Nessuno si consideri al riparo aspettando Godot
PIOMBINO 4 ottobre 2017 — Dopo l’acquisizione del nuovo “ammortizzatore” che garantisce lo stesso livello di reddito che i lavoratori di Aferpi e Piombino Logistics avevano quando erano in “solidarietà” sembra che sia ritornata la pace sociale a Piombino ed in Val di Cornia, in attesa che alla fine di ottobre si capisca se il contratto firmato da Nardi e Rebrab sarà annullato o no. Che questa pace sociale poggi su una previsione di esborso da parte dello Stato di 32.939.742,53 euro per 1.908 dipendenti di Aferpi e 2.831.298,62 euro per 164 dipendenti di Piombino Logistics fino al 31 dicembre 2018, senza nemmeno l’obbligo per le due imprese di assicurare il lavoro almeno per il 40% del monte ore come era nel caso dei contratti di solidarietà, poco importa.
Invece dovrebbe importare sia in relazione alle sicurezze di questi lavoratori sia alle incertezze di tanti altri.
Nel primo caso vi può essere una relativa certezza se una qualche azienda acquisirà la proprietà di Aferpi e di Piombino Logistics ed accetterà di prolungare quell’accordo e si impegnerà ad un piano industriale capace di dar lavoro a oltre 2.000 persone ma, siccome questa è un’ipotesi poco probabile, anche questa certezza è molto molto relativa. Ancor più relativa nel caso in cui nessun industriale trovi un accordo con Rebrab e lo scenario non possa che essere un nuovo bando pubblico per trovare un acquirente. La cosa aprirebbe prospettive difficilmente valutabili oggi ma certamente tali da rimettere in discussione quelle che comunemente vengono considerate acquisizioni definitive.
E poi ci sono quelle che abbiamo chiamato le incertezze di tanti altri che si chiamano lavoratori delle imprese dell’indotto che ormai sono alla disoccupazione con le nuove regole del Jobs act, di coloro che, non necessariamente impegnati nelle imprese dell’indotto, si troveranno ugualmente in stato di disoccupazione con le stesse regole, i giovani che anche quando si iscriveranno ai centri per l’impiego non avranno nessuna indennità di disoccupazione né con le vecchie né con le nuove regole.
Siccome bisogna tener presente il fallimento non solo dell’accordo con Cevital ma anche di quelle che pomposamente e retoricamente furono chiamate le collegate politiche di reindustrializzazione, ma collegate non erano affatto, la domanda da porsi è proprio questa: è possibile ripensare, o pensarci per la prima volta, a politiche, programmi e progetti che, nella loro coerenza, tentino di mettere sullo stesso piano disoccupati non tutelati, disoccupati poco tutelati, lavoratori non disoccupati ma comunque in qualche modo tutelati dall’intervento pubblico in maniera tale da ridurre le fratture sociali che inevitabilmente il presente ed il passato prossimo non potevano non creare?
Non è solo un fatto simbolico che si sia chiamata quella variante che il Comune di Piombino deve ancora approvare “variante Aferpi”. Corrisponde al fatto che il prius era quel piano industriale, che oltretutto non stava in piedi e questo era chiarissimo fin dall’ottobre 2014, e tutto il resto seguiva. Con tutte le lacune dal punto di vista dei rifiuti, delle infrastrutture, delle bonifiche ambientali, della valorizzazione dei beni siderurgici e così via. Ed anche le politiche del lavoro erano così congegnate, basti pensare che veniva garantito il lavoro ad una certa quota di ex dipendenti Lucchini ma in sostituzione dei lavoratori delle ditte dell’indotto ai quali non veniva garantito proprio nulla.
Insomma si allude alla necessità di un cambiamento di prospettiva che ovviamente non può non poggiare su una progettualità istituzionale che non può essere delegata né ai ministeri (protagonisti di mille accordi di programma tutti falliti) né a Invitalia e nemmeno ad una gestione tutta politica che pensa più all’immagine che alla sostanza.
Girarsi intorno sia nel tempo che nello spazio per vedere le soluzioni date in altri contesti ed in altri paesi non farebbe male a nessuno.
(Foto di Pino Bertelli)