Stabilimento Petti: non si sa come trasferirlo
CAMPIGLIA 5 settembre 2015 — Sarà capitato anche a voi questa estate di intravedere il marchio rosso “Petti” sulle le strade del nostro territorio, lungo la testata dei campi di pomodori. Per chi ancora non lo sapesse la famiglia Petti da anni lavora nel settore della trasformazione del pomodoro, il suo stabilimento si trova nel quartiere Coltie di Venturina, acquisito dalla famiglia Arrigoni nel 1974; l’industria del pomodoro era chiamata PAV (prodotti alimentari Venturina), poi successivamente divenuta Italian Food spa. Della situazione di tale stabilimento abbiamo già avuto modo di scrivere in un precedente articolo (per leggere clicca qui), ma è giusto, per chi ancora non conoscesse la storia, tornare sull’argomento. La fabbrica nacque nel 1947 con lo stabilimento Arrigoni nella periferia di Venturina, col tempo il paese si espanse ed inglobò la fabbrica. Questa condizione di convivenza tra fabbrica e paese creò e crea non pochi problemi soprattutto nel periodo di raccolta: odori, scarichi di acque di lavorazione e transito di circa 15.000 viaggi di autotreni a stagione. Ma non solo. La posizione dello stabilimento è un problema anche per l’impresa stessa che negli anni ha allargato le sue dimensioni, ma che adesso, circondata dalle abitazioni, non ha più spazio per crescere. La cittadinanza ha avuto un rapporto di odio-amore con la fabbrica: è certamente una risorsa, perché dà lavoro, ma anche un problema. Oltretutto i suoi prodotti non godevano di buona considerazione ed erano destinati prevalentemente al mercato estero. Da qualche anno però la famiglia Petti ha rilanciato il marchio, puntando sulla genuinità del pomodoro, “100% toscano”, con una forte campagna di marketing; i prodotti sono apparsi negli scaffali dei supermercati locali e gli spot si possono vedere sulle principali reti TV. Nonostante ciò rimangono i problemi di una fabbrica che, circondata dalle case, non può avere crescita e non ha adeguati spazi per lavorare. La soluzione a questo problema è la delocalizzazione dello stabilimento fuori del centro abitato, nella zona artigianale di Campo alla croce, come è stato concordato con l’amministrazione locale già nel 2009, accordo reso ufficiale da un protocollo d’intesa del 2011 tra Impresa, Regione, Comune di Campiglia e altri enti. In esso anche la previsione del regolamento urbanistico del Comune di Campiglia nel quale si prevede, dopo lo spostamento della fabbrica, la possibilità di costruire alloggi.
L’accordo conteneva vari impegni per gli enti firmatari:
per la Regione
- “a verificare e promuovere le possibilità di finanziamento pubblico per il rinnovamento tecnologico e per il miglioramento del ciclo delle acque e dei rifiuti a fronte di un progetto industriale connesso alla realizzazione del nuovo stabilimento Italian Food;
a fornire gli strumenti a disposizione per agevolare il ricorso al credito con particolare riferimento a quelli gestiti da Fidi Toscana”;
per il Comune di Campiglia a
- “ — riservare l’area produttiva già individuata dal regolamento Urbanistico in località Campo alla Croce per la localizzazione del nuovo impianto Italian Food;
- - concedere le aree a destinazione produttiva del P.I.P. in diritto di superfice per un periodo di novantanove anni rinnovabile per uguale periodo;
- - prevedere in favore della società Italian Food un piano pluriennale di pagamento degli oneri di Concessione del diritto di superfice;
- - verificare la possibilità di affidare, in tutto o in parte, nel rispetto dei dispositivi di cui al D.Lvo n°163/06 e s.m.i. alla società Italian Food, nell’ambito del diritto di Concessione, la realizzazione a scomputo delle opere di urbanizzazione primaria da regolarsi attraverso apposito atto convenzionale;“;
per Italian Food a
- “- mantenere lo stabilimento nel territorio del Comune di Campiglia Marittima;
- - mettere in campo tutte le azioni, le strategie aziendali, la ricerca di misure finanziarie per la localizzazione a Campo alla Croce e sottoscrivere con il Comune di Campiglia Marittima l’apposita convenzione per la concessione del diritto di superficie delle aree PIP;
- - realizzare un intervento che preveda consistenti incrementi della produzione e dell’ occupazione qualora risulti assegnataria di finanziamento nell’ambito del Contratto di Sviluppo di cui al D.M.S.E. del 24/09/2010;
- - valutare e favorire nella localizzazione di Campo alla Croce possibili soluzioni per il trattamento di acque reflue e scarti delle lavorazioni anche in sinergia con i servizi pubblici locali interessati, con l’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali complessivi e favorire la valorizzazione dei recuperi di energia e materia;
- - presentare al Comune di Campiglia Marittima il progetto del nuovo impianto di Campo alla Croce entro i termini eventualmente previsti dal Contratto di Sviluppo e, in qualunque ipotesi entro il 31 dicembre 2014.”.
Di recente la lista d’opposizione Comune dei Cittadini ha presentato un’interpellanza (per leggere clicca qui) per chiedere a che punto fosse l’iter per la delocalizzazione dello stabilimento. Nella risposta fornita dalla Giunta comunale (per leggere clicca qui) si evidenziano alcuni elementi fondamentali:
- il costo complessivo dell’operazione si aggira intorno ai 50 milioni di euro,
- ad oggi non esistono canali di finanziamento, né nei contratti di sviluppo né nei fondi regionali previsti per l’area di Piombino (da una parte perché il regolamento dei primi vieta esplicitamente la delocalizzazione, agevolando invece le nuove iniziative; mentre per i fondi regionali, in quanto sono riservati alle PMI e Italian Food essendo considerata una grande impresa, ne è esclusa).
Per la verità non possiamo tacere anche una banale considerazione,relativa al fatto che pare impossibile che negli accordi di programma per il rilancio produttivo di Piombinoi non sia stato possibile trovare una soluzione giuridica e finanziaria al problema. Sorge il sospetto che il Comune di Campiglia sia stato completamente assente e che il Comune di Piombino abbia pensato solo ai problemi del singolo Comune, non dell’intera Val di Cornia.
Comunque tutto questo porta ad una scontata considerazione: ad oggi l’iter per lo spostamento della fabbrica è fermo e non si intravedono a breve nuove soluzioni. Questo vuol dire che impresa e cittadini dovranno avere ancora pazienza e continuare la loro convivenza. Resta difficile però pensare che entrambi possano sopportare a lungo questa situazione. La speranza è che la soluzione venga trovata prima che l’impresa decida di spostare la sua produzione altrove.