Piombino affonda nei rifiuti vecchi e nuovi
PIOMBINO 26 dicembre 2017 — Piombino affonda nei rifiuti vecchi e nuovi. Questa l’immagine di una città in grandi difficoltà, non solo per la crisi dello stabilimento siderurgico, ma per l’assenza ormai conclamata di una visione strategica in grado di orientare le risorse pubbliche e private verso la rigenerazione del territorio e dell’economia di cui c’è sempre più urgente bisogno.
Inquinamento e rifiuti erano, e sono, il primo banco di prova. Dal 2000 oltre 900 ettari di terreni industriali, in larga misura pubblici, sono stati riconosciuti come sito d’interesse nazionale per le bonifiche (SIN). Andavano bonificati perché senza bonifiche su quei territori sarà sempre più difficile garantire la continuità produttiva e difficilissimo avviare nuove attività, se non a condizione di pesanti e forse proibitivi costi aggiuntivi per chi vorrà investirci. Per anni si è immaginato che a bonificarli dovessero essere i responsabili dell’inquinamento. Nel caso dello stabilimento Lucchini, prima lo Stato con la gestione IRI, poi dal 1992 i privati e dal 2012 ancora lo Stato con l’amministrazione straordinaria della società Lucchini. Nulla di nulla è stato fatto. Nulla ha fatto lo Stato per le proprie responsabilità, pregresse e attuali, come gestore dello stabilimento e nulla ha fatto la società Lucchini. La società Aferpi, subentrata nel 2015, è stata giustamente ritenuta incolpevole ma, a quanto pare dalle indagini giudiziarie in corso, non ha modificato i vecchi metodi nella gestione dei rifiuti industriali: a distanza di 17 anni il SIN di Piombino non solo resta una gigantesca discarica abusiva, ma continua ad essere il luogo dell’abbandono incontrollato di rifiuti.
È in questo scenario che si sono consumati i sequestri, da parte delle autorità giudiziarie, di discariche abusive industriali: nel 2007 gli oltre 30 ettari a ridosso della Chiusa di Pontedoro e ora i 37 ettari all’interno del perimetro delle aree concesse ad Aferpi. Nelle due discariche è stata stimata la presenza di circa 900.000 metri cubi di rifiuti speciali, compresi i pericolosi. Ancora una volta il potere giudiziario interviene laddove quello amministrativo è assente, perché di assenza si tratta. Non solo, i poteri amministrativi non sono riusciti a rimuovere, o a far rimuovere, discariche abusive accumulate in decenni di abbandono incontrollato di rifiuti industriali anche in presenza di una drastica riduzione della produzione industriale e in presenza di progetti per la messa in sicurezza del sito produttivo che sono stati alla base dell’accordo di programma del 2015 per la cessione ad Aferpi dello stabilimento siderurgico. Non sono servite a nulla le infinite istruttorie del ministero dell’ambiente su studi e progetti per la messa in sicurezza dei suoli e delle falde dello stabilimento e neppure le autorizzazioni ambientali nelle quali la regolamentazione del ciclo dei rifiuti industriali ha un peso rilevante. Non è bastato dotare i territori di un’agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpat) che avrebbe dovuto vigilare sulla gestione dei rifiuti industriali. Tutto perdura come prima. I rifiuti continuano ad accumularsi nel SIN, le bonifiche non si fanno e i territori industriali, che sono oggi la più grande opportunità per la riqualificazione ambientale e la rigenerazione dell’economia, si configurano sempre più come grande discarica a cielo aperto.
In questo desolante scenario affondano anche i propositi della società RiMateria alla quale i Comuni di Piombino, Campiglia e San Vincenzo dissero di voler affidare il recupero dei rifiuti industriali e di quelli delle bonifiche del SIN per produrre materiali sostitutivi degli inerti di cava. Non c’era bisogno della magistratura per dimostrare l’evidenza dei fatti, ovvero che bonifiche vere del SIN non si fanno poiché affidate ad un irrisorio stanziamento del ministero dell’ambiente di 50 milioni di euro, che peraltro non si riesce neppure a spendere. Così com’è evidente che le imprese estrattive continuano a scavare indisturbate dalle colline materiali inerti. È di questi giorni la decisione del Comune di Campiglia e della Regione Toscana di far proseguire a tempo illimitato le escavazioni di tutti i quantitativi autorizzati in passato nelle colline campigliesi. L’esatto opposto di quanto annunciato.
Alla società RiMateria, sfumati in un batter d’ali le retoriche presunzioni di economia circolare e di nuovo modello di sviluppo decantate dagli amministratori comunali, altro non restano che i debiti ereditati dalla fallimentare gestione delle società Asiu e Tap. Debiti che sta tentando di ripianare accogliendo in discarica rifiuti speciali provenienti da ogni dove, dopo che i Comuni hanno deciso di portare quelli urbani nelle discariche del grossetano. Basta osservare la rapida crescita di quella che è ormai la collina dei rifiuti speciali di Ischia di Crociano. Eppure l’Asiu era sempre stata additata dagli stessi amministratori locali come modello di gestione esemplare di un’azienda pubblica e continuano ancora con la consueta retorica vantandosi, come ha fatto recentemente l’assessore Ilvio Camberini del Comune di Piombino, di aver ” dato chiari indirizzi e visione di politica sui rifiuti intesi nel suo complesso e se mi permettete per alcuni aspetti anche innovativi”.
Piombino ha bisogno di un serio programma di bonifica. Il trattamento in loco e il riuso dei rifiuti del SIN è contemporaneamente una priorità e un’opportunità per il futuro di Piombino. Per questo servono però strategie organiche di cui non c’è traccia nelle azioni delle pubbliche amministrazioni. Manca ancora un progetto organico di bonifica, mancano adeguate risorse finanziarie, manca la concertazione tra i diversi livelli istituzionali. E, come spesso accade quando le cose vanno male, anziché analizzare seriamente le ragioni dei troppi fallimenti, le istituzioni sembrano aver avviato il consueto balletto dello scaricabarile. Gli effetti sono evidenti: i rifiuti del SIN restano tutti al loro posto mentre a ritmi forzati se ne stanno aggiungendo altri nella discarica di RiMateria. Non è certo per questa via che si gettano le basi per uscire da una crisi che ogni giorno drammaticamente si aggrava.
Questa vicenda cosi chiaramente descritta,appare purtroppo in perfetta sintonia con l’altra ben nota vicenda Aferpi. Pare che la nostra città sia preda di una malasorte che, per di più, toglie speranze e non fa intravedere soluzioni per il futuro. Non è dato capire da chi i cittadini piombinesi debbano attendersi una inversione di tendenza nella gestione della cosa pubblica, per la verità attesa ormai da molto tempo.
E’ del tutto condivisibile l’analisi che assegna alle bonifiche un ruolo prioritario per uscire dalla attuale crisi, sempre giusto l’avere indicato le responsabilità per la loro mancata attuazione ed infine la denuncia del ruolo che RiMateria porta avanti: ridurre il debito ASIU riempiendo nuovi spazi di discarica con rifiuti speciali provenienti da fuori, altro che bonifiche ed economia circolare! Ma la frase:“Il trattamento in loco e il riuso dei rifiuti del SIN è contemporaneamente una priorità e un’opportunità per il futuro di Piombino” ha bisogno di un approfondimento anche se in realtà non è possibile farlo in una nota. Tale frase potrebbe far pensare che per le bonifiche sia necessario mettere in piedi a Piombino un’industria che tratti i rifiuti industriali. Non è così. Le bonifiche di un SIN come quello di Piombino possono essere eseguite con tecniche che non comportano l’estrazione dei terreni (bonifiche in situ) e per mezzo di impianti mobili, senza fare nascere una industria specializzata per il trattamento dei rifiuti speciali nella zona. Ugualmente il riciclo dei cumuli di rifiuti per trasformarli se possibile in inerti può essere fatto con impianti mobili. Infine potrebbe essere forse necessaria una discarica al servizio delle opere di bonifica ma di ridotte dimensioni! Se invece puntiamo a creare una o più industrie per il trattamento dei rifiuti in zona scegliamo non la bonifica del SIN di Piombino ma l’utilizzo delle sue aree per tale sviluppo, due concetti molto diversi. Tali attività occupano molto spazio e danno poca occupazione, infine la loro presenza esclude lo svilupparsi in zona di altre più redditizie attività a maggiore intensità occupazionale. La nostra zona tra il mare, il fiume Cornia, il fosso Cornia Vecchia, un terreno con falda superficiale vicino al piano di campagna, vicino ad insediamenti abitativi, vicino a zone dove viene praticata una agricoltura di qualità, ecc..non è adatta all’insediamento di tale tipo di attività. Pensare poi che tale industria esiste e sia RiMateria è un altro abbaglio, non è dotata né di capitali, né di conoscenze ed è attanagliata dai debiti che ne dettano il comportamento. Bonifichiamo l’area del SIN e mettiamola al servizio di un nuovo tipo di sviluppo, non facciamola divenire zona di discariche e di impianti per rifiuti speciali che vengono dal mercato italiano ed estero