Quando la CECA inventò la diversificazione
PIOMBINO 15 luglio 2013 — L’Istituto di diritto, politica e sviluppo e l’Istituto di management della Scuola Superiore Sant’Anna nel presentare il Report intermedio della ricerca che stanno svolgendo su “Dinamiche identitarie, trasformazioni economiche, prospettive strategiche: il caso di Piombino e della val di Cornia” hanno rilevato che «il contesto internazionale ed europeo suggeriscono oggi percorsi di riaggiustamento che, nella pur lunga storia del dibattito sulla “diversificazione” a Piombino, sono stati solo parzialmente esplorati. In effetti, riproporre oggi in termini tradizionali un ennesimo dibattito sulla diversificazione rischia di rivelarsi concettualmente, strategicamente ed operativamente obsoleto, specie se si finisse solo per immaginare una “fuga” dalla siderurgia ed una diversificazione purché sia, verso qualche settore di moda oppure verso la fragile alternativa del turismo».
Ma quando si è cominciato ad applicare alla Val di Cornia il termine diversificazione ? E con quale significato?
Lo spiega bene la Comunità Europea del Carbone e dell’ Acciaio (nella foto piccola la sede in Lussemburgo) che nella Collana di economia e politica regionale (Programmi di sviluppo e riconversione) dove compaiono analoghi studi sulle regioni di Charleroi del centro e del Borinage, sulla regione di Montceau-les-Mines e sulla regione Umbria pubblica nel 1963 uno studio sulla zona di Piombino: «L’Alta Autorità della Comunità Europea del Carbone e dell’ Acciaio, che già nel 1958 si era interessata al problema del reimpiego dei lavoratori siderurgici licenziati, decise, a seguito di una domanda del Governo Italiano del 20 novembre 1961, d’accordo con la Società Italsider, di far svolgere uno studio sulla zona di Piombino affidandone l’incarico alla Somea S.p.A. Di Milano (Società per la Matematica e l’Economia Applicate). Scopo dello studio era quello di fornire prospettive coerenti di sviluppo ed apportare gli elementi atti ad orientare la scelta di nuove attività la cui istallazione sembrava auspicabile sia la fine di risolvere il problema della disoccupazione sia per realizzare una diversificazione economica ed attenuare conseguentemente le difficoltà sul piano sociale. Durante lo svolgersi dello studio, le decisioni prese dall’Italsider di realizzare nei prossimi anni un vasto programma di ampliamento dello stabilimento, hanno modificato profondamente il problema studiato; è acquisita la scomparsa a breve termine della disoccupazione che verrà sostituita addirittura nei prossimi anni da una deficienza di manodopera; in tal modo uno degli scopi iniziali dello studio viene eliminato.
Viceversa, il secondo scopo dello studio, cioè la diversificazione delle attività economiche, assume un’importanza ancora maggiore poiché lo sviluppo dell’ Italsider non mancherà d’accrescere il carattere monoindustriale e lo squilibrio organico della città.
L’obiettivo finale resta quindi quello della promozione di nuove attività economiche a Piombino. Si è tenuto però necessariamente conto della nuova situazione venutasi a creare con l’espansione dell’ Italsider, che , non solo ha rovesciato i dati relativi alla manodopera maschile, portando in tal modo a sviluppare certe parti dello studio ed in particolare quelle riguardanti il lavoro femminile, ma ha creato altresì nuovi problemi, quali quelli dell’ inserimento nella comunità dei numerosi immigrati che sarà necessario chiamare a Piombino per coprire il fabbisogno futuro della manodopera.
Lo studio è stato allora impostato sullo schema seguente: ricerca di nuove possibili attività avendo riguardo in particolare alle industrie che utilizzano in modo preponderante manodopera femminile, e verifica sul piano sociologico delle probabili conseguenze di queste iniziative e della loro accettazione da parte della comunità».
L’indicazione che veniva data in conclusione era quella dell’approfondimento di opportunità di insediamenti di imprese con le caratteristiche dell’elevata percentuale di manodopera femminile, del basso livello di investimenti e della scarsa percentuale di mandopera maschile specializzata.
Una prima risposta istituzionale viene data nel 1964 da un gruppo di lavoro ristretto costituito da Arno Ardisson, Presidente della Camera di Commercio Industria eAgricoltura di Livorno, Rodolfo Giovannelli, Sindaco del Comune di Piombino, Arrigo Valmarin, Ente Maremma e Ettore Massacesi, Comitato esperti di riconversione, che licenzia una Relazione preliminare per un progetto di sviluppo industriale della zona di Piombino che elenca una serie di iniziative industriali ritenute possibili (industrie conserviere, lattiero-casearie, dolciarie, della pesca, per la produzione di scatolame e contenitori in genere, di intelaiature e armadiature, di manufatti in carpenteria meccanica, per la lavorazione di materiali plastici per uso civile e industriale, per la estrazione e la lavorazione del marmo pregiato, del pietrame, del pietrisco e della sabbia, dei manufatti cementizi, delle costruzioni prefabbricate e dell’abbigliamento), definisce la zona come comprendente i Comuni di Piombino, San Vincenzo, Campiglia, Suvereto e Follonica, propone l’elaborazione di un Piano regolatore generale intercomunale che dia risposte al tema delle infrastrutture e dell’abitazione e sollecita azioni di promozione.