Una riforma costituzionale a colpi di maggioranza
PIOMBINO 20 novembre 2016 — Il clima che ha creato il REFERENDUM COSTITUZIONALE è surreale, un Paese diviso pesantemente da un SI’ e da un NO, con una campagna elettorale che è stata strumentalizzata da rese dei conti fuori e dentro i partiti, lasciando spazio solo a slogan senza mai entrare concretamente nei contenuti della riforma.
Il Paese sta vivendo una fase di stallo, sia le azioni di governo che di opposizione sono tese fino al 4 dicembre solamente al confronto elettorale, dimenticando che le problematiche con cui si devono confrontare quotidianamente i cittadini non scompariranno comunque, chiunque vinca.
Le metodologie di una classe politica autoreferenziale non sono certo tese al cambiamento, bensì alla conservazione del potere personale.
È evidente che le grandi questioni italiane non dipendono dalle norme, ma da una mentalità atavica poco virtuosa e radicata nelle istituzioni al di là dell’ordinamento.
L’esempio è la riforma costituzionale che non nasce in Parlamento, ma dall’accordo del “Patto del Nazareno”, che nonostante sia sembrato interrompersi dopo l’elezione del Presidente Mattarella, in realtà, sotto formule diverse, è ancora vivo e vegeto.
Questa riforma punta ad una sostanziale modifica dell’assetto rappresentativo della nostra democrazia, creando una sorta di cancellierato senza elezione diretta del cancelliere, indebolendo fortemente il Parlamento.
È stata approvata a colpi di maggioranza e scritta impropriamente sotto dettatura del governo, in modo poco chiaro e prolisso, che il cittadino medio non è assolutamente in grado di comprendere, costretto ad esprimersi solo sugli slogan e non sul merito.
I costituenti previdero il REFERENDUM COSTITUZIONALE come monito, affinchè gli interventi di modifica della Costituzione fossero espressione di un ampio consenso parlamentare, proprio per evitare un ricorso forzato al voto popolare, che è possibile solo se non vi è una condivisione dei 2/3 dei parlamentari come si evince nell’art. 138.
Le grandi riforme si fanno per il Paese e non per una parte di esso, poiché, in tal caso, durerebbero finchè non vi sia un’altra maggioranza che interverrebbe con ulteriori modifiche a propria immagine e somiglianza.
Vi sono passaggi di assetto dell’ordinamento che non corrispondono al valore dei principi fondanti della Costituzione, in primis la sovranità popolare, che deve essere garantita dal Parlamento e distinta dal potere esecutivo, come avviene in tutte le democrazie evolute.
Sono state fatte comparazioni con Costituzioni di altri Stati che sono improprie ed equivoche, in quanto vi sono differenze sostanziali nelle strutture ordinamentali che non possono assolutamente essere strumento di paragone.
Con questa riforma si vogliono stravolgere principi fondamentali della democrazia italiana, sacrificando sull’altare della governabilità la rappresentatività popolare.
La prima vera modifica che nessuno ha mai voluto, ed anche stavolta è stata di proposito dimenticata, riguarda l’art. 49.
I partiti oramai non sono più sacri simulacri di ideali e valori come nel 1948, pertanto dovrebbero diventare soggetti giuridici regolati da norme rigide, che ne garantiscano la democrazia interna attraverso forme di selezione della classe dirigente, che non siano prerogativa del potentato di turno, o di formule “amatoriali” come le primarie.
Sarebbe stato un metodo per ricostruire una visione alta della politica, qualificandone la propria rappresentanza a tutti i livelli, comprese le Istituzioni.
Al contrario, invece, si preferiscono e fanno molto più comodo i partiti soft, dove la classe dirigente è facilmente pilotabile e nominabile, utilizzando strumentalmente leggi elettorali capestro, vedi il PORCELLUM e l’ITALICUM, che mettono tutto il potere nelle uniche mani del capo.
In tal senso si pone la riforma del Senato, che non scompare e, se pur ridotto nella rappresentanza, mantiene per alcune competenze la funzione del bicameralismo.
Diventa un’ istituzione di secondo grado con l’anomalia dell’elezione indiretta dei propri membri, senza poter votare la fiducia al governo, nonostante in taluni casi abbia le stesse identiche funzioni dell’altro ramo del Parlamento.
Anomalie di dettato costituzionale che tutti gli esperti hanno rilevato, compresi coloro che sostengono il SI’, in tal senso il filosofo Massimo Cacciari è stato estremamente chiaro ed eloquente.
Ci sono altri punti poco chiari ed abbozzati in questa riforma: alla fine è evidente che non è un percorso virtuoso che cerca di rendere moderno ed efficiente il Paese, in realtà sembra più una strategia legata a giochi trasversali di potere, che nel metodo e nel merito sollevano troppi dubbi.
Si ripete lo stesso errore che fece il centrodestra nel 2005/2006, con tutte le conseguenze che il Paese ha dovuto subire.
Per questo motivo esprimiamo con forza il nostro NO, non possiamo firmare assegni in bianco ad un criterio ed a contenuti poco comprensibili, che lasciano troppo spazio alle future interpretazioni.
Nei prossimi mesi, qualora vincesse il SÌ, dovranno con leggi ordinarie essere definiti tutti gli strumenti di applicazione delle norme modificate, al momento estremamente sommarie; si preannunciano scontri duri e serrati fra maggioranza ed opposizioni, un periodo di grande divisione, che non sappiamo dove ci porterà.
La Costituzione è di tutti e pertanto qualsiasi cambiamento deve avere un ampio sostegno, non può essere prerogativa di una maggioranza parlamentare risicata, che nel Paese rischia anche di essere minoritaria.
Troppo poco per toccare oltre 46 articoli della Costituzione fagocitando una netta spaccatura e stimolando una forma di odio che serpeggia oramai indistintamente a tutti i livelli fra i cittadini.
Pertanto il nostro voto contrario è sul merito e sul percorso, non certo sulla personalizzazione della campagna elettorale, tanto meno sulla stabilità del governo, che correttamente deve procedere su binari diversi rispetto al consesso elettorale.
Non siamo contro il Presidente del Consiglio, valutiamo serenamente i suoi provvedimenti, casomai possiamo rilevare che talvolta gli effetti delle azioni del governo sul nostro territorio sono state finalizzate a sostenere un metodo a livello locale che non è nella cultura e nella natura dello stesso capo dell’esecutivo.
In effetti, tutto il sistema politico della Val di Cornia, improntato da sempre su forti legami con la nomenclatura della sinistra PCI-DS-PDS, ed all’inizio fortemente contraria alla rottamazione renziana, all’improvviso, ha fatto una giravolta di 180 gradi passando dalle offese pesanti nei confronti del premier, nonchè segretario del PD, ad un’adulazione senza confini.
In fondo in fondo con un minimo di malizia strumentale, forse poco etica, ma che onestamente ammettiamo, auspichiamo che il SÌ perda anche per costoro, e per le faccine con il simbolo del SI’ impresso che ostentano meticolosamente sui profili dei social network, dove quotidianamente sono soliti mettersi in mostra.
Il Coordinatore UDC Piombino-Val di Cornia
Massimo Aurioso