Francesco Ferrari
Ho avuto l’onore e l’onere di essere scelto dal Comitato promotore dei due referendum quale membro della commissione tecnica chiamata a decidere sull’ammissibilità o meno del quesito referendario avente ad oggetto il raddoppio dei volumi di discarica.
Dopo le riunioni del 10 ottobre e del 29 ottobre, come noto, lo scorso 12 novembre la commissione deliberava l’inammissibilità del quesito referendario. Sono stato il solo membro di commissione ad essere in disaccordo con tale decisione, assunta dagli altri cinque membri (il Presidente del Consiglio comunale, il Segretario Generale del Comune di Piombino, due Dirigenti del Comune di Piombino ed il membro scelto dal Sindaco).
Le ragioni giuridiche che hanno indotto la maggioranza a sostenere l’inammissibilità del quesito referendario sono due.
1) è stato sostenuto che la questione non sarebbe di “esclusiva competenza locale”, come invece previsto dalla normativa nazionale (Decreto Legislativo 267/2000) e dallo Statuto del Comune di Piombino (Art. 34), dato che la decisione se accettare il progetto di raddoppio della discarica non è assunta dal solo Comune di Piombino, dovendo essere investita della questione anche la Regione, i cui uffici tecnici dovranno pronunciarsi sulle richieste di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e di Autorizzazione di Impatto Ambientale (AIA).
Ritengo l’assunto infondato.
Da un lato, infatti, gli altri enti, a differenza del Comune di Piombino, dovranno pronunciarsi solo sulla conformità del progetto alla normativa ambientale ad oggi vigente, mentre il Comune di Piombino conserva un potere “politico” volto a valutare l’opportunità di dare esecuzione a quel progetto di raddoppio di volumi di discarica.
Dall’altro lato, anche a voler tacere le ragioni che precedono, non potrà essere ignorato che nel 2008 i Giudici del Tribunale di Livorno si pronunciarono su una questione molto simile, che riguardava proprio Piombino: si parlava dei “famosi” fanghi di Bagnoli. In quell’occasione il Tribunale, pur ribadendo l’inammissibilità del referendum in quanto oramai superato dalle decisioni allora assunte, precisò che la materia era comunque di esclusiva competenza locale, benché vi fossero altri enti (in quel caso il Ministero) a dover e poter decidere sulla destinazione dei fanghi stessi. All’epoca il Tribunale affermò: “se si ritiene infatti, come pare corretto, di privilegiare l’interpretazione secondo la quale debbono considerarsi materie di esclusiva competenza locale quelle nelle quali l’ente locale ha un proprio ed unico potere decisionale e sia comunque in grado di deliberare autonomamente, cioè “competente ad adottare una deliberazione che per raggiungere il suo scopo non abbisogni di altre autorità, né del concorso di altri enti” (Cons. Stato, Sez. I, Parere 2079 del 10.2.1993), è sufficiente rilevare che, nella fattispecie, nel contesto normativo di riferimento, spetta solo ed esclusivamente al Comune di Piombino la decisione di accogliere o meno nel proprio territorio i materiali provenienti dal sito di Bagnoli”.
In buona sostanza, il Comune di Piombino è ente che, in autosufficienza, potrebbe legittimamente dare concretezza alla decisione popolare, laddove il referendum ottenesse la maggioranza dei sì; ed infatti, il quesito investe il progetto di RImateria per la realizzazione di una nuova discarica da 2.500.000 metri cubi, che ben il Comune potrebbe impedire, a prescindere dai pareri di altri enti.
2) In secondo luogo, secondo i mie cinque colleghi – che rispetto e stimo, pur in disaccordo con la loro posizione – se un soggetto privato presenta un’istanza tesa ad ottenere un permesso a costruire nel rispetto della destinazione urbanistica dell’area, il Comune non può negare il permesso stesso. Da qui l’inammissibilità del referendum.
In realtà, basterà notare che il Comune conserva comunque il diritto di impedire la realizzazione di qualsiasi progetto, laddove non ancora autorizzato.
Lo può fare, per esempio, attraverso un intervento sul Regolamento Urbanistico; del resto, la nostra amministrazione ci ha da tempo abituato a varianti urbanistiche ad personam: nel caso di specie si tratterebbe di farne una al contrario, intervenendo per decretare l’inammissibilità del progetto.
Neppure potrebbe essere contestata la circostanza che allora si verterebbe su un referendum avente per oggetto il regolamento urbanistico (in tal caso, il quesito sarebbe per statuto inammissibile): infatti, la variante urbanistica non sarebbe l’oggetto del referendum bensì lo strumento per dare attuazione alla volontà popolare espressa con quel referendum.
In conclusione, ero e sono fermamente convinto che il quesito fosse ammissibile e che, dunque, il referendum potesse e dovesse essere indetto. Nonostante l’esito del lavoro della commissione, conservo ancora la speranza che la città possa pronunciarsi e conservo pure il sogno che a RImateria sia imposto di accogliere i soli rifiuti del Sin di Piombino, senza ampliamenti e senza privatizzazioni.
Ne va della riqualificazione ambientale e della diversificazione economica di Piombino; ne va del nostro futuro.
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Fabrizio Callaioli
È venuto il momento di tirare le somme sull’attività della commissione referendaria. Come molti sanno, io ero il commissario nominato dal Comitato promotore del referendum sulla vendita delle azioni ai privati.
L’inizio non è stato dei migliori, io ho chiesto che ci fosse la ripresa delle riunioni, ma il presidente Trotta e gli altri commissari non hanno voluto, allora ho chiesto che almeno si facesse la registrazione fonografica (l’ho fatto verbalizzare), ma non c’è stato verso. Eppure ogni riunione delle commissioni consiliari, così come anche della capigruppo, è registrata. Ma non hanno voluto. Lascio a chi legge ogni giudizio.
Ci siamo riuniti 5 volte, quindi non sto a ripercorrere i sensi di tutte le discussioni, mi limito a spiegare, con grande sintesi, perché la scelta della commissione è errata.
Gli altri commissari hanno ritenuto che il quesito sia inammissibile osservato che, a mente dell’articolo 2487 del codice civile, i criteri per la liquidazione della società (Asiu, proprietaria delle azioni di RImateria è in liquidazione) sono impartiti dall’assemblea con maggioranze previste per la modifica dell’atto costitutivo e quindi di due terzi, ciò implicando che, per modificare la disposizione fornita al liquidatore di vendere le azioni, sia necessaria una maggioranza qualificata e quindi sia necessaria anche la volontà degli altri comuni azionisti. Ciò comporterebbe la natura non prettamente locale del quesito referendario. Premesso anche che la vendita dei cespiti aziendali costituisca un criterio per la vendita. Le eccezioni sono infondate.
È errata intanto la premessa: le azioni di RImateria sono di proprietà di Asiu e quindi per quest’ultima rappresentano uno dei cespiti da vendere con la liquidazione. La vendita dei cespiti è ontologicamente un’attività di liquidazione non assimilabile ad un criterio della vendita. Un criterio è, per esempio, il prezzo di vendita, indicato appunto dai soci proprietari, non certo la vendita in sé. Ciò è dirimente e capace di porre nel nulla la contestazione.
Ma a tutto voler concedere, si può ancora replicare che l’attività di vendita non fu assegnata al liquidatore in maniera originaria, perché la delibera di vendere le azioni di Asiu fu assunta dal Comune di Piombino nel giugno 2016, mentre la messa in liquidazione – e i conseguenti compiti e criteri impartiti al liquidatore – sono deliberati dell’assemblea dei soci del gennaio 2017. Tant’è che il liquidatore prende atto della volontà già espressa fuori e precedentemente all’assemblea e che il processo di vendita ha già avuto inizio nell’agosto 2016 (per il primo pacchetto azionario del 30%). Le assemblee di Asiu precedenti alla messa in liquidazione hanno infatti deliberato sempre a maggioranza semplice.
Tutto ciò ammesso e non concesso che la volontà degli altri comuni nella decisione di non procedere con la vendita delle azioni rilevi per togliere al quesito la connotazione della natura locale. È infatti da smentire anche un indirizzo di tal guisa. Ciò che rileva non è il risultato della votazione in assemblea, ma il comportamento che il Comune di Piombino, tramite il suo sindaco, deve assumere in seno all’assemblea di Asiu. Con l’eventuale approvazione del quesito referendario, anche con il successo della consultazione, si andrebbe a dire al sindaco che la popolazione non concorda con la vendita delle azioni e che quindi, sarebbe politicamente corretto (attesa la natura solo consultiva del referendum) che il rappresentante dei cittadini votasse contro la vendita. È il processo di formazione della volontà che pertiene a questa discussione e non gli effetti della manifestazione di volontà degli altri comuni.
Gli altri commissari consideravano anche tardiva la richiesta referendaria, visto che il processo di vendita delle azioni era ormai uscito dalla sfera pubblicistica ed entrato definitivamente in un ambito privatistico sottratto alla possibilità di intervento pubblico. È errato.
L’atto iniziale della procedura negoziata di vendita delle azioni di Rimateria, del 27.09.2018, termina recitando le seguenti parole: “Né l’indizione della procedura, né la formazione della graduatoria, costituiscono vincolo per RImateria spa, la quale sarà libera di non dar corso all’aggiudicazione, nonché di differire il perfezionamento della stessa. In tal caso il concorrente che avrà formulato la migliore offerta non potrà far valere alcuna forma di responsabilità, neanche di natura precontrattuale, nei confronti di RImateria spa.”
È chiaro quindi nessun obbligo si è formato in capo alla proprietà di RImateria in seguito alla offerta conforme al bando pervenuta da una spa.
Ma è necessario anche ricordare che in data 26.10.2018 (prima della messa in liquidazione) il CdA di RImateria deliberò di proporre alla propria assemblea, e successivamente a Asiu, l’aggiudicazione provvisoria del II lotto del 30% di azioni di RImateria a Navarra spa.
Ciò significa che il processo di vendita non sia ancora concluso, almeno fin quando l’assemblea di Asiu non deliberi l’aggiudicazione delle azioni alla società offerente. Circostanza del resto in linea con l’architettura prevista dall’atto di inizio della procedura negoziata di vendita delle azioni del 27.09.18.
Come evidenziato in precedenza, il percorso si conclude con la delibera di aggiudicazione, ancora non intervenuta.
E ciò va considerato in uno con la previsione dell’atto di inizio della procedura del 27.09.18 (successivo di ben 9 giorni al deposito della richiesta di referendum del 18.09.18) secondo la quale RImateria, anche successivamente alla formazione della graduatoria, è libera di non dar corso all’aggiudicazione.
Quindi, non solo la procedura non è ancora conclusa, ma è chiaro che la chiusura della stessa è di assoluta competenza pubblica, perché è l’assemblea di cui fanno parte i sindaci che decide di aggiudicare o meno le azioni alla società offerente. E il quesito referendario, evidentemente, è volto ad indurre al sindaco di Piombino il comportamento da tenere in occasione di quella delibera sull’aggiudicazione.
È chiaro che non vi erano motivi validi per non ammettere il referendum.
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