Non la crisi ma le crisi della Val di Cornia
PIOMBINO 15 dicembre 2013 — No, non è la crisi della Val di Cornia. Sono le crisi della Val di Cornia. È ovvio che la Lucchini costituisce l’epicentro ma in realtà delle crisi non detiene il monopolio. Alcune alla vicenda siderurgica sono in qualche modo legate, altre no, sono separate anche se non meno gravi. Con poche pennellate si può dire che la Val di Cornia è un territorio di progressivo impoverimento che si distacca sempre più dalla Toscana e dall’Italia sia dal punto di vista della ricchezza delle persone che della presenza imprenditoriale nella quale pongono problemi anche servizi essenziali come quello dei rifiuti urbani. Con l’aggravante, per fare alcuni esempi, che persino l’ Unicoop Tirreno ormai da anni chiude il bilancio in deficit e realtà interessanti per l’intreccio tra beni culturali e impresa come la Parchi Val di Cornia hanno perduto completamente la loro matrice originaria. E la stessa distanza, sia pure con una storia ben diversa, tra origine del progetto e realtà attuale si può cogliere anche nella TAP nel campo dei rifiuti industriali. Nessuno parla della fine che sta facendo la centrale termoelettrica di Tor del Sale ma dire che sta nell’elenco dei problemi non risolti, con le conseguenze negative che questo comporta, avrebbe semplicemente il sapore del guardare in faccia la realtà.
Dire che molte cause stanno in condizionamenti esterni è ovvio, ma limitarsi a questo significa perseverare nella situazione che costituisce una delle cause principali dell’attuale situazione: la tendenza a non parlare della realtà con il linguaggio della verità almeno pubblicamente. Dei condizionamenti esterni bisogna avere consapevolezza ma non per deviare dalle scelte, anche quando sono difficili.
Se un condizionamento è la mancanza di denaro pubblico, ad esempio, si organizzi bene la raccolta differenziata dei rifiuti urbani e si lasci al privato la partita dei rifiuti industriali.
Se la Parchi ha difficoltà finanziarie, ma non è un caso che sia così, se ne accentui la caratteristica imprenditoriale invece di pensare di passarla ad altra responsabilità pubblica con problemi analoghi.
Se uno dei problemi che bloccano le ipotesi di reindustrializzazione sono le necessarie bonifiche da fare, ci si chieda se i progetti finora pensati, ed in realtà mai né progettati né realizzati, sono troppo costosi e si cerchino soluzioni diverse che possano recare in sé convenienze economiche sulla base di progetti imprenditoriali.
Ci sarebbe bisogno di chiarezza ed invece una delle crisi della Val di Cornia è proprio la mancanza di chiarezza. Per difendere posizioni e relazioni acquisite si ha paura di fare scelte e di motivarle. A volte si solleva persino la barriera fumosa della retorica per oscurare l’evidente affresco della realtà, come se la realtà non avesse la forza di squarciare prima o poi quel per trasformare la retorica in un qualche episodio di crisi.
Chiarezza da parte di chi se non da parte della politica? Sì è proprio qui che si arriva, alla capacità e alla volontà della politica di metter in fila razionalmente le cose e di lì partire per indicare prospettive, sbocchi, limiti, compatibilità e scelte che si tengano tra sé.
Inutile dire allora esplicitamente che in Val di Cornia ci sono diverse crisi ma la crisi della politica è quella principale.
(Foto di Pino Bertelli)