Preoccupati o preoccupatissimi ma paralizzati
PIOMBINO 31 gennaio 2018 — Prima dell’incontro su Aferpi, quello del 30 gennaio 2018, il ministro Carlo Calenda si è detto preoccupato della situazione ed il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, si è dichiarato preoccupatissimo.
Sicuramente, quanto detto, vero e condivisibile.
Dopo quell’incontro anche a maggior ragione.
A parte l’individuazione della causa delle preoccupazioni in Issad Rebrab, definito come investitore dimostratosi totalmente irresponsabile, quando invece le responsabilità principali sono tutte da riconoscere a chi ha approvato un piano industriale assolutamente inattendibile e firmato un accordo di programma altrettanto campato in aria, ciò che è davvero preoccupante è l’insieme di contraddizioni che costituiscono tuttora argomento di discussione. Tali da far pensare che non si sa o non si vuole fare i conti con la realtà e dunque da far immaginare tempi ancor più bui di quelli che stiamo vivendo.
Naturalmente tutti affermano che Piombino deve tornare a produrre acciaio, dopo che non solo è stato spento l’altoforno ma anche dopo che il famoso progetto di costruzione di una nuova acciaeria elettrica con annesso treno rotaie è stato gettato alle ortiche. E non poteva che essere così, fin da quando fu firmato il contratto con SMS Demag, per la nota situazione finaziaria di Cevital.
Ma, dice il ministro, andiamo avanti con l’azione giudiziaria nei confronti di Cevital e produciamo gli atti da presentare al Tribunale per invocare l’insolvenza prospettica e quindi la messa in amministrazione straordinaria (da vedere naturalmente con quali e quanti denari l’amministratore straordinario gestirà lo stabilimento, ma questa è una domanda che nessuno si pone). L’obiettivo, aveva già chiarito il giorno prima, è quello di riprendere un asset fondamentale per ricollocarlo sul mercato. «Mercato che oggi esiste, continua il ministro, perché in Europa siamo riusciti a far rimettere quei dazi che l’Ue ha tardato a rimettere e che oggi consentono all’Italia e agli altri Paesi europei di riprendere il settore dell’acciaio e di riprendere investimenti e profittabilità».
Dunque il fine di tutto è una nuova edizione dell’amministrazione straordinaria ed una nuova gara pubblica per collocare sul mercato lo stabilimento di Piombino.
E questo evidentemente, nessuno l’ha smentito, con la finalità di continuare a produrre acciaio.
Non è passato ancora un mese da quando il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, ebbe a dire chiaramente che aveva anni prima manifestato interesse per rilevare i soli laminatoi, in cordata con Acciaierie Venete e Feralpi, ma oggi nemmeno questa ipotesi è giudicata percorribile. «Chi aveva eccesso di produzione, continua il presidente, ha ormai già verticalizzato tutto quello che poteva Solo il treno rotaie ha mercato, mentre vergella e barre sono un settore sovraprodotto. In un momento buono per l’acciaio non c’è la fila per investire a Piombino. Ben diversa la situazione di Acciai speciali Terni, anch’essa sul mercato, che a differenza della ex Lucchini è un’azienda con i controfiocchi».
Ed allora, è realistico il mettere sul mercato la ex Lucchini con il fine di voler riprendere a produrre acciaio?
Ovviamente sul mercato occorre andare ma vale la pena di continuare con quello che ormai sembra essere diventato uno slogan?
O forse vale la pena di ipotizzare non un unico bando per la messa in vendita di tutta la ex Lucchini di Piombino, legata a quel “continuare a produrre acciaio”, quanto piuttosto più bandi di vendita e di concessioni demaniali per attività siderurgiche e non siderurgiche? È questa del resto la strada che scaturisce da quella mozione, approvata contemporaneamente alla variante Aferpi (bella contraddizione!) dal consiglio comunale di Piombino, che dice esplicitamente che bisogna pensare a plurimi bandi pubblici per diversi soggetti industriali, per diversificati investimenti, per progetti plurimi per l’attrazione di traffici portuali e, perché no, per il recupero di impianti esistenti con finalità turistico-cuturali.
Per questo, però, c’è una ed una sola strada. Quella di prendere in mano la situazione, ricominciare da capo e gestire direttamente (Comune, Regione e Stato) la nuova fase, necessariamente fatta di idee, previsioni e strumenti che passano certamente per una nuova amministrazione straordinaria della ex Lucchini di Piombino, ma non solo. Passano soprattutto da una assunzione di responsabilità nella conduzione della vicenda che faccia fuoriuscire innanzitutto il livello pubblico dalla funzione notarile finora recitata.
In questo quadro anche i temi del lavoro non possono non essere oggetto di riflessione, sia in relazione a quelle che abbiamo chiamato idee e previsioni sia in relazione alla transizione temporale necessaria. Il modello perseguito fino ad ora, fatto di difesa di un qualche introito sotto forma di assistenza pubblica (tali sono gli ammortizzatori sociali) per un numero sempre più ristretto di lavoratori non può reggere. Non può reggere sia per coloro che oggi non hanno lavoro né prospettive di lavoro, sia per coloro che non usufrendo di quell’assistenza si trovano a passare dal lavoro (anche se ammezzato) al non lavoro. E anche per chi usufruisce degli ammortizzatori sociali difficile pensare al loro prolungamento nel tempo, forse sine die. O si pensa e si gestisce un piano di politiche attive del lavoro coerente con le nuove politiche di sviluppo o è bene sapere che anche da questo punto di vista andrà sempre peggio.
Ma tutto questo non sembra nella consapevolezza di chi ha responsabilità pubbliche locali, regionali e nazionali e così, non volendo vedere in faccia la realtà, si rimane immersi in un inviluppo paralizzante di non poco rilievo.
Preoccupati o preoccupatissimi ma paralizzati.
E non basta.
(Foto di Pino Bertelli)