Per una città che dà concretezza ai desideri
PIOMBINO 19 gennaio 2014 — Martina Pietrelli, 36 anni, piombinese, lavora nel Comune di San Vincenzo come responsabile dell’ufficio scuola, sociale, relazioni col pubblico e comunicazione. Diplomata al liceo classico, consegue la laurea in Filosofia all’Università di Pisa col massimo dei voti. A 22 anni entra in consiglio comunale a Piombino con i Ds ed è la donna più votata. Tra le principali iniziative a cui collabora nella sua esperienza di consigliere l’apertura del Centro giovani, l’avvio del Centro gioco educativo, l’approvazione del Piano particolareggiato della Costa Est e le sue successive evoluzioni e del Piano della Costa urbana, l’avvio della consulta degli immigrati, l’istituzione del registro delle unioni civili.
Qualche giorno fa ha ufficializzato la sua intenzione di partecipare alle primarie organizzate dal Partito Democratico per la sceta del candidato sindaco di Piombino alle prossime elezioni amministrative, presentando un manifesto intitolato PIOMBINO ’14 UNA SVOLTA PER TUTTE (per leggere clicca qui). Questi i suoi propositi.
Cominciamo con una visione d’insieme. Se dovesse riassumere con una immagine il taglio della sua proposta politica e programmatica quale frase sceglierebbe?
Italo Calvino ne “Le città invisibili”, descrivendo la città di Zenobia, scrive che le città si dividono in due specie: “quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.”
Ecco, la mia Piombino è una città che dà forma e concretezza ai desideri, non che li cancella.
Che cosa l’ha convinta a fare questo passo, dato ovviamente che conosce benissimno le difficoltà che le si parano davanti?Ciascuno di noi sa che una fase della vita della nostra città si è definitivamente chiusa. Si tratta di aprirne con decisione un’altra, in cui conteranno soprattutto coraggio, concretezza e lungimiranza. Noi ci candidiamo a guidarla con umiltà, determinazione, consapevolezza dei nostri limiti, senso di responsabilità e passione ma anche con leggerezza e serenità, sapendo che molte cose non dipendono da noi, ma che per tutto quello che dipenderà da noi per la nostra città siamo pronti a navigare a viso aperto nella tempesta.
Una fase della vita della nostra città si è definitivamente chiusa. Ci vuole spiegare cosa vuol dire con queste parole?
Piombino è in crisi e non da oggi. Gli ultimi anni sono stati difficili: sono crollate certezze storiche, sono aumentate le incognite, sono cresciute in tutti i campi le difficoltà. Colpa di tante cose, tra le quali la dimensione internazionale della crisi, gli errori e i ritardi imperdonabili della classe dirigente del nostro paese e anche alcune responsabilità nostre. Potremmo stare ore a discuterne e senza dubbio varrà la pena farlo.
Ma ci sono anche segnali importanti che quando si investe sulle risorse non sfruttate e sulle nostre potenzialità inespresse le risposte arrivano e la strada per risalire la china non sembra poi così difficile da disegnare. A dircelo è la geografia di Piombino così magnificamente inserita nel cuore dell’Arcipelago Toscano. A dircelo è anche la nostra storia, di un luogo in cui si lavora e si produce, dalla terra, al ferro, fino al mare, in cui si è sempre studiato e si studia ancora molto e da dove soprattutto è naturale mettersi in viaggio.
Il lavoro è il principale dei problemi attuali di Piombino e della Val di Cornia. novemila persone iscritte al centro per l’impiego, di cui il 60% donne, non sono uno scherzo. Più della metà sono piombinesi.
La priorità e la nostra sfida più grande consiste nel modificare profondamente la struttura economica della città, ridandole un senso e una forza capace di riaprire una prospettiva di vita e di benessere per le nuove generazioni di piombinesi. Al posto di “Piombino non deve chiudere” propongo un altro slogan “Piombino deve voltare pagina”.
Prima di tutto dobbiamo cambiare il modo di pensare la città, dando spazio a quelle aspettative e aspirazioni sempre più forti che vanno oltre l’identità industriale e si rivolgono a tutto il resto delle cose che abbiamo e che possiamo fare, a partire dal mare, alla terra, fino ad arrivare al lavoro intellettuale, delle professioni, dei servizi alla persona, ai cittadini, al turismo. Non si tratta di rinnegare il passato, né di rinunciare a combattere per ridare solidità e competitività al nostro polo siderurgico. Anzi, sappiamo bene quanto è importante mettere al sicuro la dimensione industriale e produttiva della nostra economia, ma questo significa anche esplorare strade nuove, andare oltre la difesa dell’esistente e innovare il nostro sistema produttivo. Vale per Piombino come per l’Italia. E mentre lo facciamo lo sguardo va sempre rivolto in avanti, a quello che vogliamo essere e che possiamo diventare.
Ecco, cominciamo dall’ industria. Siderurgia, bonifiche, area di crisi industriale. Quale sono le sue proposte?
La grande industria è la madre di tutte le questioni, quella da cui dipende la possibilità di fare o non fare molte cose. Prima di tutto dobbiamo avere la consapevolezza che in questa vicenda il Comune ha strumenti limitati, ma può mettere dei paletti, lavorare per affermarli nelle sedi giuste ed esprimere un suo punto di vista. La mia opinione è che prima arriviamo a concludere la vendita della Lucchini meglio è; che tra gli scenari proposti quello dell’allontanamento degli impianti dalla città è il migliore; che qualunque sarà la proposta finale che mi auguro sia la più forte dal punto di vista dell’occupazione, il miglioramento della situazione ambientale deve essere netto, senza mettere la comunità nella posizione inaccettabile di scegliere tra la salute e il lavoro; che l’innovazione dei prodotti e dei processi produttivi sia al primo posto nel progetto industriale, a garanzia di una presenza solida e capace di durare nel tempo. Non possiamo poi dimenticarci delle altre grandi aziende come Magona e Dalmine che legano la loro presenza sul territorio a una serie di condizioni anche locali, come quello dell’ampliamento del porto, della realizzazione di una viabilità dedicata e della riduzione dei costi delle bonifiche. In ogni caso la messa in sicurezza della presenza siderurgica a Piombino, significherà un ridimensionamento sia della sua presenza fisica che dei posti di lavoro diretti e indiretti. Ci sarà dunque molto da lavorare per risalire la china dell’occupazione e ridare alle aree che si libereranno una funzione produttiva. Ma gli strumenti per farlo li abbiamo.
Il nostro obiettivo deve essere quello di insediare nuove imprese, nuovi progetti, e ampliare gli spazi a servizio del porto a Piombino. Servono le idee che in parte già ci sono e che potranno arrivare, di imprese, di privati, di giovani, di chi insomma vuole realizzare qualcosa di produttivo e di innovativo a Piombino. Serve che il Comune crei le condizioni fisiche e dia gli strumenti normativi per dare gambe a queste idee. Questo significa l’inserimento di Piombino nelle aree di crisi complesse; questo significano gli investimenti previsti sul porto per il suo ampliamento. Entrambi ci consentono di avere risorse pubbliche significative e percorsi dedicati per partire con la bonifica delle aree e la loro infrastrutturazione. Start up tecnologiche, logistica e produzione di energia sono certamente tre linee di investimento che possono dare buoni risultati; quello delle start up può attivare anche ulteriori finanziamenti europei ed italiani con l’accesso ad esempio al programma per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020. In questo ambito possiamo collocare anche il destino della centrale dell’Enel per la quale è prevista la chiusura nel 2015 e che, con uno spostamento all’interno delle aree industriali attuali, in un colpo solo libererebbe un’area di pregio come quella che occupa adesso per di più con un porto a servizio e manterrebbe la produzione di energia da destinare all’industria siderurgica locale e alla vendita.
Al di là dell’industria con i suoi giganteschi problemi ci sono altre risorse da valorizzare e con quale rapporto con le esigenze di salvaguardia del territorio?
Per fortuna un po’ di cose da cui partire le abbiamo. Un territorio pressoché intatto, una buona filiera agricola ed enologica, un patrimonio storico e culturale da far invidia, il mare, la posizione geografica, alcune imprese di grande qualità, il porto, l’arcipelago. Non è poco, anzi, è molto.
Solo la prima e l’ultima delle cose che ho elencato valgono lo sforzo personale e collettivo di investire in questa città, sapendo che, in questo momento soprattutto, il territorio di Piombino è un valore aggiunto per la città. Il promontorio intatto, la bellezza unica di Baratti e Populonia, la campagna della Sdriscia e di Riotorto, la propaggine nord del golfo di Follonica dal Quagliodromo a Torre Mozza.
E poi di là dal mare l’Isola d’Elba. Dirlo sembra banale, ma è grazie all’Elba che noi siamo il terzo porto passeggeri d’Italia. Potremmo diventare il secondo, se potenziassimo altre rotte come quelle delle Isole Maggiori o altri servizi come quelli delle minicrociere giornaliere per le isole minori dell’arcipelago. Far uscire le isole dalla cartolina che offre il nostro panorama e contemporaneamente farci diventare qualcosa di più che una strada per l’imbarco, integrando la presenza dell’arcipelago nella nostra politica turistica, nautica, portuale, logistica e dei servizi, ci farebbe assumere definitivamente il ruolo al quale naturalmente siamo portati, essere un ponte per le Isole. Pensiamo solo al fatto che nel 2015 ricorre il bicentenario della morte di Napoleone. Questa ricorrenza porterà migliaia di persone e sarà celebrata da decine di eventi. Piombino deve agganciarsi a questo appuntamento, come un’occasione per entrare a pieno titolo in un circuito turistico nazionale e farsi conoscere a una platea più vasta.
Sì, tutto bene, ma le competenze dove le trova?
Insieme al sistema economico dobbiamo riconvertire il nostro patrimonio di competenze e costruire un’offerta formativa permanente che risponda alle esigenze dei giovani e degli adulti, dei lavoratori e dei disoccupati. Qui il ruolo di coordinamento, e non solo, del Comune, a maggior ragione dopo lo scioglimento delle Province, è indispensabile. Utilizzare senza dispersione tutte le risorse e gli strumenti esistenti, come il sistema weblearning della Regione (Progetto TRIO) presente a Piombino e oggi ampiamente sottoutilizzato; intessere rapporti stretti col mondo universitario sempre attraverso l’e-learning e gli strumenti telematici; costruire, insieme agli altri Comuni della Val di Cornia, alle scuole, alle aziende e all’associazionismo, progetti da presentare in occasione di bandi pubblici regionali, nazionali ed europei. La dimensione europea, infatti, è una delle strade prioritarie da percorrere, soprattutto perché, ad esempio, negli strumenti programmatici e finanziari dell’Unione Europea per le politiche mediterranee (il cosiddetto programma MED) noi ci possiamo stare a pieno titolo.
La conformazione sociale della città è profondamente cambiata nel corso degli anni. Basta pensare ai fenomeni dell’invecchiamento e dell’immigrazione. Come intende affrontare questi problemi?
Asili, servizi sociali, spazi e strutture per lo sport, ma anche l’ospedale, la scuola, i trasporti, la giustizia: i servizi sono un elemento del benessere e della qualità della vita delle persone, ma sono anche un fattore di sviluppo e di lavoro. Per questo vanno difesi e protetti. Per farlo dobbiamo insistere sulla strada dell’innovazione del sistema, sia nella progettazione che nell’organizzazione. L’obiettivo è rispondere prima di tutto ai nuovi bisogni legati all’invecchiamento della popolazione, all’aumento degli stranieri e, in questo momento, anche alla mancanza di lavoro.
Innovare vuol dire, ad esempio, per gli anziani realizzare condomini sociali con servizi di assistenza che ospitano persone con bisogni oggi lasciati a carico esclusivo delle famiglie; per i giovani ripensare alla nostra offerta scolastica e formativa strutturandola in rapporto diretto coi settori di lavoro in espansione come il turismo e i servizi e ricostruendo un interesse per gli studi classici, attraverso un connubio tra lingua, archeologia e cultura del mediterraneo, capace così di parlare al futuro; per gli stranieri permettere la realizzazione di luoghi di preghiera, incontro e scambio che diano dignità alla loro presenza; per le famiglie unire tutti i punti della rete capillare degli asili e dei servizi all’infanzia presenti in tutta la Val di Cornia, facendola diventare un’offerta unica e integrata.
Innovare vuol dire anche ripensare la sanità, a partire dall’ospedale che abbiamo. L’impoverimento di Villamarina in questi ultimi 10–15 anni è stato impressionante: chi ci lavora lo sa, chi ne ha bisogno anche. Puntare il dito sui tagli dello Stato non basta. Scelte come quella del nuovo ospedale di Livorno, ad esempio, creano i presupposti finanziari per indebolire ancora di più le altre zone, soprattutto le più distanti dal capoluogo. E allora è giusto ragionare nel medio-lungo periodo di un nuovo ospedale capace di servire una zona più ampia della nostra, ma dobbiamo anche essere pratici e pensare che a breve termine è indispensabile rafforzare le strutture esistenti, perché se non si recupererà lo smantellamento di questi anni e si continuerà a tagliare, non esisterà più una sanità degna di questo nome.
Pubblica amministrazione, risorse, aziende partecipate sono capitoli sicuramente irrisolti dalla cui non soluzione scaturiscono molti problemi per la gente. Per lei sono problemi da affrontare e se sì in quale modo?
Tra le priorità c’è senz’altro il tema delle risorse pubbliche. C’è perché si tratta di dare continuità a una linea nazionale di taglio dei costi della politica e in generale della burocrazia e degli apparati. C’è perché abbiamo necessità di recuperare risorse da investire nella città e nei suoi servizi, superando lo squilibrio strutturale tra le entrate e le uscite del Bilancio comunale, senza aumentare le tasse e senza tagliare i servizi. Ed esiste un’unica strada, liberare le risorse immobilizzate per lo più nelle società partecipate e consolidate nella nostra spesa pubblica.
Dimezzare il numero dei dirigenti, diminuirne gli stipendi, bloccare per l’intera legislatura le indennità dei politici (sindaco, assessore, consiglieri comunali) e dei presidenti delle società, associare le funzioni, gestendo insieme agli altri comuni della Val di Cornia alcuni servizi importanti, sono solo alcune delle cose che si possono fare in tempi brevi e con buoni risparmi.
E poi ci sono le società partecipate. Il primo passo è ridurne il numero; il secondo è gestire meglio e con costi inferiori per i cittadini quelle che rimangono, ASIU ed ASA su tutte, a cominciare dalla scelta di chi le guiderà, fatta in base al merito e non alle logiche di partito. Si può chiudere, ad esempio, la Società patrimoniale, riportando le sue funzioni all’interno del Comune, vendere la Società delle farmacie, sciogliere l’ATM dal momento che siamo già confluiti in Tiemme. La vendita è la strada da seguire anche per la TAP, in perdita dalla sua nascita, e oggi per di più investita in pieno dalla crisi Lucchini.
Penso, invece, che sia giusto continuare a investire nella Parchi Val di Cornia perché credo nella validità del progetto per la nostra zona. Ma ad alcune condizioni: che ci sia un impegno maggiore rispetto a quello attuale di tutti i comuni soci, che il peso economico della società sulle attività private in concessione diminuisca, che crescano le ricadute e le capacità di promozione e marketing turistico per l’intero territorio.
(Intervista a cura di Paolo Benesperi)
(Foto di Pino Bertelli)