Sbattuti tra bufale, bolle di filtraggio e post-verità
PIOMBINO 19 aprile 2017 — La manipolazione delle informazioni per il raggiungimento di un obiettivo, politico o meno, è un problema antico quanto l’umanità. Ciononostante, con la diffusione di Internet e in particolare del web 2.0, la circolazione di bufale e notizie totalmente prive di fondamento ha subito un notevole incremento, portando con sé conseguenze di larga scala. Note nei paesi di lingua anglosassone come fake news, le notizie totalmente false o comunque manipolate sono diventate un problema talmente massiccio da suscitare le reazioni dei governi e delle multinazionali operanti nel settore ICT.
In realtà, il motivo per cui notizie di questo genere diventano altamente “virali” sul web è legato a molteplici fattori: in primis vi sono soggetti che deliberatamente sfruttano titoli dal potenziale impatto emotivo innescando così meccanismi di click baiting (o acchiappa-click). Così facendo, il numero di lettori che visitano la pagina originale aumenta esponenzialmente e vengono massimizzati gli introiti delle inserzioni pubblicitarie.
Tuttavia, le notizie false sono soltanto parte del problema: la gravità della pubblicazione delle stesse è legata alla rapida diffusione e all’impatto che sono in grado di avere sull’opinione pubblica, minando la libertà di informazione dei destinatari e di conseguenza i fondamenti stessi della democrazia.
Tutto ciò è aggravato dalla cosiddétta filter bubble, (o bolla di filtraggio), termine utilizzato per denominare l’effetto degli algoritmi che se da un lato rendono più rapido ed efficiente l’uso dei motori di ricerca, dall’altro sottraggono spazio alle possibilità informative dell’utente. Tale bolla infatti fa sì che l’utente che digiti determinate parole nella barra dei motori di ricerca si veda restituiti i risultati più “coerenti” con altre sue ricerche passate, le quali hanno contribuito a delineare un “profilo” basato su gusti, interessi ecc. Lo stesso avviene sui social network, che nella home dell’utente propongono notizie e/o post simili a quelli già consultati. Questa efficienza ha però come effetto collaterale quello di incrementare il rischio di proporre notizie non vere, solo perché maggiormente coerenti con le inclinazioni del destinatario, che raramente si prenderà la
briga di verificarne l’attendibilità e che sarà dunque più esposto al rischio di esserne influenzato. Come si legge nell’articolo del Telegraph del 16 marzo 2017, dal titolo “What is fake news? Its origins and how it grew in 2016” (James Carson), ciò che ha consentito un’impennata del fenomeno (antico quanto la storia e la politica) sarebbe il mutamento di tre fattori nel mondo dell’informazione.
Il primo è quello relativo alla distribuzione e ai relativi costi, proibitivi per il quisque de populo (in questo caso, il soggetto in malafede che senza fondamento decide di divulgare falsità varie) nel caso di diffusione tramite opuscoli e/o riviste, e nulli (o quasi) per le condivisioni tramite social network.
Il secondo fattore riguarda i destinatari e la fiducia che ripongono nell’autore della notizia. Prima di Internet, per un soggetto operante nel campo dell’informazione, costruirsi una reputazione solida era questione lunga ed estremamente costosa: pertanto, dare seguito a notizie non vere avrebbe comportato conseguenze economiche non da poco. Grazie a blog e a siti web, e conseguentemente a quanto detto prima, oggi chiunque può permettersi di diffondere informazioni di ogni tipo, senza timore di ripercussioni reputazionali.
In terzo luogo, c’è un problema di regolamentazione: a causa dell’imponente numero di soggetti che oggi pubblicano e diffondono notizie, è sempre più difficile ricondurli nell’ambito della legalità, grazie anche all’aterritorialità del web e alle migliaia di portali internazionali disponibili, in grado di sfuggire al potere normativo e repressivo dei singoli Stati.
Strettamente connesso alla dilagazione delle notizie infondate è il concetto di post-verità. Per post-verità si intende l’argomentazione, caratterizzata da un forte appello all’emotività, che, basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati, tende a essere accettata come veritiera, influenzando l’opinione pubblica (Enciclopedia Treccani). In sostanza è una verità non suffragata da fatti ma da emozioni e denota il contesto in cui si muovono tutti quei soggetti che deliberatamente ignorano le notizie e le informazioni che contesterebbero la veridicità delle argomentazioni su cui decidono di fondare le proprie opinioni. Quel che spicca è la tendenza a costruirsi la propria verità, anche a costo di porvi a fondamento inganni o manipolazioni: ciò appunto perché quel che conta è la realtà emozionale e non fattuale, molto più semplificatoria. Del resto, i complottismi ne sono un emblema: rappresentano infatti la tendenza a ricondurre a spiegazioni più che semplicistiche, quando addirittura non del tutto irrazionali, una realtà globale così complessa che, per la materiale impossibilità di accedere a tutte le informazioni che la rendono tale, non potrebbe essere compresa fino in fondo se non con studi approfonditi.
Il mondo della politica e dell’informazione, nonché le grandi multinazionali ICT stanno prendendo sempre più coscienza della pericolosità legata alla diffusione virale di notizie false e approntano i primi tentativi di arginare il fenomeno. In Germania, ad esempio, il Governo federale ha approvato un progetto di legge, da sottoporre al vaglio del Bundestag, che prevede multe fino a 50 milioni di euro per i colossi del web che non rimuovano prontamente contenuti offensivi, diffamanti o contrari alle norme penali. Circa l’opportunità di attribuire agli ISP (Internet Service Provider) la responsabilità per la circolazione di contenuti “postati” da migliaia, talvolta milioni di utenti, con le relative difficoltà di monitoraggio, si potrebbe discutere a lungo (e non sarebbe nemmeno la prima volta, ma non è questa la sede adeguata). Più morbida la linea di chi vorrebbe puntare sul fact checking, ossia il controllo della veridicità di ciò che viene pubblicato, promuovendola come buona pratica già a partire dalle scuole. Negli ultimi giorni è inoltre giunta la notizia dell’istituzione dell’International Advisory Council sulle fake news, organo istituzionale dell’Osservatorio Permanente Giovani – Editori, di cui faranno parte il direttore del New York Times Dean Baquet, il direttore del Wall Street Journal Gerard Baker, il direttore del Los Angeles Times Davan Maharaj e Andrea
Ceccherini, presidente dell’Osservatorio. Nel frattempo, anche Google e Facebook si sono attivati: il primo, attraverso l’etichetta “fact-check” che gli autori potranno attribuire ai propri articoli laddove gli stessi poggino su fatti verificati e che sarà disponibile solo per gli editori riconosciuti attraverso gli algoritmi come fonti autorevoli; Facebook da parte sua ha diffuso un decalogo (disponibile per 72 ore agli utenti del social) di regole d’oro per identificare le fake news e ridurre dunque la possibilità di lasciarsi abbindolare dalle stesse.
Agli esempi sopra citati si vanno ad aggiungere migliaia di altre dichiarazioni di intenti, iniziative e studi al riguardo. Il tempo ne rivelerà l’utilità: per il momento, una soluzione definitiva sembra essere ancora lontana, se non irraggiungibile.
Approfondimenti
http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016–12-20/fare-soldi-le-bufale-ecco-come-guadagnano-siti-notizie-fake-172031.shtml?uuid=ADgonRHC&refresh_ce=1
http://vociglobali.it/2016/12/19/fake-news-perche-ci-si-crede-e-come-frenarne-la-diffusione/
http://www.telegraph.co.uk/technology/0/fake-news-origins-grew-2016/
http://www.treccani.it/vocabolario/post-verita_(Neologismi)/
http://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2017/04/05/news/germania_via_libera_alla_legge_anti-fake_news_e_odio_in_rete-162254437/
http://www.dimt.it/index.php/it/notizie/15993-fake-news-istituito-l-international-advisory-council
http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2017–04-13/osservatorio-giovani-editori-campo-contro-fake-news-121008.shtml?uuid=AEMcFp4