Scambio non riuscito salari, ammortizzatori, lavoro
PIOMBINO 14 maggio 2017 — Gli accordi sindacali del giugno 2015, tra Lucchini in amministrazione straordinaria e Aferpi da un lato e organizzazioni sindacali dall’altro, caratterizzano una parte importante di quella che si può definire la vicenda Aferpi ma che in realtà è la crisi dell’intero territorio della Val di Cornia e l’insieme di problemi irrisolti che la caratterizzano.
Oggi la sua cifra di lettura è costituita principalmente dalla mancata realizzazione del piano industriale Aferpi nelle sue componenti siderurgiche e non e contemporaneamente dalla mancata positiva chiusura dei capitoli più importanti della reindustrializzazione prevista negli accordi istituzionali (Stile libero ne ha già parlato diffusamente in precedenti articoli), ma vale la pena di focalizzare l’attenzione sull’aspetto che potremmo definire “sindacale”. Riguarda direttamente quelle duemila persone circa già occupate in Lucchini e oggi in Aferpi (in realtà anche in Piombino Logistics, che da Aferpi si è separata rimanendo nello stesso gruppo industriale) ma indirettamente anche tutti gli abitanti della Val di Cornia e non solo, dal momento che poggia su alcuni elementi concatenati che stanno sì alla base della vendita della Lucchini ad Aferpi ma le cui soluzioni o non soluzioni o modalità di soluzioni fanno sentire i loro riflessi ben oltre:
- piano industriale Aferpi,
- continuità produttiva Aferpi,
- occupazione in Aferpi oggi e domani,
- riduzione salariale per i dipendenti Aferpi
- ammortizzatori sociali per i dipendenti Aferpi.
L’occupazione, i salari, la spesa pubblica
Cominciamo da questi tre ultimi punti perché la loro giustificazione è consistita proprio nel rappresentare uno scambio con la ripresa produttiva ed in particolare con quello che è stato identificato, dalle organizzazioni sindacali e dalle istituzioni pubbliche, come l’obbiettivo principe: riprendere a colare acciaio. Non più con il ciclo integrale fondato sull’altoforno, come si è rivendicato fino all’ aprile 2014, quando l’altoforno è spirato, ma con i forni elettrici (il piano industriale Aferpi ne prevedeva due), naturalmente costruiti con le migliori tecnologie garanti della qualità del prodotto, della salute, della sicurezza e del rispetto dell’ambiente. Quello del colare acciaio è il fil rouge dell’intera vicenda, basti notare che il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi il 10 maggio 2017, cioè a produzione degli impianti di laminazione dello stabilimento Aferpi pressoché azzerata, ha dichiarato testualmente: «Quindi non vorrei che si derogasse da quell’ obbiettivo che avevamo scritto nei programmi che è appunto tornare a produrre acciaio e rioccupare tutta la manodopera». Per non parlare delle organizzazioni sindacali tutte (FIM, FIOM, UILM, UGLM, RSU AFERPI E PIOMBINO LOGISTICS) che il giorno prima hanno emesso un comunicato in cui si trova scritto:«…il Governo verifichi e sondi ogni tipo di soluzione in grado di dare un futuro a Piombino, sapendo che qualsiasi decisione in merito deve prevedere obbligatoriamente la produzione di acciaio…».
E poi, per recuperare tutta l’occupazione e forse immaginandone anche di aggiuntiva, una nuova parte logistica ed un insediamento produttivo agroindustriale.
Gli accordi sindacali del giugno 2015 sono molto chiari. In essi
- gli investimenti di Aferpi,
- il correlato mantenimento a regime dell’occupazione ex Lucchini,
- la continuazione delle attività imprenditoriali per due anni,
- la riduzione dei salari e l’utilizzazione degli ammortizzatori sociali per la salvaguardia dell’occupazione anche nella fase di realizzazione degli imvestimenti
sono legati intimamente, all’interno di una finalità preminente e cioè quella che da sindacati ed istituzioni viene descritta, appunto, con le parole “continuare a produrre acciaio” e poi altro.
Si legge esplicitamente nel verbale di accordo del 3 giugno 2015:
“Le parti confermano l’espressa finalità di consentire…la piena realizzazione del Piano Industriale presentato alle organizzazioni sindacali presso il Ministero dello Sviluppo Economico e la finalità di sostenere la salvaguardia della massima occupazione del personale, oggi parzialmente eccedentario, occupato negli acquisendi e succitati rami d’azienda delle società LUCCHINI SpA in A.S. E LUCCHINI SERVIZI SrL in A.S..
Confermano altresì di voler sostenere…la migliore realizzazione degli investimenti correlati all”innovazione dell’attività siderurgica mediante l’impiego di forni elettrici di nuova generazione, oltre che l’avvio delle nuove attività produttive, commerciali e logistiche previste dal piano industriale medesimo…Nell’ambito di tale offerta CEVITAL SpA si è impegnata, in caso di perfezionamento dell’operazione di compravendita, a proseguire le attività imprenditoriali per almeno due anni dalla data dell’atto notarile di cessione e a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali, come previsto dalla legge Marzano…AFERPI SpA si impegna ad assorbire tutto il personale in forza…al momento dell’efficacia del contratto di cessione…secondo le tempistiche determinate dalle necessità tecnico-organizzative e produttive correlate e conseguenti alle fasi di attuazione del proprio Piano industriale. Il trasferimento avverrà, quindi, gradualmente a fasi progressive anche usufruendo della disponibilità degli ammortizzatori sociali in capo alla società Lucchini SpA in A.S. e Lucchini Servizi SrL in A.S. E comunque non oltre il 6.11.2016…
…Ai dipendenti da trasferire saranno applicati ex novo ed esclusivamente i trattamenti economico minimi tabellari e quelli normativi previsti dal CCNL industria metalmeccanica, con esclusione, quindi, di tutti gli elementi aggiuntivi ai minimi tabellari (a titolo esemplificativo e non esaustivo, l’elemento perequativo, etc.)…
…le parti concordano di applicare ai lavoratori che verranno trasferiti…
Servizio mensa
Servizio Trasporto
Cassa Mutua Integrativa aziendale
Aumenti Periodici di Anzianità (Scatti di anzianità)
Mantenimento parziale delle ferie aggiuntive alle 4 (quattro) settimane
Maggiorazioni per turno notturno (dalle ore 22,00 alle ore 8,00”.
L’accordo del 26 giugno 2015 sul contratto di solidarietà difensivo accentua il legame tra piano industriale Aferpi e gestione del personale stabilendo che viene individuato quale strumento ottimale per la gestione del piano industriale di Aferpi il contratto di solidarietà di tipo difensivo con durata 24 mesi prorogabili di altri 24 mesi a decorrere dal perfezionamento dell’atto di acquisto degli impianti Lucchini (poi avvenuto il 30 giugno 2015) comportando questo una riduzione dell’orario di lavoro per una media complessiva aziendale massima del 60%.
Dal punto di vista dell’occupazione direttamente impiegata nell’ ex Lucchini e Lucchini servizi le conseguenze sono state che Aferpi ha assunto il 30 giugno 2015 1.080 lavoratori, 995 sono rimasti temporaneamente in cassa integrazione presso la ex Lucchini e Lucchini servizi per poi passare ad Aferpi in 300 dall’ 1 luglio 2015 all’ 1 aprile 2016 e gli altri l’1 novembre 2016 , fino a raggiungere un totale di 2.298 (dal momento dell’assunzione in Aferpi è scattata l’applicazione del contratto di solidarietà).
Da chiarire il fatto che per tutti l’impiego del contratto di solidarietà decorre dalla data di efficacia della cessione/acquisizione della Lucchini da parte di Aferpi, cioè dal 30 giugno 2015, ai primi due anni, cioè fino al 30 giugno 2017, e può essere prorogato così come è stato per altri due anni, cioè fino al giugno 2019.
Dal punto di vista dei salari facendo una simulazione a partire da una paga base di quinto livello di un dipendente ex Lucchini senza familiari a carico ed un dipendente con moglie ed un figlio a carico
- nel caso di lavoro a tempo pieno nell’ ex Lucchini gli importi totali netti mensili sarebbero rispettivamente di 1.517,35 e 1.625,11 euro,
- nel caso di posizione in cassa integrazione nell’ ex Lucchini 910,90 e 994, 86 euro,
- nel caso di attività a tempo pieno in Aferpi (simulazione teorica dato che a tutti i dipendenti è stato stato applicato il contratto di solidarietà) 1.455,87 e 1.563,92 euro,
- nel caso di attuazione del contratto di solidarietà 1.198,90 e 1.311,43 euro.
In altre parole fatto 100 l’importo mensile delle due tipologie di lavoratori a tempo pieno in Lucchini abbiamo avuto una riduzione rispettivamente del 39,96% e del 38,78% nel periodo della cassa integrazione, del 20, 98% e del 19,30% del contratto di solidarietà.
Il costo della cassa integrazione e dei contratti di solidarietà
Non si creda, però, che i salari, per quanto decurtati, siano stati pagati da Aferpi ed anche dalla ex Lucchini.
Facciamo una simulazione, sulla base di quella già fatta da Stile libero in un precedente articolo, basata su due casi medi:
- lavoratore di 5° livello in cassa integrazione al quale viene applicato il 1° massimale, con indennità mensile lorda di € 971,71,
- lavoratore di 5° livello in cassa integrazione al quale viene applicato il 2° massimale, con indennità mensile lorda di € 1.167,91.
Supponendo che i 1.098 di Lucchini e i 1.080 di Aferpi non siano cambiati fino al 31 dicembre 2015 (6 mesi) e che i 749 di Lucchini e i 1.380 di Aferpi siano rimasti inalterati dal 1° gennaio 2016 al 1° novembre 2016 (10 mesi), si arriva alla conclusione che lo Stato attraverso l’Inps
- nel caso di 1° massimale nel 2015 dal 1° luglio al 31 dicembre il costo è stato di 6.401.625,48 euro, nel 2016 dal 1° gennaio al 1° novembre di 7.278.107,9 euro, per un totale di 14.986.682,5 euro;
- nel caso di 2° massimale nel 2015 dal 1° luglio al 31 dicembre il costo è stato di 7.694.191,08 euro , nel 2016 dal 1° gennaio al 1° novembre di 8.747.645,9 euro, in totale di 26.441.836,9 euro.
Il finanziamento della cassa integrazione è stato ed è tuttora in misura prevalente a carico dello Stato che vi provvede tramite la “GIAS” (Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali).
Per quel che riguarda i contratti di solidarietà la simulazione che è stata fatta è basata sull’ipotesi che i lavoratori lavorino il 40%, e per questa percentuale siano pagati da Aferpi, per il restante 60% siano pagati al 70% dallo Stato attraverso l’ Inps.
Il caso tipico è quello del lavoratore di 5° livello:
- nel 2015 dal 1° luglio al 31 dicembre il costo a carico dello Stato è stato di 4.826.304 euro,
- nel 2016 dal 1° gennaio al 1° novembre di 10.278.240 euro,
- nel 2016 e nel 2017 dal 1° novembre 2016 al 30 aprile 2017 di 10.269.302,4 euro, in totale di 25.373.846,4 euro.
In conclusione nel periodo dal 1° luglio 2015 al 30 aprile 2017, sommando la spesa statale per la cassa integrazione e per la solidarietà, si hanno i seguenti valori:
- nel caso di applicazione del 1° massimale 40.360.528,9 euro,
- nel caso di applicazione del 2° massimale 51.815,683,3 euro.
Resta da aggiungere l’integrazione concessa dalla Regione Toscana che, per il periodo 1 luglio 2015/31 ottobre 2016, è stata per i dipendenti di Aferpi pari a 1.726287,19 euro e per i dipendenti Piombino Logistica pari a 186.775,85 euro.
Le conseguenze degli investimenti non realizzati
Per quel che riguarda gli investimenti ricordiamo che
- allegato all’accordo del 3 giugno venne collocato un documento firmato dai rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, della Regione Toscana e del Comune di Piombino nel quale si sottolineava che “l’esito positivo del confronto consente di avviare la fase conclusiva del complesso processo di cessione della Lucchini ai nuovi investitori e, quindi, la realizzazione del piano industriale che darà importanti prospettive al territorio di Piombino”,
- il 30 giugno veniva firmato il contratto di vendita degli impianti Lucchini ad Aferpi,
- il 30 giugno veniva firmato l’ “Accordo di programma per l’attuazione del progetto integrato di messa in sicurezza, riconversione industriale e sviluppo economico produttivo nell’area dei complessi aziendali di Piombino ceduti dalla Lucchini in a.s. (articolo 252-bis d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152)” (è l’accordo con cui si stabiliscono le modalità di attuazione del “Progetto integrato di messa in sicurezza e di reindustrializzazione delle aree situate nel Comune di Piombino, di proprietà e in attuale concessione demaniale alla Lucchini S.p.A. in A.S.” previsto dal precedente accordo del 24 aprile 2014).
C’è in questi accordi un punto dolente che è stato nascosto dietro le dichiarazioni secondo le quali gli investimenti avrebbero garantito il mantenimento di tutta l’occupazione già presente nella Lucchini, con la conseguenza che anche l’occupazione nelle imprese dell’indotto lo sarebbe stata. In realtà non era proprio così dato che la stessa Aferpi nei documenti presentati alla Regione per la pratica di non assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale diceva chiaramente che “Riguardo all’indotto il non completo assorbimento di tutti i lavoratori dell’indotto, rispetto alla situazione in essere con il “ciclo integrale Lucchini” dipende essenzialmente da due fattori:
1. il nuovo polo siderurgico avrà impianti nuovi, più compatti e semplici da gestire sia in termini di manutenzione che di pulizia, anche in virtù del fatto che non saranno più presenti la cokeria e l’altoforno (impianti ad elevata incidenza in termini di richiesta di attività manutentiva e di pulizie industriali);
2. i processi di riconversione e riqualificazione professionale attuati negli ultimi due anni hanno consentito ad AFERPI di scegliere, strategicamente, di riportare all’interno dell’azienda la maggior parte delle attività manutentive, riappropriandosi del know-how impiantistico che nel corso degli anni di gestione Lucchini era stato perso ricorrendo massicciamente alla pratica dell’esternalizzazione delle attività di manutenzione”.
Il che significa che, a parte la riflessione sulla necessità di personale per la manutenzione degli impianti del ciclo integrale maggiore di quella per i forni elettrici sulla quale si può molto discutere, il mantenimento dell’occupazione ex Lucchini sarebbe avvenuta a scapito dei lavoratori già impegnati nelle imprese dell’indotto.
Ma a parte questo vulnus, non da poco per i suoi riflessi sul territorio, la situazione si è deteriorata anche per gli investimenti che avrebbero dovuto garantire l’occupazione ex Lucchini.
La fine ingloriosa che, dopo due anni, hanno fatto gli accordi per la reindustrializzazione e la bonifica del sito di Piombino è ampiamente nota e documentata.
Di tutti gli investimenti compresi nel piano industriale nessuno è andato in porto, non solo per i problemi che Issad Rebrab, patron di Cevital e di Aferpi, ha avuto ed ha con il governo algerino, che impedisce l’esportazione di capitali ed investimenti all’estero, o per il mutamento del mercato dell’acciaio. La realtà è che era un piano industriale fondato sul nulla. Basta leggere l’analisi del mercato lì descritta o rilevare che, firmato il 30 giugno 2015, prevedeva che i primi lavori iniziassero il 1° luglio 2015.
Quanto fosse aleatorio quel piano industriale del resto lo dimostra lo stesso commissario straordinario Piero Nardi che nella valutazione dell’offerta presentata da Cevital il 18 novembre 2014 così si esprimeva:
“Rispetto alla situazione di partenza (l’offerta di Cevital fa riferimento ai dati del secondo trimestre 2014) il contesto di riferimento del 2016 si è così modificato:
(i) la prevista ripresa di mercato non si è verificata anzi si è assistito ad una rarefazione della domanda;
(ii) lo sviluppo del progetto siderurgico ha richiesto tempi lunghi e modifiche dei contenuti con impianti all’avanguardia per poter competere con successo nel mercato della qualità ma con costi pressoché raddoppiati;
(iii) il mercato finanziario è entrato in crisi lesinando il credito sia per il circolante che per gli investimenti;
(iv) la crisi del mercato petrolifero e del gas si è pesantemente riflessa sul bilancio dello Stato algerino che ha visto ridurre i proventi energetici da 70 miliardi di dollari prima della crisi a 27 miliardi previsti per l’anno in corso, con un rapporto deficit/Pil del 20%. Questa situazione ha portato al blocco delle esportazioni di valuta con difficoltà da parte di Cevital di finanziare i propri investimenti esteri e al contingentamento delle importazioni, indebolendo la strategia Cevital di saturare gli impianti di Piombino con ordini provenienti dall’Algeria;
(v) Issad Rebrab, successivamente all’acquisizione di Piombino, come riportato dalla stampa locale, è entrato in forte contrasto con il Governo del suo paese con conseguenze anche sul piano della gestione finanziaria”.
È la dimostrazione che non solo quel piano industriale raccontava cose tecnicamente ed economicamente impossibili ma addirittura faceva previsoni che nel giro di sei mesi sono state completamente smentite dalla realtà e che dunque era un piano fondato sulla sabbia.
La conclusione è che il nesso tra investimenti e occupazione definitiva nei tempi previsti era ed è del tutto ipotetico. Ed infatti a tutt’oggi si discute più di ammortizzatori sociali che di altro, più di contingenza che di prospettiva.
Ma anche gli ammortizzatori sociali sono in discussione.
Anche sulla continuazione dell’attività imprenditoriale si sono posti problemi tant’è che oggi praticamente sono fermi due dei tre laminatoi esistenti e l’altro vive di un funzionamento altalenante. Pare di capire che anche le posizioni che i prodotti Lucchini avevano nel mercato sono andate quasi completamente perse.
Del resto è ancora lo stesso commissario straordinario Piero Nardi che l’ha detto ripetutamente ed esplicitamente fino al febbraio 2017:
“Si stava verificando (il riferimento è a quanto scritto in una lettera di Issad Rebrab inviata il 2 novembre 2016, ndr) quindi, ciò che era stato preventivato dallo scrivente Commissario nelle relazioni trimestrali ed in quella finale oltre che nella corrispondenza di monitoraggio e cioè che la mancanza di finanziamento del circolante avrebbe portato al fermo delle produzioni con riflessi pesanti sul piano della:
· gestione del contratto di solidarietà dei 2000 dipendenti di Piombino…È ovvio che le nuove assunzioni portano la forza lavoro totale a livelli che diventa assai difficile il mantenimento della percentuale minima prevista dal contratto di solidarietà in carenza di volumi produttivi rispetto alle previsioni. Fino ad agosto la percentuale minima era stata rispettata e la percentuale media si attestava al 34%”.
Da allora la situazione è ulteriormente peggiorata e dunque il mantenimento dei contratti di solidarietà è fortemente in discussione.
È vero che il 13 aprile 2017 in accordo con le organizzazioni sindacali Aferpi ha presentato una richiesta di proroga del programma di solidarietà per un periodo di due anni e per tutti i dipendenti giunti a scadenza, ma questo, in mancanza di una quantità di attività produttiva presente e futura tale da giustificare quel tipo di contratto e relativo intervento statale, non è affatto rassicurante.
Uno scambio che non ha funzionato
Lo scambio dunque tra decurtazione salariale e pieno rilancio produttivo ed occupazionale, sia pur oleato dalla spesa pubblica nella fase transitoria, non ha funzionato.
Il problema fondamentale è che si è messo in mano ad un solo soggetto la risoluzione dei problemi occupazionali di una fabbrica in liquidazione accontentandosi delle promesse, non certamente di una analisi approfondita delle proposte e della loro possibilità di attuazione. Partiti dal fine primo ed ultimo di “riprendere a colare acciaio” ci si è posti nelle mani di chi affermava, su basi quanto mai fragili, che non solo avrebbe colato acciaio ma avrebbe addirittura investito in altri settori e dato lavoro a tutti. Invece di immaginare, impostare e praticare soluzioni per un intero territorio, creare le condizioni per renderlo davvero appetibile (ad esempio con bonifiche ed infrastrutture materiali ed immateriali compiute e funzionali) per investimenti, impostare e realizzare le necessarie e personalizzate politiche attive per il lavoro chiamando in causa servizi pubblici e privati per l’impiego e strumenti d’intervento anche sperimentali (l’assegno di ricollocazione in presenza di altri ammortizzatori sociali e di servizi per l’impiegio inefficienti non può funzionare) si sono rovesciati i termini partendo dall’imprenditore ed andando a ritroso. Cosa rischiosa nel caso di proposte fondate, figuriamoci in quello di proposte per niente credibili.
In altre parole, così come è successo in molti altri casi in Italia, si sono confuse le politiche per lo sviluppo e le politiche per il lavoro e così facendo non si sono fatte né le une né le altre.
Di qui le incertezze presenti sia per i lavoratori Aferpi sia per coloro per i quali gli ammortizzatori sociali o sono scaduti o non sono nemmeno partiti sia per coloro che, finiti gli studi o un periodo di tirocinio o una pratica di servizio sociale o niente, si trovano, non solo dal punto di vista del lavoro ma anche dal punto di vista delle politiche attive per il lavoro, con un pugno di mosche in mano.
(Foto di Pino Bertelli)
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