Occorre la Provincia storico-industriale di Piombino
FIRENZE 8 novembre 2018 — Poiché la condizione di recessione e di isolamento in cui versa la città di Piombino non è imputabile soltanto ad un problema di crisi delle locali industrie, di fronte alla gravità della situazione è necessario riproporre un progetto, pur consapevole che esso sarà da qualche testata in indirizzo probabilmente “cestinato”, al pari di idee utopiche o visionarie.
Per dare a Piombino e al comprensorio serenità e certezza del domani, allo stato in cui si è giunti è indispensabile, oltre ad ottenere quanto viene invocato quotidianamenue sulla stampa, guardare in alto e puntare risolutamente a un grado di organizzazione e autonomia amministrativa superiore della città, quindi prendere coscienza della sua grande storia e trarne orgoglio e stimolo per ambire a un vero salto di qualità di essa e di tutto il territorio. Il quale da Piombino ha sempre tratto opportunità di lavoro e sostentamento. Bisogna inseguire obiettivi e prospettive che a qualcuno potranno sembrare illusori e troppo ambiziosi, ma che in realtà rappresentano un sicuro mezzo per far decollare Piombino e tutta la sua vasta area sottosviluppata, portandola a livello delle altre realtà toscane: per dare impulso inedito e duraturo al territorio e farlo finalmente vivere e crescere; per impedire, una volta per tutte, che le crisi periodiche legate all’industria siderurgica, da cui è sempre più difficile riprendersi, portino ancora una volta la città stessa alla totale depressione. Ben vengano, allora, la diversificazione economica, lo sviluppo delle attività portuali, la risorsa del turismo, ecc.; ma ci può essere dell’altro a cui la città di Piombino può e deve legittimamente aspirare.
Esiste, infatti, un Sud del mondo, come un Sud dell’Europa, dell’Italia ed anche della Toscana. Basta guardare alla distribuzione delle province della nostra regione per rendersi conto che essa risulta idealmente divisa in due parti distinte: Nord e Sud, con diverso assetto, diciamo, amministrativo. Al Nord sono assiepati ben nove capoluoghi di provincia; rientrano, invece, nella parte meridionale Piombino e la Val di Cornia insieme a Grosseto, la quale sopravvive dignitosamente, nel profondo Sud, grazie al fatto di essere capoluogo di una smisurata provincia con bassa densità di popolazione. A Nord di Grosseto, a ben 150 Km. di distanza, c’è l’altro capoluogo che ci interessa, Livorno, il quale si salva sempre perché sa far bene i propri interessi e perché fa parte dell’arco settentrionale, bene organizzato, della regione, dove appunto sussistono, l’uno accanto all’altro, i nove capoluoghi. Se guardiamo a Piombino, vediamo che essa è assurdamente distante da Livorno, il capoluogo, cosicché resta perfettamente isolata, senza peso politico, col suo carico di problemi che nessuno risolve, priva di arterie e collegamenti veloci con l’esterno che le rendono logicamente difficile servirsi delle istituzioni che contano, come la Prefettura, la Questura, il Tribunale, la Procura della Repubblica, un Ospedale di prim’ordine, la Camera di Commercio ed altri uffici ed enti pubblici.
Piombino ha cominciato a diventare paurosamente zona depressa nel 1815, quando Napoleone aveva avuto la peggio nel conflitto europeo e sua sorella Elisa veniva deportata in Austria, abbandonando i troni di Firenze, Lucca e, appunto, Piombino. Pertanto, quest’ultima città perdette, oltre a una Sovrana illuminata che l’aveva fatta risorgere, l’autonomia politica e l’indipendenza, dovendosi unire, con tutto il suo territorio, alla Toscana austriaca degli Asburgo-Lorena. Questi governanti non si fecero certo scrupolo di umiliare l’ex Stato di Piombino per il semplice fatto che mai i granduchi erano riusciti ad annetterlo alla Toscana durante i suoi secoli d’indipendenza, culminata per di più col dominio francese dei Bonaparte, nemici dichiarati dell’Austria. Alla ex capitale, Piombino, fu imposto di cancellare la memoria storica del proprio passato, e questo fu attuato privandola delle sedi istituzionali, di tutti i suoi archivi, trasferiti a Firenze e a Pisa, degradandola da ente sovracomunale e infine aggregandola al circondario di Grosseto. Successivamente, Piombino passerà nel circondario di Pisa e poi, ma solo nel 1925, nella neo-provincia fascista di Livorno, creata per amore di campanile da Costanzo Ciano e probabilmente destinata allora anche a contenere l’espansione di Piombino. Precedentemente, Livorno rientrava a sua volta nella provincia di Pisa, distando quindi dal capoluogo appena 20 Km. Lo stesso campanilismo e la stessa distanza che ha portato Prato a separarsi da Firenze, nel 1992, e a farsi capoluogo, anch’essa, di una minuscola provincia.
Piombino è rimasta isolata e depressa dal 1815 fino ai nostri giorni, ancorché nel secondo Ottocento, per le caratteristiche portuali e minerarie della zona, iniziasse a diventare predominio di grandi industrie siderurgiche fortemente inquinanti, offrendo soprattutto lavoro pesante, gravoso e usurante a masse di lavoratori provenienti dal circondario e da tutta la Toscana ed oltre. Così si è continuato fino a ieri con la città isolata e depressa, ma tutto sommato acquiescente, perché lo stipendio assicurato a ognuno dall’industria era buono o accettabile. Rimaneva sempre la criticità degli 80 Km che ci separavano da Livorno, dal capoluogo: dell’assurda distanza che bisognava percorrere per varie esigenze; ma la certezza di un lavoro sicuro, discretamente retribuito, faceva tollerare le scomodità di una città, ripeto, isolata e depressa.
Attualmente il clima di Piombino è cambiato di molto, e in peggio. Il clima atmosferico è perfetto, e si spera che così rimanga. È il clima sociale che non va bene, perché si è consapevoli che un secondo “boom economico” e un’altra “Italsider” non torneranno più. Adesso che manca il lavoro e le acciaierie sono quasi in disuso, restano ancora più intollerabili, dannosi e inconcepibili i disagi legati alla città, tuttora anacronisticamente isolata e depressa. Fra i lavoratori di domani ci sono anche i giovani studenti, che pretendono un futuro. Mancando sulla piazza, a differenza di ieri, il posto assicurato a rotazione per decine e decine di giovani diplomati e laureati: periti, ragionieri, ingegneri, chimici, ed altro, dove si volgeranno, se non all’emigrazione, i giovani qualificati piombinesi e del comprensorio? L’emigrazione e la recessione demografica saranno fattori determinanti per le sorti di quest’area ex siderurgica, se non si esigono rapidamente i rimedi necessari.
Con le ciminiere spente, Piombino non sa a che santo votarsi. È inutile, adesso, recriminare su quello che è successo nel recente passato: sul fatto che per decenni si è perseguita programmaticamente la fallimentare monocultura industriale a fini di politica di parte, che si è snobbato il turismo, le spiagge, l’ambiente, la storia e l’arte del nostro Promontorio, che, nello stesso tempo, si è voluto contenere il livello demografico di Piombino mediante l’invenzione di piani regolatori “ad hoc”; che si è fatto poi di tutto, sovvenzionando linee autobus a iosa (cosa mai vista in altre grandi realtà industriali), affinché le maree di pendolari non si stabilissero nella nostra città, la quale sembra non raggiungere mai il peso civile necessario per rivendicare l’adeguata istituzione di uffici ed enti pubblici. Anzi, le istituzioni e i servizi esistenti scompaiono: vedi il Tribunale, l’Autorità portuale, forse il Giudice di Pace, l’Agenzia delle Entrate, il punto nascita di Villamarina…
Ma perché nella Toscana del Nord le cose vanno meglio? Per vari aspetti, ma anzitutto perché qui sono concentrati nove dei dieci capoluoghi di provincia della regione, di cui sette distribuiti a 20 Km. circa l’uno dall’altro: Livorno, Pisa, Massa, Lucca, Pistoia, Prato, Firenze, Siena, Arezzo. L’irragionevole distanza che separa un centro industriale come Piombino dal capoluogo, negli ambiti provinciali, si distingue per essere veramente unica. Va da sé che nell’istituzione provinciale si concentra tutto un ampio apparato burocratico che richiede una vasta gamma di specializzazioni e di competenze. Vale a dire varie possibilità d’impiego per giovani qualificati e, in definitiva, un valido compenso a mancanza di posti di lavoro, nonché maggiore comodità e più semplice fruibilità dei servizi per tutti i cittadini.
Per risollevare Piombino dal basso in cui è stata fatta sprofondare, oltre a tanto altro che deve essere fatto, si dovrebbe soprattutto reclamare il ritorno della città al ruolo di ex capoluogo sovracomunale, relativo attualmente all’area della propria Diocesi o quantomeno all’area ristretta della Val di Cornia e dell’Elba, ovverosia al territorio abbandonato e depresso posto ai margini meridionali dell’attuale provincia livornese. Alla Val di Cornia andrebbero poi riuniti almeno i territori affini adiacenti del Golfo di Follonica, comprendenti appunto Follonica e Scarlino, entrambe comunità strettamente legate per lunghi secoli a Piombino.
L’antica Diocesi di Populonia, nella quale Piombino, come Populonia stessa, si colloca in posizione perfettamente baricentrica, rispetta tutt’oggi l’estensione e i confini delle origini: comprende l’Elba e si estende da Donoratico a Follonica, lungo costa, raggiungendo Massa Marittima, nell’interno. Istituire a capo di tutto questo territorio un organismo amministrativo sovracomunale darebbe un enorme beneficio, in ogni campo, a tutte le comunità che lo compongono. Piombino si pone infatti come ideale centro amministrativo in quanto località baricentrica e la più popolata, già ex Capitale di Stato, storica Città siderurgica e Sede Vescovile: insomma, la Provincia storico-industriale di Piombino non risulterebbe una benevola concessione governativa, ma in un coerente e moderno assetto amministrativo del detto territorio, oltre che nel giusto reintegro della città alla sua prerogativa storica di funzione sovracomunale.
Va detto che, purtroppo, nel corso degli anni passati, questo diritto della città di Piombino e tale conquista di civiltà non hanno mai appassionato troppo le amministrazioni e i politici piombinesi che, per la verità, attraverso i propri numerosi ex parlamentari, e addirittura un Vicepresidente della Camera dei Deputati, avrebbero potuto fare molto.
Esistono attualmente diversi capoluoghi di provincia, alcuni dei quali di recentissima istituzione, con popolazione all’incirca uguale o inferiore a quella di Piombino, città che negli Anni ’70-’80 sfiorava e superava i 40.000 abitanti: Sondrio, anno 1971 abitanti 22.900 — Isernia, anno 1970 abitanti 21.800 — Carbonia, anno 2001 abitanti 28.500 — Vebania, anno 1992 abitanti 30.800 — Oristano, anno 1974 abitanti 31.600 — Belluno, anno 1923 abitanti 35.800 — Nuoro, anno 1927 abitanti 36.900 — Fermo, anno 2004, abitanti 37.000 — Biella, anno 1992, abitanti 44.600 — Lodi, anno 1992, abitanti 46.200 — Vercelli, anno 1927, abitanti 46.500 — Frosinone, anno 1927, abitanti 46.900 — Lecco, anno 1992, abitanti 48.100. Qualcuno obietterà che le province, come il Senato della Repubblica, sono destinate a scomparire; ma basta guardare a com’è finito il tentativo fatto di recente dal Governo.
Nedo Tavera