Poggio all’Agnello: l’interesse pubblico inesistente
PIOMBINO 13 giugno 2016 — Nell’ultimo Consiglio comunale di Piombino la Giunta ha portato in votazione la trasformazione della destinazione d’uso del 40% della struttura di Poggio all’Agnello da Residenza Turistico Alberghiera a unità abitative residenziali. In altre parole, il 40% di quanto destinato alla ricezione turistica verrà trasformato in appartamenti da vendere a privati. Se pensiamo alla funzione di un complesso turistico intuiamo subito la differenza tra ciò che è e ciò che sarà. Una struttura ricettiva è per natura destinata a far affluire sul territorio turisti che godono dei servizi, portano denaro e poi lasciano il posto ad altri. In pratica si fa economia con l’affluenza e il ricambio dei turisti. Se viceversa si trasforma una struttura, o parte di essa, in appartamenti, l’afflusso e il ricambio mutano visibilmente, con riflessi diversi non solo sull’economia, ma anche sulla promozione del territorio. Chi si intende di turismo sa che è più conforme all’interesse pubblico una struttura ricettiva piuttosto che una serie di appartamenti.
Da non trascurare poi l’impatto negativo sul piano occupazionale, perché se è vero che adesso vi sono impiegati 62 dipendenti, con la diminuzione del 40% di superficie ricettiva c’è il fondato timore che vi sarà anche la diminuzione degli addetti ai servizi della struttura.
I motivi per cui la Giunta ritiene di accogliere la richiesta avanzata dalla società proprietaria sono due:
- le ingenti perdite gestionali,
- il processo instaurato al TAR contro la mancata attuazione della convenzione con cui l’amministrazione si era impegnata a concedere una porzione di spiaggia attrezzata nel golfo di Baratti a servizio del complesso ricettivo (secondo la società una delle cause dei minori guadagni).
Con la trasformazione la società rinuncerebbe alla richiesta di risarcimento avanzata contro il Comune.
Ebbene, sfugge la razionalità con cui a suo tempo l’amministrazione si impegnò a concedere una porzione della spiaggia di Baratti alla società. Ma quando, durante la discussione in Consiglio comunale, ho chiesto il motivo del mancato adempimento della convenzione, l’assessore ha risposto che dal percorso partecipato, organizzato per consultare i cittadini sulla riorganizzazione di tutta la zona, era emerso un netto dissenso alla concessione di una porzione di arenile. Quindi, per tener fede agli indirizzi provenienti dalla cittadinanza, non fu concessa la spiaggia. Ho replicato che sarebbe opportuno allora parlare delle responsabilità di chi ha sottoscritto un impegno e poi, non avendo il coraggio politico di imporlo, ha cercato il consenso della popolazione con un percorso che, come c’era da aspettarsi (in maniera condivisibile), è andato contro la soluzione per cui l’amministrazione si era impegnata. In pratica ha errato due volte.
Temo che in realtà il problema risieda nel fatto che le concessioni si possono assegnare solo dietro una specifica gara, quindi l’amministrazione comunale ben sapeva di promettere ciò che non poteva mantenere.
Adesso ci vengono a dire che se la società proprietaria otterrà il cambio d’uso rinuncerà a proseguire il processo al TAR. Non credo che l’amministrazione dovrebbe temere gli esiti di un processo in cui una società chiede un risarcimento spropositato, e ben difficile da dimostrare nella sua consistenza, per il mancato adempimento di una promessa contra legem; la società proprietaria, si ricordi, chiede un risarcimento perché il Comune non ha concesso ciò che la legge non gli dava il potere di concedere. A ciò si aggiunga che la società non ha partecipato alle gare per ottenere alcuna delle due concessioni esistenti sul golfo di Baratti. Se era tanto importante per la sua economia, perché la proprietà della struttura non ha partecipato alle gare? Pare sinceramente che gli argomenti per difendersi non manchino. E allora perché, per sfuggire agli esiti di quel processo, si va a fare un accordo transattivo sconveniente per la comunità?
Non ci pare una soluzione improntata all’etica che deve accompagnare le decisioni volte a perseguire il pubblico interesse. In proposito preme anche ricordare che nel 2001, allorché fu deliberato il piano di recupero dell’ex Centro Aziendale di Poggio all’Agnello, cosa in sé ovviamente positiva, il capogruppo di Rifondazione Comunista Marco Giovannelli palesò alcune preoccupazioni proprio in ordine alle presumibili richieste degli imprenditori acquirenti, che solitamente fanno di tutto per assicurarsi pezzi di litorale da mettere a disposizione esclusiva dei propri clienti. Ma che dire, i rappresentanti e i sostenitori della maggioranza sanno rispondere alle nostre preoccupazioni sempre appellandoci come “gufi” o “cassandre”. Forse sarebbe meglio ascoltare invece di irridere.
Allo stesso modo, non sembra corretto che le perdite gestionali della società, che gestisce Poggio all’Agnello, possano de plano costituire motivo per autorizzare un cambio d’uso che non pare conforme agli interessi della comunità. Gli strumenti urbanistici si devono modellare pensando sempre al pubblico interesse e non a quello di un’impresa. A dire il vero sembra anche contrario ai principi della libera concorrenza dato che un’azienda che ottiene un beneficio del genere si trova nettamente avvantaggiata rispetto alle altre imprese del settore. Ed infine viene da chiedersi: quale comportamento adotterà la Giunta allorché un altro operatore del settore farà una richiesta analoga? Comunque sarà uno sbaglio, perché, allineandosi con questo precedente, si sancirà il principio per cui gli strumenti urbanistici non si uniformano all’interesse pubblico ma a quello dei privati. Respingendo invece la richiesta di un’altra azienda, si produrrà una chiara discriminazione. E infatti, in altre occasioni l’amministrazione ha già respinto istanze del genere.
Il Partito della Rifondazione Comunista ha votato contro la delibera.
Se per ipotesi o per un gioco di pura fantasia si immaginasse che tutto ciò che è avvenuto fino ad oggi fosse stato pianificato a tavolino? In un mondo fantastico ed immaginario qualcuno dice che a pensar male spesso ci si indovina.