L'AGGRESSIONE E IL MICROCOSMO DELLA STAZIONE DI CAMPIGLIA

Quell’esercito che sta travolgendo la nostra società

· Inserito in Sotto la lente
Fiorenzo Bucci

CAMPIGLIA  5 set­tem­bre 2015 – Il caso ha trasfor­ma­to la rou­tine in un avven­i­men­to e ha mostra­to, a chi ha volu­to coglier­la, una realtà pre­oc­cu­pante di fronte alla quale il sen­ti­men­to preva­lente è oggi l’impotenza.
Chissà da quan­to tem­po sul treno regionale 2337 viag­gia­va gratis un eserci­to di extra­co­mu­ni­tari. Soprat­tut­to d’estate essi riem­pi­ono i vago­ni fin dal­la parten­za a Pisa ogni mat­ti­na alle 7,45. Stra­da facen­do guadag­nano poi le uscite alle stazioni sul­la cos­ta fino alle porte di Roma.
Sono tut­ti africani dei pae­si cen­tro occi­den­tali del con­ti­nente, han­no in mag­gio­ran­za il per­me­s­so di sog­giorno e si arra­bat­tano a smer­cia­re cian­frusaglie che chissà chi for­nisce loro negli stes­si sac­coni di plas­ti­ca azzur­ra. Sono non meno di 400, per lo più gio­vani, e allog­giano  come pos­sono nel tri­an­go­lo Pisa, Livorno, Luc­ca ma anche nei pri­mi pae­si del fiorenti­no. Nes­suno di loro è rius­ci­to a venir fuori da quel­la povertà che non immag­i­na­va cer­to di trovare quan­do decise di avven­tu­rar­si ver­so l’Italia.
In queste con­dizioni l’episodio era annun­ci­a­to. Sui treni come il regionale 2337 viag­giano un mac­chin­ista, un capotreno, che è anche addet­to al con­trol­lo dei bigli­et­ti, ed un agente incar­i­ca­to di garan­tire la sicurez­za di passeg­geri e per­son­ale delle fer­rovie. Tre per­sone immerse in una situ­azione nel­la quale il ris­chio è dietro l’angolo. Ed è bas­ta­to che un capotreno, 30 anni di espe­rien­za, moglie e tre figli, decidesse di fare il pro­prio lavoro per­ché la situ­azione diven­tasse dif­fi­cile. Uno dei passeg­geri, sen­za bigli­et­to, si è ribel­la­to e ha alza­to le mani sul fer­roviere che è rimas­to fer­i­to in maniera non grave. Il con­trol­lo è fini­to lì, gli altri sono rimasti ai loro posti e il treno è sta­to bloc­ca­to poco dopo alla stazione di Campiglia dove comunque si sarebbe dovu­to fer­mare. Qui una venti­na di agen­ti tra polizia e cara­binieri, subito avver­ti­ti, ha fat­to scen­dere tut­ti i passeg­geri e in un atti­mo la stazione si è riem­pi­ta. Pos­so descri­vere la sce­na per­ché l’ho vis­su­ta fin dal prin­ci­pio e mi per­me­t­to di rac­con­tare anche le mie sen­sazioni nel­la per­son­alis­si­ma con­vinzione che esse siano le medes­ime provate da altri che c’erano.
Sal­vo un par­ti­co­lare – molto grave – la cronaca dei 45 minu­ti allo sca­lo fer­roviario potrebbe anche chi­ud­er­si qui. Non ci sono state altre vio­len­ze fisiche anche gra­zie al sen­so di respon­s­abil­ità di polizia e cara­binieri. Le urla, le arrab­bia­ture nelle lingue più incom­pren­si­bili, sicu­ra­mente gli insul­ti potreb­bero essere archiviati ed amen. Invece ha fat­to riflet­tere – ed ecco il fat­to grave – che in ogni modo, un nutri­to grup­po abbia imped­i­to ai pochi cara­binieri ed ai pochi poliziot­ti di rin­trac­cia­re il colpev­ole dell’aggressione. Tan­to che alla fine il treno è ripar­ti­to come se nul­la fos­se accadu­to, con gli stes­si passeg­geri sen­za bigli­et­to con le stesse des­ti­nazioni e perfi­no con lo stes­so capotreno che, in assen­za di un sos­ti­tu­to, ha accetta­to di restare al lavoro fino alla stazione di Gros­se­to.
Purtrop­po però, ad occhi atten­ti, qual­cosa allo sca­lo di Campiglia era accadu­to. Per 45 minu­ti un pic­co­lo spazio è diven­ta­to un micro­cos­mo, la foto di un Paese che, sen­za rime­di e sen­za una vera ges­tione (dif­fi­cilis­si­ma) dei flus­si migra­tori, potrem­mo sco­prire tra qualche anno. Per chiarire e con le scuse per lo schema­tismo indi­co la situ­azione: noi (pochi) impeg­nati nel­la gius­ta dife­sa di una civiltà che è nos­tra e che ci è sta­ta tra­man­da­ta per­ché venisse svilup­pa­ta, loro alla ricer­ca di una vita nuo­va e migliore che han­no sog­na­to e che non rius­ci­ran­no a trovare con tutte le con­seguen­ze che una sim­i­le delu­sione può com­portare.
Per quel che mi riguar­da sono asso­lu­ta­mente con­vin­to del­la neces­sità di aiutare ques­ta gente nei loro pae­si ma ho altresì sposato, da sem­pre e  sen­za indu­gio, il par­ti­to di col­oro che si dichiara­no orgogliosi di un Italia, poco com­pre­sa e meno con­sid­er­a­ta, ma sem­pre in pri­ma fila nel sal­vatag­gio di tan­ti dis­perati che affrontano il Mediter­ra­neo. Ne con­segue che con­sidero l’integrazione una ric­chez­za per i popoli. Ma, ciò pre­mes­so, devo ril­e­vare che ques­ta non è inte­grazione. È un inesora­bile proces­so che rischia di con­dannare una soci­età come la nos­tra ad essere non con­t­a­m­i­na­ta ma tra­vol­ta. Alla stazione di Campiglia mi è par­so di ril­e­vare net­ta­mente ques­ta triste prospet­ti­va nell’atteggiamento di delu­sione e di impoten­za di gente, anche in divisa, costret­ta non a svol­gere il pro­prio dovere, come avrebbe volu­to, ma a desistere per evitare con­seguen­ze più gravi. E non alla pro­pria per­sona. Alla stazione di Campiglia ho cre­du­to di vedere l’Italia dei meno che si arrende all’Italia nuo­va dei più; una democrazia imper­fet­ta, che ci ha comunque regala­to benessere, che rischia di scivolare e regredire per ritornare a mod­el­li superati da anni e anni.
Alla stazione di Campiglia ho pen­sato che il pic­co­lo episo­dio dei sen­za bigli­et­to ci servisse per aprire gli occhi su un pos­si­bile triste futuro. Un moni­to anche per noi che vivi­amo in provin­cia e avver­ti­amo eco smorzate.
Alla stazione di Campiglia ho pen­sato all’esperienza che vivi­amo nel­la mia famiglia con l’attività in un’associazione di volon­tari­a­to le cui porte sono aperte a dis­perati di ogni raz­za, lin­gua e reli­gione. Che non han­no spes­so pane da man­gia­re, borsel­lo per le bol­lette e sem­pre più spes­so neanche una casa. Che chiedono sen­za avere la min­i­ma sper­an­za di otten­er­li, gli stes­si dirit­ti che ven­gono offer­ti ad altri dis­perati al cos­to, per le casse pub­bliche, di 35 euro al giorno.
Come si fa a dire ad un povero che lui non ha dirit­ti men­tre quei dirit­ti si riconoscono e si offrono ad altri poveri appe­na rac­colti e che spes­so perfi­no sconosciu­ti?
È dura trovare una gius­ti­fi­cazione facen­do rifer­i­men­to agli stanzi­a­men­ti, alle com­pe­ten­ze, ad una buro­crazia a cui la mis­e­ria non riconosce titoli.
L’interrogativo è grande: si rius­cirà a gestire il rap­por­to tra due povertà man­te­nen­do l’equilibrio del­la saggez­za che non conosce priv­i­le­gi e priv­i­le­giati? Cre­do che si deb­ba sper­are pos­i­ti­va­mente per­ché l’alternativa potrebbe portar­ci a vivere espe­rien­ze davvero impens­abili.
Infine – lo con­fes­so — ho avver­ti­to tris­tez­za quan­do queste pre­oc­cu­pazioni han­no rac­colto, insieme a qualche con­sen­so, anche molte, e molto pesan­ti, accuse. Per la ver­ità niente di nuo­vo sot­to il sole per­ché noi ital­iani siamo ten­den­zial­mente fat­ti così e più anco­ra lo sti­amo diven­tan­do: o da una parte o dall’altra con spazi esigui per chi rifi­u­ta ques­ta deri­va manichea. E quel­li più vergi­ni e più puri altro purtrop­po non riescono a con­cepire se non le pro­prie ragioni riget­tan­do sdeg­nosa­mente e met­ten­do all’indice quelle altrui. Qua­si che, in una situ­azione così com­p­lessa, ripos­to il buon sen­so, esista una ricetta pronta per guarire ogni malat­tia.

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