Onori e strafalcioni per la partigiana medaglia d’oro
MASSA MARITTIMA – 20 febbraio 2018 — È il 7 maggio 1945 la Germania ha firmato la resa incondizionata; alla mezzanotte la seconda guerra mondiale avrà fine. Oskar Schindler riunisce gli operai ebrei della sua fabbrica di Cracovia e invita le guardie tedesche a entrare. Al microfono si rivolge agli internati e infine agli altri che in divisa assistono appoggiati alla balaustra sopra il salone: “So – dice — che avete avuto l’ordine di eliminare la popolazione di questo campo, quindi questo è il momento di farlo. Eccoli, sono tutti qui, è la vostra opportunità. Oppure potete andarvene e tornare dalle vostre famiglie da uomini e non da assassini”. In silenzio tutti i soldati tedeschi escono.
È il 23 giugno 1944, i primi carri armati americani sono ormai alle porte di Massa Marittima. Il giorno dopo, nel primissimo pomeriggio, gli alleati saranno in piazza Duomo. Per i fascisti repubblichini e per i tedeschi è la disfatta. Avrebbero potuto andarsene e “tornare dalle loro famiglie da uomini e non da assassini”. Non lo fecero. Il loro comandante neanche riuscì a concepire una simile opportunità. Walter Reder guidava, dalla sua villa alla fine del viale dei cipressi a Borgheri, gli spietati granatieri della 16ª divisione corazzata Reichsführer-SS e aveva competenze lungo tutta la costa da Grosseto a Cecina. Scriverà di lui Roberto Battaglia, comandante partigiano e storico della Resistenza,: “In ogni paese occupato dai nazisti si ricorda un luogo dove la ferocia si scatenò nel modo più barbaro, più bestiale che sembrerebbe addirittura inconcepibile a mente d’uomo: Lidice in Cecoslovacchia, Orandour sur Glane in Francia, Kiev e Rostok nell’Unione sovietica. Ma pochi episodi si possono paragonare alla serie di stragi, compiute dal battaglione delle SS comandate dal maggiore Reder nella sua spaventosa marcia dalla Toscana all’Emilia. E ciò non soltanto per numero di morti o per l’orrendo massacro di donne e bambini che caratterizzarono queste stragi ma per la fredda, inumana volontà di uccidere per uccidere, di massacrare per massacrare”.
Reder, nel 1951 durante il processo nel quale a Bologna venne condannato all’ergastolo, tentò perfino di alleggerire la propria posizione: “Gli italiani – disse — non mi volevano poi tanto male se, potendolo fare a botta sicura, non mi spararono”. E più tardi, in un’intervista a Enzo Biagi, puntualizzò meglio: “Non mi spararono a Massa Marittima”.
L’ufficiale nazista si riferiva all’azione dimostrativa del 10 giugno 1944 quando i ragazzi di Renato Piccioli e della sua “Camicia bianca”, entrarono in paese per poi velocemente riconquistare le posizioni alla macchia.
In quella occasione il partigiano Luciano Bindi, appostato alla porta del Salnitro, si trovò di fronte una camionetta che risaliva da Schiantapetto, un ufficiale ritto in piedi a osservare, era senza un braccio, era Reder.
Bindi provò a sparare ma il suo fucile 91 era in sicura. Così aveva deciso il comandante quando, nell’euforia e nella gioia del momento, un pallottola aveva colpito per sbaglio la natica di un vecchio del paese.
I giorni dell’attesa, gli ultimi della guerra, diventarono così quelli in cui la ferocia a Massa Marittima si espresse nei modi più terribili. Se la responsabilità principale resta al comandante, altre colpe, quelle dirette, neanche si sono potute appurare. Sconfortantemente la Procura generale del regno chiuse, a La Spezia, la propria requisitoria invitando il giudice istruttore a non procedere “essendo rimasti ignoti i militari tedeschi autori” di tali orrendi misfatti. Per la cronaca qualcuno di quei soldati perfezionò poi le proprie pratiche di morte a Valla, a San Terenzo, a Vinca, al Frigido, a Bergiola e infine a Marzabotto.
I nomi delle vittime, dei morti di Massa ci sono invece tutti; stanno nei cippi, nelle lapidi, nei cimiteri a perpetua memoria dell’orrore.
Una memoria che va concretizzata, senza ipocrisia, con lo studio, l’azione, la conoscenza, la puntualità che gioverà alle future generazioni, il rispetto a chi ha dato la vita per la nostra libertà.
Per questo, voltando pagina e aggiornando il calendario ai giorni nostri, vorremmo soffermarci sul ricordo e la volontà di onorare l’eroina che, senza nulla togliere agli altri caduti, è rimasta più viva nei ricordi della gente: Norma Parenti Pratelli. Una donna coraggiosa, una persona generosa, una mamma di un bimbo di pochi mesi, una ragazza di 23 anni con un’intera vita davanti, una cattolica praticante la cui fede merita ogni ammirazione da un lato e rispetto dall’altro.
Basterebbe anche solo questo. Ma si deve aggiungere che chi la torturò e la uccise non stava combattendo: tutto infatti era ormai deciso, le cannonate americane annunciavano la fine della guerra a Massa e solo autentici assassini potevano sfruttare gli ultimi istanti prima della fuga per compiere gli ultimi gratuiti massacri.
Appare perfino fuori luogo ripercorrere qui la vita di Norma Parenti, dalle sue umili origini a Monterotondo, all’osteria dei genitori nel Borgo a Massa, alla intraprendenza e alla vivacità della sua adolescenza, alla bellezza di una ragazza estroversa e avanti con i tempi, al ruolo avuto negli istituti religiosi che frequentò, al matrimonio, al marito Mario Pratelli, costretto alla macchia, all’amore per la libertà che la portò a essere partigiana vera prima ancora che staffetta, all’altruismo generoso con cui sfidò i carnefici di Guido Radi quando il corpo del giovane partigiano venne esposto e vilipeso in piazza, al rifiuto di mettersi al sicuro in un luogo protetto nei giorni in cui erano note a tutti le attenzioni di fascisti e nazisti verso la sua attività.
È sufficiente qui citare l’ottimo libro che a Norma hanno dedicato Antonella Cocolli, Nadia Pagni e Anna Rita Tiezzi, un’opera ricchissima di testimonianze, scrupolosamente impaginata e organizzata, assolutamente essenziale per conoscere e onorare la giovane partigiana. Gran merito va a Riccardo Bicicchi per la mini serie in cinque puntate che col titolo “La Resistenza di Norma” è stata realizzata nel 2015 per il Corriere della sera Tv e che è ancora disponibile nel Web. Poi il lavoro in archivio di Simonetta Soldatini, la bellissima canzone che a Norma ha dedicato il cantautore Pietro Sabatini, il puntuale lavoro di Riccardo Michelucci nella puntata del 23 giugno 2017 di Wikiradio su Rai Radio 3 e – come sarebbero potute mancare – alcune stupende foto dell’indimenticabile amico Corrado Banchi. Senza dubbio Massa intera ha sempre scelto di ricordare.
Ma non è certamente tutto. E provvedere bisogna se non altro per vincere l’insidia del tempo che trascorre e spesso fa dimenticare i particolari che non solo forma ma sostanza.
Questa volta l’occasione l’ha offerta una iniziativa di Silvia Velo, sottosegretaria uscente all’ambiente e candidata al Senato per il collegio Livorno-Grosseto. Nei giorni in cui, tra timori e realtà, i media propongono manifestazioni di gratuita intolleranza, spesso e volentieri etichettate come fasciste, la Velo ha deciso di andare a deporre una corona di fiori sulla tomba dell’antifascista Norma Parenti. Lo ha fatto in piena campagna elettorale, si è garantita la compagnia di un fotografo e ha inserito nei social network l’immagine del suo omaggio all’eroina del 1944. A molti la cosa è apparsa normale, alcuni hanno applaudito, altri l’hanno considerata assolutamente strumentale al punto di cancellare addirittura la foto in uno dei siti più frequentati a Massa Marittima.
Al di là di ogni giudizio a noi l’attività della Velo ha piuttosto offerto l’occasione per onorare la Parenti non solo con i fiori di circostanza ma anche con qualcosa che ci appare assai più opportuno. Sì perché l’eroina partigiana pare proprio che non abbia pace neanche da morta tanti e tali sono stati nel tempo gli strafalcioni che hanno caratterizzato ogni iniziativa concepita per ricordarla.
Cominciamo con la tomba, proprio quella tomba che è stata visitata dalla Velo. Fu realizzata a suo tempo e non ci permetteremmo di esprimere giudizi sull’ultima dimora di una donna come Norma. Però dobbiamo dire che non è proprio possibile che sulla lapide siano state riportate in maniera errata sia la data di nascita che quella di morte. Nel marmo si legge che la Parenti è venuta al mondo il 21 giugno 1921. Non è così. Per chiarirlo basta andare a pagina 213 del libro della Cocolli dove è riportato il certificato di battesimo di Norma nel quale il parroco Alessandro Franceschi indica la data di nascita nel primo giugno 1921. Nella stessa pagina del libro il canonico firma la certificazione di morte avvenuta il 23 giugno e non il 22 giugno come riportato nella lapide.
Da cosa può essere scaturito l’errore? Difficile dirlo ma si può ipotizzare che le indicazioni errate possano entrambe essere derivate da una lettera (22 settembre 1944) della sezione del Partito Comunista Italiano di Massa Marittima nella quale (giustamente) si sollecitava il compagno Mauro Scoccimarro, membro della direzione nazionale, ad adoperarsi perché la Parenti potesse ottenere il riconoscimento della medaglia d’oro al valor militare. In questa lettera, scritta evidentemente nella fretta del momento – il segretario di sezione allora era Ghino Corzi – le due date sono infatti riportate in maniera errata e esattamente come sulla lapide. Come conseguenza si finisce per confondere anche la data dei funerali avvenuti il 26 giugno. Nel testo inviato a Scoccimarro si parla infatti di “tre giorno dopo” la morte e quindi, per l’estensore della lettera, il 25 giugno e non il 26. Assolutamente veniale e comprensibile con i tempi invece la totale omissione del Pci circa il fatto che l’eroina fosse una cattolica fervente.
È possibile rimediare oggi per i due errori di data? Costa poco sentire un marmista e l’impresa, senza minimamente toccare il resto della tomba, pare essere fattibile. Noi lo faremmo ma non ce la sentiamo di biasimare chi, in ossequio a quel che è stato, volesse lasciare le cose come stanno dopo tanto tempo.
L’iniziativa della sezione massetana del Pci ebbe comunque successo e infatti oggi Norma Parenti Pratelli è una delle sedici donne – solo sedici in tutta Italia – a cui è stata attribuita la medaglia d’oro al valor militare.
Purtroppo ci risiamo. Nell’incisione del metallo il ministero della difesa ha commesso un errore che questa volta non ci sentiamo di perdonare. Infatti in una faccia della medaglia viene indicato come anno della morte il 1943 anziché 1944. Cosa davvero grave se non altro perché nel giugno 1943 non c’era ancora stato né l’ordine del giorno Grandi, né la firma dell’armistizio di Cassibile. Che i tecnici della nona divisione “Ricompense e onorificenze” del ministero della difesa non abbiamo avuto neanche un dubbio è cosa imperdonabile. E questo strafalcione purtroppo non si rimedia. La medaglia è oggi conservata dal figlio di Norma e ovviamente non ha minor valor per l’errore. L’anno sbagliato è stato trascritto anche nella motivazione del riconoscimento dove, per perseverare nella ricerca della perfezione, si riferisce anche la data errata della morte (22 giugno).
Non è finita. A Roma nel IV municipio, zona Casalotti, l’amministrazione comunale, alcuni anni fa, decise di intitolare una strada a Norma. Chiaramente la sollecitazione venne da Massa Marittima ed ebbe il deciso appoggio dei vertici dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Così nel 2007 passando in una via di quella periferia della Capitale un cronista della Nazione notò un cartello che recava (testuale con lettere tutte minuscole) : “via norma fratelli parenti”. Chiaro come il sole che, per esigenze di sintesi, nella pratica quotidiana e anche in diversi documenti, quella strada sia diventata nel tempo semplicemente “via fratelli”, ovvero un generico omaggio della toponomastica ad una stretta parentela familiare che, fatta eccezione per Caino e Abele, nella storia ha generalmente prodotto azioni meritevoli. Poco però a che vedere con l’eroina partigiana di Massa Marittima.
Ci furono immediati articoli sulla Nazione e anche una cordiale ma ferma lettera dell’allora sindaco Lidia Bai al collega romano Walter Veltroni. Il quale rispose annunciando il suo interessamento verso l’ufficio della toponomastica urbana. Sono passati i sindaci, è passato il tempo e francamente non ci è apparso che qualcosa sia cambiato. Nei giorni scorsi abbiamo chiesto aiuto a una gentile collega romana, Giulia Terrana, che si è prestata per un sopralluogo e per una nuova fotografia in “via fratelli”. Così ci siamo accorti che qualcosa era stato cambiato. La vecchia targa fotografa nel 2007 riportava, come dicevamo, la scritta, tutta con lettere minuscole: “via norma fratelli parenti”, la nuova targa, fotografata il 15 febbraio scorso, alterna invece le lettere maiuscole (solo le iniziali) con quelle minuscole e la targa recita ora: “Via Norma Fratelli Parenti”. Nella sostanza, una beffa.
Verosimilmente è accaduto che l’ufficio toponomastica ha preso nota della richiesta del cambio ma ha equivocato sulla motivazione: magari ha pensato a ruggine, danneggiamenti o perdita di colore. Fatto è che ha ordinato una nuova targa, con lo stesso testo di quella precedente e, diligentemente, ha dato corso alla sostituzione. Con soddisfazione dei “fratelli” che continuano a dettare indirizzi e domiciliazioni.
Il perdurante strafalcione, questa volta, può davvero essere rimediato. Se qualcuno vorrà mandare due righe alla Raggi… Se oltre ai fiori alla Velo dovesse interessare anche altro…
Alcuni hanno voluto evidenziare la difficoltà che potrebbe comportare il cambio di denominazione della via sui documenti dei cittadini. Abbiamo chiesto a un responsabile del servizio anagrafe di un Comune di medie dimensioni il quale ci ha riferito che “non ci sono problemi”. Non c’è bisogno di alcun adempimento per il rinnovo dei documenti scaduti: i nuovi arriveranno già con la denominazione rivista; per quelli in corso di validità il Comune può rilasciare, in carta libera e a costo zero, una dichiarazione da tenere unita a patenti, carte d’identità ecc., con l’indicazione che la via ha un nuovo nome.
Nessuna incombenza invece per un eventuale cambio nel Comune di Follonica dove, a cose fatte, ovvero quando questo articolo era già comparso, c’è stato segnalato un altro strafalcioncello. Anche in riva al Golfo esiste infatti una strada a suo tempo dedicata a Norma Parenti. Nella delibera che venne allora adottata viene indicata la denominazione: “Via Norma Pratelli Parenti”. Meglio sarebbe stato decidere per “Via Norma Parenti Pratelli”. Ma la sensibilità di posporre il nome acquistato in seguito a matrimonio è maturata, e perfino non del tutto, in tempi recenti. Quindi passi la scelta dei vecchi amministratori ma non quella dei loro successori i quali hanno provveduto a collocare un cartello con la scritta “Via N. Pratelli”. Pare che a seguito delle nuove segnalazioni, in Comune si sia orientati alla sostituzione della targa. Non resterebbe quindi che attendere e vigilare.
Anche a Grosseto esiste una strada che è stata intitolata a Norma Parenti. In questo caso si tratta di un piccolo vicolo non lontano dalla cittadella degli studi, nella zona sud del capoluogo maremmano. Lo si può facilmente trovare percorrendo via Brigate partigiane in direzione mare. Pochi metri dopo l’incrocio che porta in via de Barberi e, sulla destra, ecco la viuzza.
Un piccolo slargo che ha una caratteristica particolare che lo rende unico tra tutte le strade che, nel tempo, sono state intitolate alla memoria della partigiana di Massa Marittima. Si tratta infatti di una via privata. Che fa quindi parte della toponomastica urbana di Grosseto ma non è pubblica. E infatti nel cartello che la indica si può leggere “Via privata Norma Parenti”. Colpisce il fatto che tra tanti infiniti strafalcioni, tra tante strade e luoghi pubblici dedicati ad un personaggio luminoso l’unico esempio di una targa giusta sia quello che hanno offerto non istituzioni o esperti funzionari pubblici ma cittadini privati animati solo da buona volontà.
Per la cronaca, oltre a Massa Marittima, Roma, Follonica e Grosseto, una via a Norma Parenti è stata dedicata anche in Lombardia nel Comune di Fizzonasco in provincia di Milano. In questo caso si è scelto di scrivere sulla targa “Via N. Parenti”. Meglio Norma di quell’anonimo “N.” ma insomma… A Piombino all’eroina partigiana è stato invece intitolato edificio scolastico nella frazione di Populonia. Anche in questo caso poca fortuna. Quella tranquilla scuolina elementare pare infatti destinata alla chiusura per mancanza di alunni.
Nell’ultima puntata della serie del film di Bicicchi, Esperia Franceschi, amica del cuore di Norma, mostra commossa un messale che la Parenti le regalò nel 1940 in occasione di un suo compleanno. In una bella testimonianza la donna afferma anche che la sua estroversa amica era sempre pronta a dare e non le importava di ricevere. Se ne potrebbe dedurre che da lassù Norma si diverta a intervenire a suo modo in ogni terrena manifestazione che in suo onore viene allestita. Come altrimenti spiegare una tale alluvione di errori!
Chi la dura la vince, si dice. Ti auguro di spuntarla ma la vedo dura. Conosco abbastanza bene i fattacci che portarono l’eroe Norma Parenti alla morte perchè li inserii in una mia mostra sul fascismo risalente al 1975 o 1976. Il libro di Carlo Groppi ha portato nuove notizie sul fattaccio. I tuoi scritti recenti, uguale. Ribadisco il significato positivo del gesto compiuto dalla candidata Silvia Velo. Non so chi sia quel funzionario che dice non esserci problemi a cambiare il nome di una via. A me risulta di sì. Esempio: quando intitolammo a Carlo Morelli una traversa di via dei Mille, le spese se le assunse il Comune, le famiglie erano poche e, quindi, si spese pochi euro. A Roma, non so. Comunque se la sindaco romana modifica in senso giusto quella denominazione io ne sarò felice.