Per le bonifiche strumenti che hanno già fallito
PIOMBINO 4 maggio 2014 — Piombino è da 14 anni un sito d’interesse nazionale (SIN) per le bonifiche ambientali. Non è un vanto, ma un gigantesco problema. Da allora si sapeva che lo sviluppo e la riconversione produttiva delle industrie che ricadono al suo interno sarebbe stata impossibile senza la rimozione dell’inquinamento dai suoli e dalle falde acquifere, conseguenza di lunghi decenni di lavorazioni siderurgiche. Per estensione territoriale e livello di contaminazione l’industria maggiormente coinvolta è la Lucchini, con i suoi 600 ettari di terreni, pubblici e privati, interessati da lavorazioni e stoccaggi di materie prime e rifiuti.
Da molti anni si sa che nelle procedure previste per la bonifica dei SIN (la cui competenza è affidata direttamente al Ministero dell’Ambiente) qualcosa non funziona, tant’è che sono pochissime le bonifiche effettuate in ambito nazionale e pochissimi i territori contaminati restituiti agli usi legittimi. A Piombino, dove il SIN interessa circa 1000 ettari di territorio e circa 2000 ettari di aree marine, a distanza di 14 anni non risulta effettuata nessuna significativa bonifica dei suoli e della falda acquifera. Limitatissimi interventi sono stati effettuati solo in ambito portuale in concomitanza di adeguamenti di opere marittime. Molte sono le risorse finanziarie stanziate e non spese se non per indagini, studi e progetti che non hanno prodotto risultato alcuno. La spesa pubblica è stata largamente improduttiva e quella dei privati più che a bonificare è stata destinata agli infiniti ricorsi legali contro atti e provvedimenti della pubblica amministrazione. C’erano seri motivi per una riflessione sulla legislazione, sul concetto stesso di bonifica, sull’assenza di una progettualità in grado di affrontare concretamente il tema del risanamento ambientale senza sconfinare nell’utopia e nell’astrazione temporale ed economica. Non lo si è fatto. Si è preferito costruire mirabolanti scenari come quelli che presupponevano esborsi milionari delle industrie in crisi allo Stato per risarcimento di danni ambientali da destinare a costosissimi e opinabili progetti di bonifica (come la costruzione di una barriera fisica profonda tra la foce del Cornia e il porto per bloccare il deflusso in mare della falda inquinata stimata in circa 140 milioni di euro) o come quelli che avrebbero dovuto ingigantire le risorse destinate alle bonifiche accogliendo nel porto di Piombino i rifiuti della colmata di Bagnoli. Per questo sono stati sottoscritti molti Accordi e Protocolli tra le istituzioni, tutti finiti nel nulla senza mai riflettere sulle cause di così clamorosi fallimenti.
E nel vuoto più assoluto siamo giunti al fallimento e alla vendita della Lucchini senza che nessuno dei terreni su cui oggi s’invocano investimenti per la riqualificazione e la riconversione produttiva sia stato bonificato. I problemi restano gli stessi e identica è la risposta nell’ennesimo Accordo di Programma sottoscritto il 24 aprile 2014.
Si ritrova il proposito di mettere in sicurezza la falda tramite barriere fisiche e idrauliche lungo la costa del SIN da Poggio Batteria al fiume Cornia, trincee drenanti, pozzi di emungimento delle acque, impianto di trattamento delle acque emunte, ecc. Opere che richiedono investimenti ingenti, ben superiori ai 50 milioni stanziati dall’Accordo di Programma, e che vanno realizzate integralmente per assicurare che le acque della falda sotterranea non defluiscano comunque in mare. Senza considerare i costi elevatissimi per la gestione degli impianti di emungimento e trattamento delle acque inquinate che saranno posti permanentemente a carico dei soggetti che s’insedieranno sul sito.
La cifra stanziata risulta assolutamente irrilevante se si considera inoltre che è destinata anche alla messa in sicurezza operativa del suolo delle aree demaniali sulle quali si prevede di realizzare nuovi impianti siderurgici e di insediare nuove attività produttive, ossia i motori della riqualificazione e della riconversione produttiva auspicata. Si tratta di oltre 500 ettari di terreno il cui costo di bonifica non è stato mai quantificato ma che, per difetto, può ritenersi non inferiore ai 500 milioni di euro.
Come sarà possibile, in tempi ristrettissimi, affrontare e risolvere problemi non risolti nei 14 anni precedenti, considerando che il fallimento della Lucchini rende ancora meno credibile il recupero delle spese in danno delle imprese responsabili dell’inquinamento, come ancora prevede l’accordo sottoscritto il 24 aprile? Problemi non risolti che pesano come macigni sulla sua credibilità.
Si comprende il bisogno di promettere qualcosa a chi sta perdendo il lavoro e alle imprese che dovrebbero investire a Piombino, ma non si può sottacere il fatto che gli strumenti messi in campo con questo ennesimo accordo sono gli stessi che hanno ripetutamente fallito fino ad oggi.
(Foto di Pino Bertelli)