Riforma dei porti: mi aspetto un ennesimo default
PIOMBINO 29 gennaio 2016 — La scorsa settimana in Consiglio dei ministri è stato varato il decreto attuativo del piano porti. Esso riforma profondamente le autorità di governance dei porti. Viene introdotto — e semmai rafforzato — il principio delle nomine solo politiche, fatte da politici, e quindi si vedranno ai posti apicali e non solo apicali solo dei politici.
Avviene, con questo nuovo piano, che le 25 autorità portuali esistenti vengono ridotte 15. Quindici autorità di sistema che regionalmente avranno più porti sotto si sé. Proprio come sta avvenendo con Livorno e Piombino. Inoltre cambia anche la composizione degli organi, il governo infatti prevede una più leggera struttura: il presidente, il segretario generale, un comitato di gestione ristretto, un collegio dei revisori. Questa viene presentata come una misura di grande snellimento ed efficienza.
Parlando dei ritardi del sistema portuale italiano e della sua logistica in generale si parla di cose in confronto alle quali la vexata quaestio della strada 398 — che pure grida vendetta al cospetto di Dio — impallidisce. Per inciso, porti e logistica collegata fanno il 14% del Pil, mentre i porti da soli il 2,6%, quindi non è ( non sarebbe ) una voce di cui tenere poco conto. Sui 400 miliardi di valore dell’export italiano, solo vero futuro motore a cui aggrapparsi per una ripresa economica, 200 passano per i porti nazionali, quindi si dovrebbe guardare a questo campo economico come una priorità. Invece non si riesce a star dietro a quel che servirebbe per tenere il passo con la competizione mondiale: niente dragaggi in tempi umani, nessun buon collegamento porto — rotaia, che abbattendo i tempi e fluidificando la supply chain potrebbe renderci competitivi per le merci che ignorano la sponda sud mediterranea e scalano con minor costi e più efficienza i grandi porti del nord Europa.
Il porto di Taranto con la sua piattaforma logistica ne è un esempio paradigmatico: 220 milioni di investimento di cui un decimo di privati e il resto pubblico nasce come progetto nel 2002, ma non è ancora operativa; è passata attraverso 41 (quarantuno ) autorizzazioni. I cantieri sono stati aperti undici anni dopo (2013), qualche mese fa c’è stata una finta inaugurazione perché i lavori sono tutt’altro che terminati e niente è ancora operativo. Nel frattempo, il flusso dei containers lavorati a Taranto è passato a zero, con una diminuzione del 100%, grazie ai tempi biblici che le opere hanno preso. Le nostre regole sono tali che mentre in Olanda un dragaggio si fa in quattro mesi (e sono propenso a ritenere che le risulte dei dragaggi olandesi non siano composte di fanghi termali innocui per la salute), noi non riusciamo a farli in sette anni. E si parla di Taranto, nelle intenzioni un hub di spicco nel Mediterraneo. Tornando al decreto del governo, ok, si snellisce tutto, ma il punto è chi sceglie chi, ai vertici dei porti. Diversi esponenti delle categorie professionali interessate (agenti marittimi, spedizionieri) lamentano la sparizione dei comitati portuali, in realtà ritenuti ridondanti e poco efficienti. Resteranno sotto altra forma, chiamata (reggetevi) Tavolo di partenariato della risorsa mare, e avranno funzione solo consultiva, senza poter entrare nel merito di nessuna questione. Sembra che la politica, riappropriandosi di tutto, mandi un messaggio agli operatori accusandoli di una gestione consociativa e immobile, in cui lo status quo remunera con posizioni di rendita chi c’è dentro da anni. Resta da capire quali presidenti saranno nominati dalla politica, politici anch’essi, che si troveranno un potere gestionale e decisionale molto più grande — quasi una autodichia. Il timore è che accedano a quella posizione magari politici trombati o riciclati, anche se il decreto recita che le autorità portuali saranno guidate da ” manager di provata professionalità “, tipo Villari a Napoli, un medico, ma tant’è, staremo a vedere. La filosofia alla base di questo riordino è che il potere più accentrato produca decisioni più rapide, ma rapidità (apprezzabile sempre) e giustezza non sempre coincidono. Se a Piombino si decide de imperio di regalare un pezzo di porto a quisque de populi per 50 anni, lo si fa e chiuso. Nell’ottica del ministro Del Rio i presidenti totopotenti dovrebbero garantire una migliore e più veloce competizione nel sistema marittimo nazionale.
Che i comitati portuali finiscano, mi fa piacere. Ne ho sempre pensato male, zeppi di chiunque ma gestiti decisionalmente da pochi; del resto, quando l’unico referente in porto era la locale Capitaneria, il lavoro scorreva bene e forse meglio di adesso. Rimango in attesa di vedere cosa succederà e spero di essere smentito, ma mi aspetto un ennesimo default.