Prigionieri del passato, improvvisatori del futuro
PIOMBINO 15 luglio 2013 — La priorità è il lavoro, ma non basta invocarlo. Non basta più neppure diversificare, come abbiamo sostenuto in passato. Servono capacità d’innovazione e coerenza strategica . Abbiamo saputo farlo?
Nell’ultimo decennio le attenzioni prevalenti degli attori politici e istituzionali locali sono state concentrate sulla difesa dell’occupazione nelle attività che hanno caratterizzato l’economia del secolo scorso, mentre sono stati progressivamente abbandonati i progetti maggiormente innovativi.
Conviviamo con la crisi dell’acciaio da oltre trent’anni. Seppur drasticamente ridotta la siderurgia rappresenta ancora oggi la principale fonte di occupazione. E’ dunque giustificata la difesa del lavoro in questo settore, ma occorre eliminare contemporaneamente le perdite economiche delle imprese, il perdurante ricorso agli ammortizzatori sociali e le criticità ambientali. Questi risultati non sono stati raggiunti ed espongono oggi gli stabilimenti a crisi ancora più drammatiche di quelle del recente passato. Sul versante pubblico sono mancate coerenti strategie di bonifica e riuso del territorio industriale che, per dimensione e contiguità con il porto, rappresenta un’area d’interesse nazionale da valorizzare. Non sono mancati i tentativi, ma bisogna riconoscere che l’aver riposto speranze salvifiche in progetti di dubbia fattibilità maturati fuori da questo territorio, come la vicenda dei fanghi di Bagnoli, non ha aiutato. Lo stesso può accadere con la vicenda della rottamazione della nave Concordia. Il risultato è che sono passati anni preziosi durante i quali le crisi industriali si sono acutizzate e il territorio non ha creato le condizioni per il rilancio e la diversificazione produttiva. E’ un fatto.
Negli anni in cui l’edilizia speculativa ha conosciuto uno dei trend di crescita più alti del dopoguerra, alcune amministrazioni locali, in particolare San Vincenzo e Campiglia, hanno fatto scelte di espansione urbanistica senza porsi troppi interrogativi sugli impatti che avrebbero determinato sul territorio. La prevedibile crisi dei mercati immobiliari ci consegna ora un settore in grandi difficoltà occupazionali e un territorio in parte saccheggiato da edilizia speculativa che non ha risparmiato neppure le campagne, fino ad interessare luoghi di grande pregio paesaggistico come la tenuta di Rimigliano.
Anche il turismo ha risentito negativamente di questi indirizzi. Più che verso strutture ricettive di tipo alberghiero (quelle che determinano maggiore occupazione e minore impegno di suolo) gli investimenti sono stati orientati sulle seconde case e sulle residenze turistico alberghiere che spesso sono case camuffate. Il fenomeno ha investito prevalentemente San Vincenzo e in parte minore Campiglia e Piombino.
Negli anni passati i Comuni hanno promosso e in parte realizzato il sistema dei parchi. In coerenza con questa scelta si doveva privilegiare il turismo che favorisce il rapporto con il territorio. E’ stata invece consentita la realizzazione di grandi villaggi autoreferenziali, come il Park Albatros a San Vincenzo, che tendenzialmente trattengono i turisti al proprio interno. Ne è scaturita un’offerta indifferenziata e poco integrata con le risorse naturali e storiche di cui è ricco il territorio. In questo scenario lo stesso progetto dei parchi ha smarrito la sua missione originaria e rischia oggi di apparire non più strategico. Gli effetti sono stati il blocco della ricerca e della progettualità che in passato ha consentito l’accesso ai fondi europei, la fine della collaborazione tra pubblico e privato e cedimenti sotto il profilo della tutela dei beni.
L’agricoltura è stata del tutto tralasciata ed il territorio rurale più che come risorsa produttiva è stato considerato spazio disponibile per le esigenze degli altri settori economici, dall’edilizia speculativa ai grandi impianti per le energie rinnovabili che in questo territorio avrebbero potuto agevolmente essere indirizzati verso aree già urbanizzate e coperture di grandi edifici. L’impegno delle amministrazioni per la DOC dei vini della Val di Cornia si perdono ormai nella memoria. Eppure ha contribuito a innovare non poco l’agricoltura, il lavoro e l’immagine di questi territori. Si sarebbe dovuto proseguire con le certificazioni di qualità di altre produzioni tipiche come il carciofo, lo spinacio e il pomodoro. Niente di tutto questo è accaduto.
Dal punto di vista istituzionale, lo smantellamento di ogni forma di collaborazione tra i Comuni della Val di Cornia e la demoralizzante diaspora che ne è conseguita ci consegna un territorio meno coeso e meno attrezzato per l’elaborazione di programmi di area vasta, ossia di quello che serve.
Potrei continuare, ma gli esempi fatti sono sufficienti a dimostrare che i tratti salienti delle recenti politiche locali sono stati la difesa di economie declinanti, la permeabilità alla rendita, la scarsa propensione verso l’innovazione e lo smarrimento strategico. Molto spesso le scelte sono state fatte in nome del lavoro e dell’occupazione. Obiettivo assolutamente condivisibile, ma bisogna concludere che le tendenze assecondate non hanno prodotto gli effetti desiderati e rendono ancora più difficile risalire la china. Dunque non basta dire lavoro, bisogna dire dove, come e per quale futuro. Serve un cambio di passo e di cultura politica.