La riconversione non si fa con un accordo scordato
PIOMBINO 17 luglio 2014 — L”offerta della Jsw Steel di Sajjan Jindal per l’acquisto dei laminatoi e dei servizi accessori della Lucchini di Piombino, sia pure in attesa delle decisioni finali del Commissario straordinario, del Governo e del Comitato di Sorveglianza, carica il Comune di una responsabilità, se fosse possibile, maggiore che nel passato, quella cioè di essere attore di una riconversione e di una riprogrammazione del territorio che sfugga da un lato all’inseguimento delle favole di volta in volta proposte dall’esterno e dall’altro all’esercizio della coloritura di affreschi impossibili. Operazione complicata che probabilmente implica anche la rivisitazione di decisioni prese ma alternativa non c’è.
Naturalmente la precondizione è quella di partire dai dati di realtà non certo dai progetti presentati attraverso i quotidiani.
Il bando del Commissario e del Governo individuava come criteri di valutazione delle offerte quattro scenari in ordine di preferenza. Il primo era costituito dall’ipotesi di mantemimento del “ciclo integrale”, il secondo contemplava l’impegno dell’offerente a realizzare nel sito di Piombino un impianto di produzione ghisa (o pre-ridotto) ed un forno elettrico (ipotesi“riconversione in acciaieria elettrica con impianto di produzione ghisa”) o in ulteriore subordine l’impegno dell’offerente a realizzare nel sito di Piombino un fornoelettrico (c.d. ipotesi “riconversione in acciaieria elettrica”), il terzo riduceva l’impegno alla laminazione (ipotesi “centro di laminazione”) ed il quarto la vendita delle diverse parti dei complessi. (c.d. “vendita in parti”).
È chiaro che né il primo né il secondo ispirano l’offerta della Jsw Steel e dunque è presumibile che né forno elettrico né tantomeno corex o altro di analogo siano ad oggi, sic rebus stantibus, possibili oggetti di discussione.
Si lega ancora, così come si è fatto nel passato, la possibilità di sviluppare una siderurgia innovativa ed ecologicamente compatibile (così si è arrivati a definire anche quella tecnologia vecchia di anni più volte citata) alla disponibilità di finanziamenti pubblici segnatamente regionali. A parte l’entità dei finanziamenti disponibili, apparentemente grande ma realmente limitata, si sorvola su un aspetto non proprio secondario e cioè sul fatto che quei finanziamenti possono essere incentivi a progetti di ricerca , sviluppo e innovazione o aiuti di Stato a finalità regionale. I primi, ai quali possono accedere grandi imprese insieme a piccole e medie imprese, devono avere le caratteristiche di progetti di ricerca industriale o di sviluppo sperimentale e dunque essere caratterizzati dall’acquisizione di nuove conoscenze e capacità o dall’utilizzo delle conoscenze e capacità esistenti per sviluppare nuovi prodotti, servizi e processi. Prototipi, insomma. Ovviamente il finanziamento pubblico è percentualmente limitato e non possono essere certamente finanziati impianti già brevettati da anni e adddirittura funzionanti in altre realtà. Se si pensa poi agli aiuti di Stato a finalità regionale il problema è più semplice: le attività siderurgiche non sono comprese. Rimangono le agevolazioni per quello che l’accordo di programma preelettorale definisce l’efficientamento energetico ed il miglioramento ambientale ma francamente parlare, come quell’accordo fa, di riduzione dell’impatto ambientale del ciclo produttivo di metallo liquido dello stabilimento di Piombino in una situazione in cui ormai lo stabilimento di Piombino non produce più né ghisa né acciao pare poco credibile. Nemmeno la strada dell’incentivo pubblico così come disegnato nell’accordo di programma, in conclusione, è molto convincente.
In realtà è proprio l’accordo che non funziona congegnato com’è da un lato su una difesa impossibile della siderurgia e dall’altro sulla dispersione dei finanziamenti possibili in un coacervo di interventi per infrastrutture, bonifiche e chi più ne ha più ne metta senza un disegno unitario, coerente e sinergico. Si è arrivati persino a rinunciare a finanziamenti ottenuti da anni per le bonifiche per utilizzarli per infrastrutture portuali mentre si continuava a sostenere la tesi, peraltro giusta, delle bonifiche innanzitutto. Si è preferito percorrere la strada della citazione delle possibilità annacquando un accordo di programma formale e trasformandolo in un protocollo d’intesa reale senza corpo e senza anima che rinvia a decisioni future .
Si è preferito allargare piuttosto che selezionare ma anche nell’opera di allargamento non si è avuto nemmeno il coraggio di allargare davvero e così questioni rilevanti come quelle della presenza in Val di Cornia di una centrale ENEL praticamente inattiva ed allo stesso tempo impegnativa per il territorio fuoriescono da ogni ragionamento.
Con la fine della produzione della ghisa e dell’acciaio salgono a centinaia gli ettari di territorio non utilizzato. Molti in prossimità della città, talvolta completamente ridotti a depositi talaltra occupati da impianti inattivi. Per una percentuale c’è un’offerta vincolante, per una percentuale ben maggiore il niente. È in costruzione, inoltre, un porto la cui funzione, così come abbiamo dimostrato in un precedente articolo (https://www.stileliberonews.org/porto-piombino-lavori-per/), non è affatto chiara.
È la classica situazione in cui alle istituzioni pubbliche ed in primis al Comune si richiede una capacità ed una volontà programmatoria che parta dalla conoscenza delle volontà vere degli interlocutori attivi e si dispieghi in un programma organico e fattibile.
Cosa si può prevedere nelle aree, magari vicine alla città, occupate da impianti non più riattivabili (non solo l’altoforno) ma magari riutilizzabili per altre funzioni, quali aree converrà bonificare, senza pensare a progetti faraonici ed ingestibili e costosi quali quelli ereditati dall’accordo sui fanghi di Bagnoli, e come attrezzarle per impiegarle per fini produttivi, quale relazione tra infrastrutture portuali esistenti e quelle programmate, in parte in corso di realizzazione?
Quali sono gli impegni veri e le altrettanto vere volontà di Jsw Steel ed ENEL?
Quali e quanti sono i veri finanziamenti, non le promesse di finanziamenti, privati e pubblici a disposizione in un dato arco di tempo?
Come si intreccia un programma complesso e difficile di riconversione con gli strumenti delle politiche attive del lavoro a disposizione e non solo con gli strumenti delle politiche passive? Strumenti veri, non certo i ridicoli lavori socialmente utili.
Sono domande dalle quali non si può prescindere e sopratutto non si può prescindere da risposte integrate e coerenti.
L’accordo di programma attuale non ha dentro di sé le risposte, addirittura non si è posto nemmeno le domande, ma si può sempre rimediare, basta volerlo.
(Foto di Pino Bertelli)