Obbiettivo piani industriali, strutture e sinergie
PIOMBINO 12 ottobre 2013 — Sulla necessità di mantenere e consolidare in Italia un’industria siderurgica non dovrebbero essere spese molte parole. La siderurgia è una attività fondamentale della vita economica di un paese, un ramo industriale chiave da cui dipendono e su cui poggiano tutte le altre attività.
Qualsiasi politica che voglia sviluppare l’economia nazionale, accrescere la produzione, aumentare traffici, sviluppare l’agricoltura e altro, non può fare a meno di rivolgersi alla siderurgia. E’ addirittura impossibile raggiungere un alto grado di sviluppo industriale senza creare, come presupposto, un propria industria siderurgica che, almeno in misura apprezzabile, soddisfi il consumo interno.
Questo quanto affermava Luca Pavolini nel suo libro ”La siderurgia Italiana” pubblicato negli anni ’50, così come di fatto si sosteneva nel piano Finsider, più conosciuto come piano Senigaglia, sempre in quegli anni. Un piano sicuramente discutibile per i tagli che avrebbe portato all’occupazione e per una produzione a ciclo integrale che di fatto non avrebbe risposto ai bisogni complessivi del nostro paese.
Non c’è dubbio, però, che, come afferma Pavolini, anche quel piano, forse l’unico ad oggi per la sua organicità, condivisibile o no, si muoveva dai bisogni del paese, dalla quantità e qualità dello sviluppo, non solo della siderurgia, ma dell’intero apparato industriale e soprattutto cominciava a porsi seri interrogativi sulle caratteristiche dei nostri impianti sul loro rinnovamento e sulla ricerca di nuove tecnologie.
I due vecchi quesiti
Le constatazioni che a distanza di 70 anni si ripropongono davanti a noi:
1) la mancanza di un piano di sviluppo industriale e di una crescita del nostro apparato produttivo serio e organico;
2) un apparato siderurgico obsoleto e scarsamente competitivo.
C’è prima di tutto una responsabilità dei governi a livello nazionale, per la loro cronica assenza su questi fronti. Certo la crisi incombe su tutti i mercati e i paesi della comunità, ma nessuno come il nostro è sprovvisto, e non da ora, di un serio e organico piano industriale ed in esso di un piano siderurgico adeguato; in questo i ritardi e le responsabilità sono anche sindacali.
Prendiamo Piombino, ad esempio. Per anni si è discusso di piani finanziari, di interventi delle banche, di salvataggi attraverso compratori esteri e non, per anni si è tenuto fermo l’obiettivo del ciclo integrale a caldo. Certo c’era e c’è un’ esigenza drammatica, l’occupazione, ma quel sistema non reggeva e non regge più. Oggi si condivide la scelta del forno elettrico e di un sistema di produzione, il corex, che possa garantire il processo integrale.
Tutte scelte condivisibili, ma queste prospettive pongono comunque domande serie a cui non si può dare risposte giorno per giorno, perché queste risposte sono ancora legate ancora ai tempi, ai finanziamenti, ma anche e soprattutto alle finalità di questi investimenti: per chi produrre acciaio, per quale mercato, per cosa e soprattutto con quali tecnologie.
Piombino presenta una struttura aziendale difficile, sia per gli squilibri che ha nella logistica che ha costi alti, sia per i suoi impianti su cui vi è necessità di interventi sostanziosi per l’ammodernamento e il miglioramento delle condizioni ambientali.
La scelta del forno elettrico
In questo contesto va vista anche la scelta del forno elettrico sia per problemi di localizzazione (difficile pensarlo lontano dai treni di laminazione) sia per i costi, ma soprattutto per il suo eventuale impatto ambientale.
Nella manifestazione, importante e significativa del 3 ottobre a Piombino, tutti i sindacati a livello nazionale e la stessa Regione, per bocca del suo presidente Rossi, hanno sostenuto Piombino come questione nazionale; una vertenza significativa si è detto e ciò non può che essere condiviso, ma anche dalle loro affermazioni emergeva in modo significativo la difficoltà a trovare riferimenti nazionali: un piano di sviluppo, una politica industriale ed in esso un chiaro piano siderurgico. La siderurgia come indispensabile settore per una ripresa dell’economia, per una non dipendenza dagli altri paesi.
L’esigenza delle sinergie
Ma il problema è proprio questo; non si può pensare di risolvere i problemi per aree chiuse, si risolvono se metti insieme le aziende che lavorano in tutto il settore, non solo nella produzione di acciaio. Oggi esistono le filiere, ecco così che i paesi non comprano più rotaie, anche se di ottima qualità, ma appaltano le linee ferroviarie, ecco cosa vuol dire fare sinergia, mettere nella condizione la siderurgia e quindi Piombino, di produrre per un mercato completamente cambiato. E’ una risposta che deve dare il governo, è vero, e il tavolo sulla siderurgia, miseramente fallito, è il chiaro segno della inefficienza dello stato, ma anche da qui si deve riuscire ad esprimere la capacità di attrarre energie, professionalità, in grado di produrre idee, di indicare quali settori sviluppare, su quali innovazioni, dal settore manifatturiero a quello agricolo, partendo quindi dalla tipicità del nostro territorio.
Energia, rifiuti, agricoltura, trasformazione di prodotti che arrivano nel nostro porto, un sistema infrastrutturale adeguato. Avere cioè capacità attrattiva. Qui invece, assistiamo ad una situazione assurda e controproducente: invece di attrarre capacità professionali in grado di produrre previsioni e scelte sulla base di studi e ricerche mirate, ci sono i politici che svolgono, purtroppo, questo ruolo, con risultati assai noti. Lo sviluppo del porto ad esempio: nessuno ne nega la necessità, né io mi sento di dire che sia sovradimensionato o no, ma non si può realizzare un’opera senza avere chiara la sua finalità, né si può dire che può diventare centro attrattivo per i container o traffici provenienti dal Nord Africa. Sono tutte ipotesi senza alcuno studio che ne supporti la validità o una seria ricerca di mercato adeguata. Ciò vale anche per la Concordia, su cui è solo da auspicare la sua venuta a Piombino. Rifiuti, energia, agricoltura, trasformazione dei prodotti siderurgici, ambiente, sono settori con forte potenzialità in questo territorio, ma su nessuno di questi c’è un progetto organico. Lo stesso progetto di recupero e trasformazione dei rifiuti industriali, in questo paese spariscono e non si sa dove vanno, qui si è solo finalizzato il conglomix ma nessuno è in grado di sostenerne una commercializzazione adeguata. Ci sono condizioni per trasformare molti nostri prodotti, a partire da quelli industriali per usi anche portuali, ma è necessario cambiare la legislazione vigente e in questo senso ci possono essere esperti interessati a fare qui progetti che vadano in questa direzione compreso l’impegno a cambiare l’attuale legislazione.
I politici, quindi, facciano il loro ruolo, agli esperti e ai tecnici diano l’opportunità di produrre idee e progetti, per avviare questo territorio verso un nuovo e concreto processo di sviluppo, non alternativo, ma complementare con una industria siderurgica rinnovata e all’altezza di rispondere ai bisogni del paese e della Val di Cornia.
(Foto di Pino Bertelli)