Nomine: una scelta nel gruppo
Troppo spesso la domanda non attiene alla competenza, all’impegno, all’esperienza. Oggi, di fronte alla notizia di un incarico, la richiesta frequentemente punta ad altro: “E costui a chi risponde? Con chi sta?”. Non succede fortunatamente sempre e non è un bel modo di valutare ma ditemi se la constatazione non ha fondamenta. Accade perché si ha la sensazione che il colore che una volta aveva importanza determinante sia ormai sfumato per far posto al “gruppo”, in qualche caso alla lobby che in Val di Cornia per ora è un tentativo di lobby ma non per questo può preoccupare meno. Per anni il filtro dei partiti, anche da noi, ha offerto una garanzia di qualità e rappresentanza alle liste da cui dovevano uscire gli eletti. Fosse un’assise istituzionale, fosse l’ultima delle commissioni e il più insignificante degli incarichi.
Nella sostanza era un’organizzazione comune e superiore a metterci la faccia e a assumersi una responsabilità di fronte agli elettori. Ne derivava che il prescelto era, al pari, caricato di un onore ma anche è soprattutto di un onore per cui era chiamato contemporaneamente a rispondere alla propria coscienza ed al partito che nel corso del mandato lo tutelava e lo difendeva. Certamente i partiti erano totalizzanti e spesso limitanti ma di sicuro offrivano un metodo. Che oggi non esiste più. Il risultato è la scelta di una classe dirigente che nelle nomine davvero sfugge a criteri apprezzabili. Mi ricordo, in una città vicina, l’affannosa ricerca di un assessore che doveva essere donna e avere la tessera di un partitino insignificante gratificato di un posto in giunta. Con queste caratteristiche c’era solo una giovane gonnella, anzi un bikini perché la fanciulla venne scovata mentre ignara prendeva il sole in spiaggia. Certo un caso limite ma comunque un esempio. E spesso quando il caso non è limite forse è peggio. Perché la scelta può aprire la possibilità ad altre logiche, magari a interessi che hanno molto di particolari e poco di sociale. Col risultato, in questi casi, di ribaltare la vecchia consuetudine per cui prima del candidato veniva il partito. E soprattutto con la conseguenza di mortificare la partecipazione generando disinteresse, disamore e repulsione. Ovvero i mali più gravi della nostra democrazia.