Politiche e interventi per le aree di crisi sono falliti
PIOMBINO 17 marzo 2018 — Il Sole 24 Ore di oggi dedica un’intera pagina alle aree di crisi industriale complessa (sono 19 in tutta l’Italia). Sia sulla loro situazione economica ed occupazionale, da quando l’articolo 27 del decreto legge 83/2012 ne ha previsto l’istituzione, sia sull’efficacia degli strumenti e dei finanziamenti pubblici stanziati il de profundis si leva così alto che più alto non si può
Là dove il tasso di occupazione è aumentato nel 2017 rispetto al 2007, scrive Il Sole 24 Ore, ciò non è dovuto ad un effetto dei finanziamenti previsti dagli accordi di programma governo-regioni, il tasso di disoccupazione cresce ovunque, le imprese attive diminuiscono e là dove (in nove province) le esportazioni crescono ciò avviene a causa di exploit esterni all’area di crisi.
A Livorno e Piombino, afferma il presidente di Confindustria Alberto Ricci, gli accordi di programma «hanno inciso davvero poco».
Ovunque la fanno da padrone gli ammortizzatori sociali.
Le cause sono molteplici: investitori che mancano, strumenti incentivanti da rivedere in maniera tale da renderli più dinamici e così via.
Ma l’affermazione più interessante che troviamo nell’articolo è del responsabile dell’unità “Imprese in crisi” del ministero dello sviluppo, Giampietro Castano, il quale, riconoscendo che occorrerebbe un ripensamento generale della legge, continua:«Bisognerebbe partire dalla progettazione per rilanciare grandi aree di dismissione industriale, penso al modello Ruhr in Germania o Manchester nel Regno Unito. E dotare le aree di un’autorità di governo forte, in grado di superare i veti locali».
Non c’è che dire, modello Ruhr, progettazione, autorità di governo, è esattamente ciò che Stile libero Idee dalla Val di Cornia è venuto sostenendo fin dal 2012.
Quei piani di reindustrializzazione e di riqualificazione ambientale, abbiamo sempre sostenuto, non funzioneranno (e non hanno funzionato) perché non sono basati su una progettazione integrata che poggi su un’analisi chiara della situazione, perché non fanno scelte di priorità che incidano sui problemi fondamentali, perché disperdono risorse in tante iniziative nessuna delle quali produrrà una realizzazione funzionale e funzionante, perché non c’è un’autorità con poteri tali da conoscere esigenze e potenzialità del territorio e dare gambe alle pochissime priorità individuate. In realtà erano piani finalizzati ad accontentare o far credere di poter accontentare con tanti francobolli di finanziamenti pubblici tanti possibili richiedenti e come tali destinati all’inconsistenza per loro stessi e per il territorio e per le sue disgraziate componenti sociali.
Gli esempi sono molteplici e spaziano da una bonifica delle aree pubbliche industriali mai realizzata e probabilmente inutile anche se lo sarà nei termini in cui è stata progettata (o meglio è in corso di progettazione) decine e decine di ettari di aree di demanio marittimo consegnate a chi se l’è tenute per realizzare il niente, ai finanziamenti per infrastrutturare aree produttive delle quali non vi è necessità e che comunque sono tali, anche dal unto di vista gestionale, da non aver fatto insediare niente e nessuno fino ad oggi, agli investimenti per il potenziamento del porto spalmati in maniera tale da non consegnare una porzione di porto funzionate e soprattutto senza porsi il vero problema e cioè quello dei collegamenti viari, ferroviari ed immateriali. E ancora le tante promesse impossibili date per mirabolanti risultati raggiunti (l’arrivo della Concordia è un caso di scuola), l’ultimo dei quali, quello delle navi militari da smantellare, è del tutto esemplare.
Di una progettazione o almeno di un’idea progettuale chiara sì c’è bisogno. Più che giusto. Ma questo significa non rincorrere il primo offerente, avere un’idea integrata del territorio, tessere una tela senza buchi, integrare potenzialità locali e correlati scenari nazionali ed almeno europei. Insomma significa non vivere alla giornata nell’inseguimento di ciò che è più popolare anche se più inutile, dimenticando che la migliore politica non è la politica del consenso ma quella del convincimento.
Di una autorità pubblica intelligente, non di quell’Invitalia che al massimo può garantire una gestione burocratica di interventi che costano decine di milioni, nemmeno si è tentato di parlare. Anzi quando Sviluppo Toscana si è messa in mente di vendere l’edificio del Bic a Venturina non c’è stato un amministratore pubblico che si sia alzato per dire che non si doveva perché quella poteva diventare la sede sì proprio di quell’autorità pubblica per lo sviluppo del territorio di cui c’era e c’è così bisogno che anche il ministero dello sviluppo per bocca di un altissimo dirigente oggi lo riconosce.
Ma non solo.
C’è anche un aspetto al quale nessuno ha pensato e pensa. Quando si mettono in campo imprese del livello della reindustrializzazione e della riqualificazione ambientale di una zona si sa che si avrà a che fare con problemi sociali di grande dimensione e delicatezza. Difficile sicuramente anche dal punto di vista del consenso, o meglio del convincimento necessario. Ebbene allora è indispensabile un monitoraggio pubblico ed un’informazione sincera e puntuale di ciò che si fa, di ciò che non si fa e dei risultati positivi o negativi che essi siano. Ebbene, tutto questo non è successo e si è sostituita l’informazione con la propaganda. Sempre positiva naturalmente, anzi splendente come il sol dell’avvenire. E così oggi ecco che il presidente di Confindustria Livorno e Massa Carrara Alberto Ricci afferma candidamente:«…anche le risorse sono state utilizzate in maniera risibile, solo 11,7 milioni sui 163 stanziati a Piombino e 13,2 milioni sui 541 milioni per l’area di Livorno…». Non è roba da poco. Giusto? Sbagliato? Il vero problema è che non è dato sapere perché un’informazione puntuale non è mai stata fornita. E non è un peccato veniale.
Oggi, quando il fallimento del progetto di Issad Rebrab è stato ormai certificato e quando comunque ad un nuovo accordo Stato-Regione-Comuni occorre andare, si può agire in due modi: o continuare come se niente, di ciò che persino Il Sole 24 Ore certifica, sia successo, in una coazione a ripetere che non può che portare al baratro definitivo, o ci si rimboccano le maniche e si rimette palla al centro volendo volenterosamente giocare con nuove regole. Tertium non datur.
Chi ha responsabilità si assuma anche quella di dire chiaramente quale opzione preferisce.