Nuovo regime algerino, anche Rebrab in carcere
PIOMBINO 25 aprile 2019 — Hanno arrestato in Algeria Issad Rebrab, l’uomo che doveva salvare l’industria e anche po’ la devastata economia della zona. Lo accusano di sovrafatturazioni e false comunicazioni in relazione al trasferimento di capitali e materiali all’estero. Con Rebrab sono state arrestati altri quattro uomini d’affari del gruppo Kouninef in un’indagine che vedrebbe coinvolta una cinquantina di imprenditori.
A Piombino Issad Rebrab venne accolto a braccia aperte; nel momento della cessione delle acciaierie si preferì lui al gruppo siderurgico Jindal che gli è poi succeduto nel ruolo di “speranza” per le disgrazie del comprensorio.
Quando Issad, nel luglio del 2014, salì per la prima volta le scale del Comune di Piombino pochi lo conoscevano in Val di Cornia ma l’uomo d’affari non era affatto uno sconosciuto nelle stanze dei bottoni del Belpaese. Già nel gennaio 2012 l’ambasciatore italiano ad Algeri, Giampaolo Cantini, aveva avuto l’incarico dal presidente Giorgio Napolitano di consegnare a monsieur Rebrab l’onorificenza di ufficiale al merito della Repubblica Italiana come “riconoscimento dei meriti acquisiti come grande imprenditore e per i rapporti intensi da lui sviluppati con imprese italiane”.
Non è fuori luogo supporre quindi che l’arrivo a Piombino del patron di Cevital sia stato meno casuale di quanto si possa credere e che non sia stato sollecitato.
Il fatto è che la Val di Cornia ha sempre avuto poca fortuna con gli arrivi dei forestieri e, se è vero che Rebrab non era certo il fantomatico ed osannato Khaled dei grandi elaborati grafici mostrati sui tavoli del Comune, egli giunse dalle nostre parti in uno dei momenti meno felici della propria attività. Continuava sì ad essere un imprenditore di successo, il primo del suo paese, era ancora osannato dalla rivista Forbes che lo indicava come uno degli otto uomini più ricchi d’Africa, aveva solide amicizie in Francia, dove a lungo aveva vissuto, era una sorta di monarca, amato e venerato nella sua Cabilia, ma per Issad erano finiti i tempi del generale Toufik, il potente capo dei servizi segreti, dei generali Mohamed Touati e Kaled Nezzar che gli avevano consentito di unire l’ingegno proprio dell’uomo ai consistenti appoggi del governo permettendo all’intraprendente berbero di creare una fortuna e anche, parallelamente, di giovare allo sviluppo dell’economia nel paese nord africano.
Per Rebrab c’erano, già allora, sintomi chiari di una situazione nuova che Stileliberonews cercò di cogliere in un lungo articolo che venne pubblicato il 15 novembre 2015 (https://www.stileliberonews.org/rebrab-e-cevital-successi-e-scontri-in-terra-algerina/) dove, alle innegabili doti del personaggio, venivano contrapposte le difficoltà dell’imprenditore.
Soprattutto in patria dove il patron di Cevital viveva nella gabbia di una situazione economica dorata ma chiusa a doppia mandata verso qualsiasi apertura verso i mercati globali. Proprio quelli a cui tendeva per natura il “sognatore Issad” (definizione dell’ex ministro francese Arnaud Montebourg), ovvero quelli su cui puntava Rebrab per uscire dall’isolamento del proprio paese. Tante volte sulle nostre pagine abbiamo descritto i sogni del patron in Brasile, in Asia, nel corno d’Africa, i suoi rapporti con i cinesi. Progetti che non hanno sortito effetti proprio come l’iniziativa piombinese semplicemente perché non c’è più povero di un ricco che non può disporre delle proprie risorse. Rebrab si è più volte lamentato di non aver ricevuto credito della banche per le sue iniziative a Piombino. Non era difficile conoscere la realtà algerina e le banche la conoscevano bene. In altre circostanze avrebbero aperto la borsa all’industriale berbero; in quei momenti i rischi non valevano la candela.
E quindi più di sempre appaiono oggi fuori luogo, le pressioni che ci furono per cercare di alleggerire la rigidità del governo algerino e consentire un’apertura alle iniziative straniere di Rebrab (https://www.stileliberonews.org/43276–2/).
Non sorprende in assoluto che l’imprenditore, dopo aver dovuto camminare sul ciglio di un burrone in molte recenti occasioni ed aver subito pesantissimi attacchi da parte del governo di Abdel Sellal e dalla presidenza Bouteflika, potesse finire addirittura in carcere con l’accusa di eventuali esportazioni di capitali. Sorprende invece che il patron di Cevital ci sia finito oggi quando il generale Gaid Salah, alla testa di una giunta militare, ha destituito Abdelaziz Bouteflika, sommerso dalle proteste popolari dopo aver annunciato una nuova candidatura alla presidenza del paese. L’opera di pulizia dei membri corrotti dell’era Bouteflika è subito iniziata e non ha risparmiato neanche una delle principali vittime del sistema di potere del vecchio presidente.
Cevital, il cuore degli affari di Rebrab, ha subito smentito “casi di corruzione, di distrazione, e di spreco di denaro pubblico. Simili pratiche – si legge in una nota — sono contrarie alla nostra etica e ai nostri valori. Il nostro gruppo, al pari del popolo algerino, è una vittima del sistema e della sua mafia economica”.
La stampa del paese africano è divisa, la comunità vive un momento difficile, le manifestazioni di piazza si susseguono. Tout sur l’Algerie, una delle più popolari testate on line, ha scritto: “Ciò che è iniziato e continua a presentarsi come un’operazione di mani pulite, sta assumendo l’aspetto dell’insediamento politico di un nuovo clan che, mentre si libera dei simboli più visibili del boutéflikismo, coglie l’occasione per colpire coloro che conosce da tempo come i suoi avversari più determinati quale il capo del Cevital”.
Liberté, il giornale che appartiene alla famiglia Rebrab, ha riportato ieri una presa di posizione di Moussa Nait-Amara, esponente del Movimento culturale berbero, molto popolare in Cabilia, dove l’ostilità al governo è fortissima e la solidarietà a Rebrab molto consistente. Moussa ha detto: “Issad Rabrab è vittima di una congiura perché non è e non è mai stato l’uomo dei clan. È un uomo con la libertà di intraprendere fuori dall’ordinario ed è questa libertà che gli ha causato tante disavventure e blocchi fino alla sua incarcerazione. Attualmente sta pagando il suo rifiuto al clientelismo e all’osservanza ad un clan definito”.