Promesse mancate e nodi che vengono al pettine
PIOMBINO 15 novembre 2013 — Sono giorni difficili per Piombino e la Val di Cornia. Vengono al pettine nodi storici tante volte evocati, ma non sempre affrontati con determinazione e coerenza. La crisi della siderurgia inizia con la globalizzazione dei mercati. Si poteva contrastare solo innovando processi produttivi e prodotti. Chi ha gestito le acciaierie di Piombino lo sapeva, ma poco o nulla è stato fatto, neppure nei brevi periodi in cui i margini operativi avrebbero consentito investimenti. Non lo ha fatto il proprietario pubblico prima del 1993 e non la hanno fatto i privati dopo. La struttura dello stabilimento è sostanzialmente la stessa di trent’anni fa, non è più competitiva economicamente e non risponde agli standard ambientali europei. Negli ultimi anni ha bruciato ingenti risorse finanziarie, comprese quelle pubbliche, e ha portato la società Lucchini allo stato fallimentare. Sono stati persi decenni preziosi e bruciate risorse che potevano essere orientate verso l’innovazione. Che la siderurgia non potesse più costituire l’unico asset dell’economia locale, anche nell’ipotesi d’innovazioni, era noto da decenni a chi ha amministrato questi territori, così come era noto che gli altri settori dell’economia locale non avrebbero potuto assorbire l’occupazione della grande industria, neppure nell’ipotesi di un loro massiccio sviluppo. Salvo rare eccezioni, nessuno ha mai immaginato di soppiantare per scelta l’industria con il turismo o l’agricoltura. Non per questo sono giustificate le inerzie, sia nel campo industriale che in quello della diversificazione dell’economia locale. Sarebbero serviti da un lato innovazioni nell’industria siderurgica, anche nel caso in cui avessero comportato riduzioni occupazionali, dall’altro lo sviluppo dei settori economici marginalizzati nei periodi in cui la grande industria ha assicurato elevati livelli di reddito e di occupazione. Tra questi ci sono sicuramente l’agricoltura, il turismo, la valorizzazione del patrimonio culturale e naturale, i servizi. Tra le risorse da valorizzare ci sono anche le vaste aree industriali pubbliche non inutilizzate in prossimità del porto che rappresentano una oggettiva opportunità per l’insediamento di nuove attività industriali e logistiche. Servivano progetti di bonifica sostenibili che invece sono mancati anche in presenza di risorse finanziarie pubbliche stanziate e assegnate. Si è preferito credere che le bonifiche a Piombino si sarebbero potute fare con i rifiuti di Bagnoli, così come ora si punta sul relitto della Concordia per la risoluzione della crisi industriale. Sarebbe stata necessaria una forte interazione tra soggetti pubblici, a cui compete l’adeguamento delle infrastrutture, e soggetti privati a cui compete definire progetti per nuove imprese produttive o logistiche. Possiamo dire che questo sia accaduto, o semplicemente tentato, e che dopo un decennio dalla classificazione di quelle aree come sito da bonificare siamo in presenza di progetti condivisi e sostenibili? Possiamo dire di essere in presenza di progetti per l’agricoltura, il turismo, il patrimonio culturale che non siano l’effimero quanto illusorio richiamo al marketing territoriale anteposto ai prodotti e alla qualità dei servizi? O anche solo che se ne parli nell’unica dimensione in cui questi problemi vanno trattati e governati, ossia la dimensione sovracomunale che è ormai del tutto scomparsa? La crisi è sicuramente complessa, ma i ritardi e le inerzie hanno reso più difficile trovare soluzioni. Per questo è giunto il momento della verità e della trasparenza, così come è necessario che ciascuno provi a fare meglio il proprio dovere, sia esso un rappresentante politico, un amministratore pubblico, un dirigente d’impresa privata o semplicemente un cittadino, smettendo di cercare solo negli altri tutte le responsabilità senza chiedersi mai se ne ha di proprie.
(Foto di Pino Bertelli)