Porto di Piombino: soldi e lavori per cosa?
PIOMBINO 16 luglio 2014 — Se il porto di Piombino avesse avuto le infrastrutture e gli impianti per accogliere e demolire il relitto della Concordia, nei tempi previsti per la sua rimozione dall’Isola del Giglio, credo con tutta franchezza che armatore e compagnie di assicurazione avrebbero ragionevolmente preso in considerazione questa destinazione per motivi economici e di sicurezza della navigazione. Non è andata così perché il porto di Piombino non è pronto e non poteva esserlo nonostante le procedure emergenziali e l’impegno straordinario dell’Autorità Portuale nel realizzate grandi opere marittime.
E’ opportuno ricordare che quando venne avanzata quella proposta, alla fine del 2012, la rimozione della Concordia era prevista per l’estate del 2013: un termine assolutamente insufficiente per progettare, appaltare e realizzare le opere marittime, le indispensabili connessioni viarie e gli impianti necessari per lo smantellamento di grandi navi.
Le condizioni per accogliere la Concordia non c’erano nell’estate del 2013, come non ci sono nell’estate del 2014. Certo, si poteva sempre sperare nello slittamento dei tempi per il “rigalleggiamento”, ma non vi è dubbio che tra gli obiettivi temporali per la rimozione della Concordia e il completamento delle opere nel porto di Piombino non vi è mai stata ragionevole congruenza.
Sono tutt’ora in corso i lavori per la costruzione delle scogliere; solo ora iniziano i dragaggi per il canale di accesso a quota ‑20 che prevedono l’asportazione di 2.900.000 metri cubi di materiale (di cui 580.000 inquinati) da refluire nelle vasche del porto; bisognerà poi attendere il compattamento dei sedimenti marini nelle vasche per evitare rischi di cedimenti strutturali; almeno in parte le vasche dovranno poi essere sistemate come piazzali operativi con ulteriori riporti di materiale di cava. Nel progetto esaminato dal Consiglio Superiore dei Lavori pubblici (per leggere clicca qui) è stata evidenziata la mancanza d’impianti indispensabili per l’agibilità delle opere (illuminazione, idrico, antincendio, ecc,). Nonostante gli infiniti accordi e le ripetute promesse sulla realizzazione del prolungamento della SS.398 manca il collegamento con la viabilità esistente, se non quella di cantiere che transita dentro gli stabilimenti. Non c’è traccia neppure del primo tratto Montegemoli — Gagno tant’è che a dicembre del 2013 la Giunta di Piombino ha approvato, in alternativa, un progetto preliminare dell’Autorità Portuale per collegare direttamente la zona della Chiusa con la strada esistente all’altezza del Gagno il cui costo è stimato in oltre 12 milioni di euro (per leggere clicca qui). Non si conosce lo stato d’avanzamento di quel progetto, ma è chiaro che l’assenza della strada condiziona pesantemente la funzionalità delle opere che si stanno realizzando.
Tutto ciò senza considerare che non basta avere moli, piazzali agibili e strade di accesso per far decollare le attività di rottamazione e trattamento dei rifiuti navali. Servono impianti dedicati, imprenditori con competenze professionali e capacità d’investimento in grado di realizzarli e gestirli in condizioni di libero mercato. Tra questi non può figurare l’ASIU per evidenti ragioni legali, essendo una società pubblica che deve occuparsi solo della raccolta e del trattamento dei rifiuti urbani. Meraviglia la disinvoltura con cui quella società si è accreditata per la rottamazione della Concordia e il silenzio dei suoi azionisti pubblici, ossia i Comuni.
Merita in proposito richiamare che nell’accordo di programma sottoscritto il 24 aprile 2014 si dà atto che tra le opere in fase di realizzazione nel porto di Piombino non è previsto il “bacino di galleggiamento e/o carenaggio” necessario per lo smantellamento, la manutenzione e il refitting navale, comprese le navi militari. E’ di questi giorni la richiesta del Presidente della Regione di ulteriori 40 milioni di euro per raggiungere quell’obiettivo, non si capisce se per realizzare direttamente le opere mancanti o per incentivare investitori privati a farlo.
Resta il fatto che il porto di Piombino non è ancora nelle condizioni di smantellare navi e che nessuno ha fino ad oggi chiarito chi, come e quando potrà davvero farlo. Non sono chiare le connessioni con l’industria siderurgica, come non sono stati mai presi in esame gli impatti di queste attività sull’ambiente.
Non si può neppure sostenere che le opere che oggi si stanno realizzando a Piombino, ed in particolare la creazione di un canale di accesso a quota ‑20 s.l.m, non fossero preordinate alla rottamazione della Concordia. Ci sono infiniti atti e dichiarazioni che confermano questa connessione, comprese quelle che la stessa Autorità Portuale ha reso al Consiglio Superiore del Lavori Pubblici a fronte di contestazioni sulla completezza funzionale del progetto, sostenendo “la necessità di dover raggiungere l’obiettivo di rendere le opere portuali in grado di accogliere con sufficiente grado di sicurezza il relitto della Costa Concordia entro i termini temporali prefissati e con i limiti del finanziamento disponibile” (per leggere clicca qui). La crisi industriale, purtroppo concreta, è finora servita più da copertura motivazionale nelle sedi istituzionali, in particolare in Parlamento, che da orientamento per la progettazione delle opere portuali in fase di realizzazione. Sicuramente un porto efficiente costituisce un fattore di competitività per le industrie piombinesi e non solo, ma sarebbe stato auspicabile che le connessioni funzionali tra rilancio produttivo e investimenti pubblici nel porto di Piombino fossero esaminate prima e non dopo la realizzazione delle opere, tanto più in presenza di scenari evolutivi come quelli che stanno interessando lo stabilimento Lucchini destinati a mutare radicalmente l’utilizzo delle aree industriali e ad incrementare quelle dismesse.
Ora, svanito il miraggio Concordia, c’è solo da auspicare uno sforzo di concretezza e di realismo per trovare valide utilizzazioni di opere che, allo stato, si stanno realizzando senza conoscere ancora quale sarà il loro destino, rifuggendo da improvvisazioni o scenari immaginifici.
La mia opinione è che non serva occultare le criticità dei processi messi in atto e la carenza di un solido coordinamento strategico. Forse evita di fare i conti con la realtà e continua ad alimentare speranze, ma alla fine rischia di lasciarci con le stesse difficoltà dopo aver speso molto denaro pubblico.
Enrico Rossi si deve dimettere per manifesta incapacità (nel migliore dei casi) e (più realisticamente) per malafede.
Ottimo articolo!