proposta migliore dell’indiano di turno non esime nessuno da avere pensieri, ipotesi, programmi, progetti diversi e/o complementari e dall’ avere il coraggio e la pazienza di confrontarli con tutti perché nessuno, nemmeno il signore domineddio, ha la bacchetta magica in mano capace rispondere a tutti gli interrogativi che la realtà pone.
E ascoltare tutte le opinioni e valutarle nel merito senza dare la caccia a subdoli retropensieri che non esistono, esercizio che fa perdere tempo a chi li evoca e priva chiunque della possibilità di trovare le soluzioni a problemi che derivano dalla mancanza di lavoro e di futuro.
Soprattutto oggi dopo tutte quelle laudi insulse.
(Foto di Pino Bertelli)