Per la Lucchini evocazioni e politiche passive
PIOMBINO 1 settembre 2014 — Non è ben chiaro cosa significhi che le proposte fatte da Jsw in materia di occupazione nella proposta di acquisto di Lucchini «non sarebbero percorribili secondo le regole dell’amministrazione straordinaria e, più in generale, secondo la legge» come è stato scritto da più di un quotidiano e dunque sarà necessario aspettare sia la posizione ufficiale del Commissario sia il pensiero del Ministero dell’Economia. In ogni caso ad oggi è chiara la linea in materia di lavoro espressa nell’ accordo di programma che costituisce il punto di riferimento ufficiale esistente. Il titolo è pomposo «Politiche attive del lavoro e misure per il reimpiego ed in progetti di riconversione» ma il merito purtroppo lo contraddice e non va molto più in là di evocazioni da un lato e di tradizionali politiche passive dall’altro.
La formazione per la riqualificazione del personale è affidata al coinvolgimento dei Fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua la cui utilizzazione è demandata alla volontà delle nuove imprese interessate dalla crisi industriale dell’area di Piombino ammesso che siano iscritte ai Fondi e dunque fa parte delle evocazioni.
Per le misure per il reimpiego i firmatari dell’accordo, che sono tutti enti pubblici, non fanno altro che elencare gli ammortizzatori sociali tradizionali oltreché dichiarare impegni a favorire una serie di misure, quantomeno assai problematiche nella loro possibile attuazione. Misure che vanno da progetti speciali per azioni di bonifica ambientale, di infrastrutturazione delle aree produttive, di smantellamento di impianti obsoleti e di supporto ad eventuali sperimentazioni di tecnologie siderurgiche innovative fino alle attività socialmente utili con risorse a carico della Regione Toscana, passando da punteggi premiali nell’assegnazione di lavori da parte di soggetti attuatori pubblici per le imprese che ricorreranno ai lavoratori del Gruppo Lucchini o dell’indotto.
Misure molto problematiche, per non dire irrealizzabili, ed alcune perfino dannose, si pensi alla fallimentare esperienza passata dei lavori socialmente utili. Tutte fondate sulla volontà dei soggetti mancanti, cioé le imprese, ammesso che vi siano, impegnate nel processo di reindustrializzazione. Anche in questo caso evocazioni costruite su frasi accattivanti ma senza contenuto.
Al di là del merito specifico ciò che emerge è che siamo ancora nel caso, ormai diventato consuetudine pluriennale in Italia, in cui l’orizzonte in cui ci si colloca è quello delle misure passive di politiche per il lavoro assicurate dagli ammortizzatori sociali, sopratutto la cassa integrazione che nel corso del tempo, anche attraverso la formula della cassa integrazione in deroga, si è via via sempre più allargata. La formula è classica: cassa integrazione straordinaria e ordinaria e in deroga, contratti di solidarietà, indennità di mobilità. Sostegno al reddito per lavoratori già occupati. È la formula italiana che si regge da un lato sul consenso delle aziende e delle organizzazioni sindacali e dall’altra sul finanziamento pubblico (http://www.lavoro.gov.it/AreaLavoro/AmmortizzatoriSociali/Pages/default.aspx).
È la formula, più volte e per anni criticata ma mai riformata, che tutela i lavoratori già occupati ma lascia ai margini i disoccupati, sopratutto giovani, e divide la platea dei possibili lavoratori in protetti e non.
Niente a che vedere con la flexicurity di altri paesi europei che unisce agenzie pubbliche e private per l’impiego, cittadini, imprese ed agenzie formative in percorsi mirati di sostegno alla ricerca del lavoro in progetti individuali in cui ognuno si assume una parte di responsabilità. Politiche attive e non politiche passive.
La differenza con lo strumento descritto in un altro articolo per il caso Alitalia , sia pur con una sperimentazione del contratto di ricollocazione entrato recentissimamente nella legislazione italiana, è chiarissima: da un lato elencazione di strumenti tradizionali di politiche passive, dall’altro tentativo di inaugurazione di politiche attive, sia pure riservate ai lavoratori già impegnati.
Chissà se alla fine della vicenda Lucchini anche la Toscana potrà diventare la sede di un mutamento di politiche del lavoro più eque sia dal punto di vista economico che da quello sociale e, se è consentito, anche personale? Si potrebbe tentare, basterebbe volerlo.
(Foto di Pino Bertelli)