Quanti non si sa ma gli esodati non sono dei furbetti
PIOMBINO 30 giugno 2014 — “Esodato”: un termine che dal 2011, anno d’insediamento del Governo Monti, ha fatto prepotentemente la sua comparsa sulla scena politica e sociale del nostro Paese. Darne una definizione precisa è difficile, anche perché in sé racchiude situazioni lavorative diverse tra loro: lavoratori collocati in mobilità sulla base di accordi sindacali che maturano i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità, ma anche lavoratori collocati in mobilità lunga per effetto di accordi collettivi, titolari di prestazione straordinaria a carico dei Fondi di solidarietà di settore, prosecutori volontari della contribuzione, lavoratori del settore pubblico esonerati dal servizio, genitori in congedo per assistenza ai figli disabili gravi, lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011. In sostanza, una giungla di problematiche che prima della riforma Fornero nessuno avrebbe mai accostato, ma che da quel momento in poi ha accomunato le sorti di migliaia di lavoratori, o meglio ex lavoratori. In realtà non è nemmeno possibile fornire dati precisi, perché lo stesso Ministero aveva dall’inizio minimizzato la faccenda parlando di 55.000 unità, poi correggendo il tiro su 65.000, fino alle smentite dell’Inps e del suo presidente Mastrapasqua che, pur non fornendo dati precisi, arrivarono a dimostrare che ben più di 390.000 persone si erano improvvisamente trovate senza lavoro e senza la possibilità di ottenere la pensione. Oltre a questa già drammatica prospettiva, sorta oltretutto a seguito di un provvedimento legislativo retroattivo, che quindi in barba alla Costituzione andava a travolgere accordi presi svariati mesi prima dai dipendenti con le rispettive aziende, purtroppo il clima sociale in cui si sono trovati gli esodati non è stato certo tra i più solidali. In parte per la violenta crisi che ha investito l’Italia (e il mondo) e che ha portato via posti di lavoro, risorse e speranza a milioni di persone, in parte anche per la frammentarietà, l’incompletezza e la superficialità con le quali questa vicenda è stata portata all’attenzione del pubblico, nell’immaginario di molti l’esodato è un “furbetto” che, non avendo più voglia di lavorare, ha cercato una scappatoia per vivere il resto della propria esistenza a spese della comunità approfittando di pensionamenti anticipati e che grazie al “rigore” è stato ricondotto alla dura realtà. Tanto peggio per lui, o per lei, così impara. Purtroppo la realtà è ben diversa. La maggior parte di questi soggetti, come accennato prima, si è trovata infatti a dover affrontare una scelta, spesso dolorosa, alcuni mesi prima dell’insediamento del Governo Monti, certe volte addirittura anni: la crisi stava già iniziando a mietere le prime vittime tra le aziende, le quali cercarono di fronteggiarla rivedendo le spese. In particolare, per evitare licenziamenti tra i neoassunti, prevalentemente giovani, offrirono a quei lavoratori che si affacciavano all’età pensionabile l’opportunità di concludere accordi di mobilità e di fuoriuscita, che li avrebbero garantiti per i successivi due anni, con costi decisamente più contenuti per l’azienda, e l’opportunità di salvaguardare chi, se licenziato, si sarebbe trovato di fronte ad una realtà ben più dura. La riforma Fornero ha trascinato quei lavoratori in un limbo: la mobilità è terminata, ma l’innalzamento dell’età pensionabile a cui non ha fatto seguito un adeguato regime transitorio li ha condotti in un vicolo cieco. Da un lato la disoccupazione a livelli record, che si è abbattuta prevalentemente sui più giovani e per cui non sono ancora visibili miglioramenti nel breve periodo, dall’altro la difficoltà delle imprese che sono riuscite a rimanere in piedi a fronteggiare il crollo dei consumi, rendono impensabile il prossibile reimpiego di persone che, oltretutto, sono ormai troppo avanti con gli anni per potersi rimettere in gioco. Molte di loro sono finite in povertà, come denunciato sullo scadere dello scorso anno dalla rete dei Comitati di Esodati, e i provvedimenti legislativi che si sono succeduti per cercare di risolvere questa bruciante realtà sono lacunosi, incompleti, mostrano tutti i limiti di una legislazione d’urgenza. Da troppi anni ormai il sistema legislativo partorisce leggi “particolari”, studiate ad hoc per risolvere problemi contingenti senza però avere il respiro di riforme sistematiche e le conseguenze possono essere assimilate a quelle dell’abuso di antibiotici per curare un’influenza: di volta in volta il singolo nodo viene sciolto, la patologia attenuata o rimossa, ma l’organismo complessivo risulta indebolito perché la cura ha aggredito e debilitato gli altri organi. La vicenda che si sta snodando e che non è ancora approdata ad una soluzione definitiva ovviamente è molto più complessa, ogni singola categoria di lavoratori interessati ha vissuto un dramma anche molto diverso da quello descritto, ma quello dei “fuoriusciti” ha una portata sociale ingente. L’attenzione dei media e dei sindacati è stata indirizzata verso chi è sul filo del rasoio, i cassintegrati o i dipendenti di grosse aziende in crisi, nonché verso chi magari ha già una pensione e la vede erodere dalle tasse e dall’aumento del costo della vita, ma ci sono ampie fasce di persone, in parte dimenticate e in parte sottovalutate, che ogni giorno lottano contro la povertà e anche contro l’ignoranza di chi ha bisogno di un capro espiatorio per giustificare un tenore di vita sempre più basso, in una sorta di aggressività reciproca di hobbesiana memoria, la mai sopita “guerra tra poveri” che proprio in momenti come questi dovrebbe culminare in un armistizio e che invece si accentua. In attesa del prossimo decreto che dovrebbe essere presentato nei prossimi giorni, questa volta dal Ministro Poletti, sperando che si approdi, finalmente, ad una soluzione sistematica e definitiva.
(Foto di Pino Bertelli)