Se a Dachau è accaduto, può accadere di nuovo
PIOMBINO 14 maggio 2014 — Dall’8 all’11 aprile 40 studenti di due istituti superiori di Piombino hanno partecipato a un viaggio a Dachau e Monaco di Baviera e per visitare il campo di concentramento e la città di Monaco. L’iniziativa, giunta alla sua quinta edizione, è nata anche quest’anno con la promozione del concorso “La strada della Memoria” riservato agli studenti delle scuole superiori e bandito dall’ ARCI Comitato Territoriale Piombino- Val di Cornia- Elba in collaborazione con il Comune di Piombino, l’ Archivio storico comunale e l’ Istituto storico della resistenza di Livorno. Tra i vincitori del concorso, e dunque partecipanti al viaggio, gli studenti dell’Istituto Statale Superiore Carducci-Volta-Pacinotti di Piombino i cui insegnanti così descrivono il progetto: «Per noi (Isis Carducci Volta Pacinotti che comprende un liceo, un istituto tecnico ed un istituto professionale) il progetto va avanti da tre anni. In terza proponiamo a tutti un percorso di formazione che si protrae fino alla quinta. Seguiamo con i ragazzi il percorso che ci viene proposto dall’Amministrazione comunale e dall’Arci (con l’Istituto storico della resistenza di Livorno) ed “in proprio” organizziamo una nostra formazione con incontri pomeridiani che ci permettono poi di individuare gli alunni che si sono maggiormente impegnati e formati per partecipare al viaggio. I numeri sono in crescendo: nel 2012 hanno partecipato al viaggio 15 studenti (con 9 borse di studio che abbiamo spalmato su 15 partecipanti), 21 nel 2013, 26 nel 2014. Quest’anno si sono iscritti al percorso di formazione 80 studenti, hanno partecipato in maniera assidua 50. Ne abbiamo potuti accompagnare nel viaggio solo 26. Impostiamo il progetto in questo modo perché crediamo che il compito degli insegnanti sia quello di trasmettere ai giovani l’importanza di quella che è stata la shoah, di aiutarli a riconoscere che viviamo ancora oggi nella stessa civiltà che l’ha resa possibile e che per questo portiamo in noi una grande responsabilità. Tutto questo in una società che frammenta ruoli e funzioni, distacca i mezzi dai fini, tende a favorire la deresponsabilizzazione delle persone e inibisce il senso critico. Auschwitz non è stato il folle disegno di un gruppetto di pazzi fanatici, ma è stato reso possibile dalla connivenza di migliaia di persone in tutta Europa, Italia compresa, che sapevano e hanno rifiutato di porsi il problema della responsabilità personale».
Di seguito le testimonianze degli studenti:
Nicola Todde
Appena arrivati all’ingresso di Dachau mi sono chiesto dove fossimo arrivati perché non mi pareva di vedere niente di simile ad un campo di concentramento ma, fatti pochi metri, ci siamo ritrovati di fronte al cancello dove mi si è gelato subito il sangue di fronte alla scritta Arbeit macht frei, una falsa speranza di ciò che aspettava chi varcava quella soglia.
Una volta entrati nel museo abbiamo trovato stanze con documenti e descrizioni storiche. La stanza che più mi ha colpito è quella dove avveniva lo smistamento dei deportati. Sulla parete la grossa scritta Rauchen verboten, vietato fumare:raccapricciante! Poi ci hanno portato in una sala dove hanno proiettato il documentario che racconta Dachau: tutto documentato perché Dachau è stato il primo campo e il modello per tutti gli altri campi. Appena usciti abbiamo cercato le baracche, che se pur all’interno ricostruite, rendono bene l’idea dello spazio, di come le persone vi stessero stipate come le bestie. Poi abbiamo cercato i forni crematori, in fondo al campo, mimetizzati tra la vegetazione e all’interno, pensare alla situazione reale, mi ha fatto venire i brividi. Il momento però in cui mi sono trovato più a disagio è all’interno della camera a gas dove ho avuto la sensazione di claustrofobia,sono dovuto uscire in preda all’angoscia, anche se ci avevano detto che quella camera a gas non è mai entrata in funzione. La visita al campo è stata dunque di forte impatto emotivo; lì si riflette molto su ciò che è successo, sulle cause, e si esce con un diverso modo di avvicinarsi alla storia passata e presente.
Manuele De Maria
Il viaggio a Monaco ha avuto come punto cruciale la visita al campo di Dachau. Questo è stato il primo campo ad essere ideato e da questo tutti gli altri hanno preso esempio, nella struttura e nell’organizzazione. Come per Ravensburger, visitato lo scorso anno, è difficile immaginare il dolore e la sofferenza provati da coloro che ci hanno vissuto, anche perché il campo è stato in parte ricostruito; ma c’è un luogo che in ambedue i campi ci fa riflettere e immaginare: i forni crematori, intatti e immutati nel tempo. Delle innumerevoli baracche ci sono rimaste solo le fondamenta, ma le poche ricostruite danno un’impressione concreta e reale delle indecenti condizioni di vita. Ciò che lascia stupiti però è l’indifferenza di chi viveva nei dintorni del campo che dice di non sapere niente. Il resto del viaggio abbiamo visitato la città di Monaco e il grandioso museo della scienza e della tecnica.
Tommaso Costagli
8 aprile: abbiamo potuto vedere solo l’albergo dopo una giornata di viaggio. Cenato in un bellissimo ristorante; buono il cibo; vi ceneremo anche le altre due sere; tutti a letto per la stanchezza.
9 aprile: oggi visita a Dachau. Visita al campo più vecchio, il primo ad essere costruito e da cui è stato preso spunto per la costruzione degli altri campi di concentramento e sterminio. Il campo è enorme, più grande di quello di Mathausen e di Ravensburger (visitati da me nei precedenti viaggi della memoria). Il senso di ansia e di oppressione che hanno passato gli internati è comunque non lontano dalle sensazioni provate negli anni scorsi. Pomeriggio visita a Monaco e serata nella birreria HB dove Hitler fece il suo famoso discorso.
10 aprile: quest’oggi abbiamo visitato il museo della scienza di Monaco; molto interessante.
11 aprile: torniamo a casa. Ci aspetta un altro lungo viaggio.
Gabriele Maurizi
8 aprile: all’arrivo siamo andati subito in albergo,poi al ristorante; cibo non un granchè!
9 aprile: sveglia presto per andare a Dachau: già all’entrata ho avuto una sensazione strana, pensando alle cattiverie consumate lì dentro e mi sono sentito invadere dalla tristezza nel pensare a tutte le atrocità commesse in questo e negli altri campi. Abbiamo in silenzio visitato il museo, i dormitori, i bagni, i forni crematori, la camera a gas e mi ha dato veramente noia pensare che azioni fuori dal mondo sono accadute qui, davvero! Nel pomeriggio abbiamo visitato Monaco con una guida.
10 aprile: visita al museo della scienza.
Davvero una bella esperienza!
Tommaso Bechelli
Siamo a Dachau: dopo un lungo viaggio guardo gli alberi, il cielo e cerco di immaginare quale orrore abbiano visto; la natura stessa sembra macchiata da quegli anni terribili; si respira un’aria differente, sofferente. Siamo qui davanti al cancello che trasformava donne, uomini , bambini, anziani in numeri, in oggetti da poter sfruttare con una crudeltà estrema. Entriamo e subito un brivido mi immobilizza di fronte all’immensità di questo campo; solo dopo qualche secondo riprendo il mio cammino dentro questo inferno. Mi trovo dentro il luogo di smistamento, guardo le foto e quando distolgo lo sguardo le immagini sono talmente forti, reali, che mi sembra di vedere quelle stanze affollate di persone disperate, ignare di quello che diventerà la loro vita. Proseguo il cammino; sono nelle docce e mi pare di sentire il rumore dell’acqua che bagna quelle persone prima di indossare gli stracciati vestiti. Percorro di nuovo le stanze, mi guardo intorno, vado avanti e indietro, mi sento perso, immagino queste famiglie e quei lamenti e solo il pensiero mi distrugge. In ogni stanza trovo tutto il percorso effettuato dai deportati e i pannelli ci spiegano l’avanzare della storia fino alla liberazione. Esco dalla struttura e mi trovo di nuovo in mezzo all’immenso spazio vuoto in cui un tempo giacevano decine di baracche; entro a visitarne una e subito vedo quei letti che, anche se riprodotti, lasciano la mia mente ripercorrere le immagini dei documentari e di film in cui si vedono deportati sfiniti giacere su quei letti. Ora è il momento di camminare verso il posto più atroce: i forni crematori; immagino l’impressionante odore ma ciò che mi lascia davvero senza fiato sono quei lettini dove venivano caricati i corpi ormai privi di vita perché non riesco a pensare, non riesco ad accettare che migliaia di persone siano state cancellate in questo atroce modo dal mondo
Matteo Bartoli
Primo giorno: questo viaggio per me è il primo viaggio della memoria e sono molto contento di affrontare questa esperienza. Man a mano che mi avvicino a Monaco mi chiedo cosa mi aspetterà.
Secondo giorno: ci dirigiamo a Dachau. I dubbi mi assalgono: come sarà il campo all’interno? Subito, all’entrata, la scritta agghiacciante al cancello: rimango senza parole. Varcato il cancello mi trovo di fronte ad un’enorme distesa di ghiaia con due baracche intatte. Penso: qui 70 anni fa morirono moltissime persone ed io sono qui per ricordare, per vedere con i miei occhi i luoghi di questa tragedia. Dopo aver visitato il museo e visto un breve filmato siamo passati alla visita delle baracche, molto ristrutturate; non mi hanno lasciato l’impressione che mi immaginavo ma mi hanno comunque fatto capire come gli uomini venivano trattati. Poi siamo passati alla visita dei forni crematori e delle camere a gas. Lì sì che sono rimasto sconvolto: non avevo più parole; come è stata possibile una simile catastrofe? Grazie ai film e alla preparazione immaginavo cosa mi aspettasse, ma non si può descrivere cosa si prova ad essere sul posto. Conclusa la visita, ancora un po’ scosso siamo passati alla visita di Monaco, una delle città più belle del mondo.
Terzo giorno: visita al museo della scienza e della tecnica; molto bello anche se avrebbe richiesto molto più tempo per visitarlo tutto. Il pomeriggio lo abbiamo trascorso liberi, a Monaco, a fare shopping e comprare regali per i familiari.
Quarto giorno: purtroppo il viaggio è giunto alla fine ma ‚comunque, sono rimasto molto soddisfatto perchè ho potuto capire meglio la gravità dell’olocausto e l’importanza di ricordare e inoltre ho fatto nuove amicizie e mi sono anche divertito molto.
Gabriele Tatoni
1° giorno:s i parte. Questo per me è il primo anno che partecipo al viaggio della memoria; da una parte sono molto contento di partire, ma dall’altra sono cosciente che non sarà solo un viaggio per visitare Monaco, ma un viaggio di riflessione, di crescita e di memoria per ricordare la tragedia della shoah, consumatasi durante la seconda guerra mondiale.
2° giorno: mano a mano che ci avviciniamo a Dachau crescono dentro di me emozioni e domande su come possa essere accaduta una tragedia simile. Non sapevo fino a quel momento che ho varcato la soglia del cancello con la scritta Arbeit mactch frei (che mi ha agghiacciato) cosa avrei trovato: ed ecco un’immensa distesa di ghiaia delimitata ma muri e filo spinato. Ho pensato: sto camminando su un terreno calpestato da migliaia di persone vittime di maltrattamenti e violenze. Quel cancello e quei muri toglievano ogni diritto alle persone, perché chi è rispettoso dei diritti non tratta le persone come bestie. Quel terreno era stato testimone di atrocità! Abbiamo visitato il museo e le baracche e sono rimasto deluso che i letti non fossero quelli originali. L’esperienza più forte invece e la visita ai forni crematori e alla camera a gas. Sono esperienze che fanno riflettere e vanno affrontate con coscienza per capirne l’orrore e per non ripeterlo in futuro. Quello che è successo nei campi di concentramento ormai lo sappiamo, ma per capire e rendersi veramente conto dell’orrore del nazismo e ‚una volta a casa, riflettere su questi fatti, è bene visitare i luoghi dove tutto è avvenuto.
3° giorno:museo,svago,vista della città e shopping
4° giorno:si parte e questa volta, oltre alle valige e ai souvenir, porto un altro bagaglio, non materiale, ma interiore e pieno di emozioni che fanno riflettere e crescere.
Alessandro Bilaghi
8 aprile 2014: si parte, è il mio primo viaggio della memoria e non so bene come funziona. Mano a mano che ci avviciniamo a Monaco crescono dubbi, curiosità e interrogativi.
9 aprile 2014: andiamo a Dachau. All’arrivo non sapevo cosa ci aspettasse al campo. Ormai quello che è successo nei campi di concentramento lo sappiamo ma quando ho visto davanti a me quel cancello nero sono spariti dubbi, domande e qualsiasi altro pensiero eccetto la domanda : come può essere successo che un uomo potesse voler così male ad un proprio fratello al punto di farlo soffrire e morire? Non solo gli adulti venivano uccisi, ma anche i bambini si ritrovavano una pena da scontare senza nemmeno sapere il perché. Varcato il cancello sparivano le persone, i loro valori, contava solo ciò che si poteva sfruttare. Ripercorrere la strada già percorsa da tantissime persone condannate è suggestivo: lascia un vuoto dentro ognuno. L’esperienza più forte è vedere i forni e entrare nelle docce. Sono invece rimasto deluso dalle baracche rifatte: credo che in parte sarebbe cambiato l’impatto se ci fossero state quelle originali. Ad un certo punto all’interno del museo ci hanno fatto vedere un video sul campo. Il video era un po’ “crudo” ma credo che sia servito a farci comprendere meglio la realtà dei fatti perché se i concetti vengono fatti passare in maniera semplificata vengono appresi più superficialmente. Esperienze come questa comunque ci aiutano a crescere molto interiormente, come persone. Dovrebbero essere portati avanti nella scuola molti più progetti come questo perché nel mondo c’è sempre molta ignoranza e cattiveria rispetto al razzismo e alla cultura del diverso ed esperienze come queste possono cambiare le persone e ci fanno guardare il mondo in maniera diversa.
Marco Casalini
Nel nostro viaggio a Monaco abbiamo fatto visita al campo di concentramento di Dachau. La formazione e la preparazione alla visita è stata molto importante per immedesimarsi in ciò che è accaduto e per poter visitare il campo con una maggior conoscenza e responsabilità. Abbiamo inizialmente fatto visita al museo, costruito successivamente allo scopo di illustrare fatti, personaggi che sono stati protagonisti in quel periodo. È stato molto d’impatto vedere i vestiti e gli utensili dei deportati, utensili che sembrerebbero banali, ma che per loro avevano un significato profondo. Tutto era marchiato con il simbolo di appartenenza ad un determinato gruppo, la stella o il triangolo: ciò per cui un deportato veniva riconosciuto era esclusivamente questo simbolo, simbolo di completa perdita di dignità e onore.
L’audio — guida che ci ha accompagnato nel percorso del museo ci ha permesso di capire meglio e con chiarezza la crudeltà con la quale venivano trattati i deportati. Successivamente alla visita al museo, abbiamo visto le baracche nelle quali i deportati, quasi sempre in sovrannumero, erano costretti a dormire. Per ciò che avevo in mente e per i numerosi filmati visti, credevo che vedere queste baracche mi impressionasse maggiormente. Certamente non è stato facile vedere quei luoghi, ma il fatto che siano stati ricostruiti, ha attenuato il loro valore e il loro impatto originario. Il tragitto che c’è tra le baracche e i forni crematori è stato molto toccante, anche per i fili spinati che hanno accompagnato il nostro cammino.
Forse la cosa che più mi ha appassionato, forse perché più fedele alla realtà, è stata la visita ai forni crematori e alla camera a gas. Trovarsi lì e pensare che in luoghi simili, persone venivano uccise credendo di fare una doccia è molto impressionante.
Nonostante che in questa camera a gas non sia stato ucciso nessuno, anche se i morti ci sono stati lo stesso, e che questo sia stato un campo di lavoro e di smistamento, la vista mi ha portato a riflettere sull’essere umano.
L’uomo, per il semplice fatto di considerare qualcuno diverso e quindi “inferiore”, allora come oggi, anche se in altro modo, è portato a compiere atti incredibilmente mostruosi che degradano quello che dovrebbe essere “l’essere umano”.
Cecilia Venturelli
8 aprile 2014: p rima di partire mi sono domandata come avrei reagito a questo viaggio.…non è una gita scolastica come le altre. Ho pensato che avrei pianto davanti alla camera a gas, ai forni.…poi mi son detta “chi vivrà vedrà non voglio pianificarmi tutto, soprattutto le emozioni!”. L’ho pensato solo perché mi conosco e in genere reagisco così a queste cose. Vedere un campo dal vivo non è esattamente come vederlo in un film, documentario o filmato d’epoca. Vedendo dall’autobus alcune linee ferroviarie, la mia mente per associazione ha pensato che forse, qualche tempo fa, su quei binari ci sono passati dei treni diretti anche a Dachau.
Ha ragione comunque Tiziano Terzani quando dice che viaggiare con l’aereo limita molto, passi da un paese all’altro senza accorgerti veramente che hai passato la frontiera!
Guardando il video che nonno Mauro ci ha fatto vedere mi sono chiesta: « ma è giusto che mi diverta con i miei compagni se lo scopo di questo viaggio è riflettere su qualcosa di tragico come tutto questo?» Mi sono risposta che sì, mi devo divertire, ma devo anche essere consapevole che devo farlo nei momenti giusti.
9 aprile 2014: sono in autobus, mi sto avvicinando al campo di Dachau, penso: “ Ma chi ci abita vicino come fa? Cosa rispondono i genitori quando i loro figli chiedono “cosa è quello?” Come è vivere lì vicino oggi che è un museo, e soprattutto come era quando era un campo vero!?!?
All’entrata sentivo freddo, avevo i brividi, e quando ho passato il cancello ho pensato che era enorme immenso! Mi sembrava che avessero freddo anche le piante e il praticello verde. C’era silenzio, troppo! Gli stanzoni sono spartani, freddi, mi danno l’idea di sporco. Ci sono guide tedesche che accompagnano alcune scolaresche. È solo un pregiudizio, ma mi da noia sentire la lingua tedesca qui dentro. Mi sono domandata come avrei reagito. Boh … Passare lo stesso cancello dei deportati non ti lascia indifferente.…e meno male che oggi c’è il sole, ci fosse stata la pioggia o la neve forse sarebbe stato peggio. Sul computer della stanza della memoria ho trovato un uomo di Piombino morto qui a Dachau, Gragnani Giovanni. Mi sono resa conto ora che questo è un avvenimento che mi è vicino, perché coetaneo dei miei nonni. Vedere la baracca da dentro è impressionante, soprattutto per le condizioni igieniche. La distesa di tutte le baracche è ancora più impressionante, sembrano una distesa di tombe.
L’area del Krematorium è quella che mi ha toccato più di tutte. Sono entrata dalla direzione sbagliata.…ho fatto il percorso partendo dai forni, quindi mi sono ritrovata nella camera a gas senza sapere di esserci. Quando sono uscita e ho letto “Brausebard” ho capito, ci sono entrata di nuovo e mi sono immaginata nuda vicino a decine di altri corpi.
Tornando indietro mi sono accorta della landa desolata che è quel campo, e mi sono fatta le domande più idiote, ma anche le più pratiche quelle che non ti vengono in mente studiando su un libro:che lavoro facevano?, di che utilità era? Come facevano ad andare a dormire quelli che avevano il posto letto più alto? I deportati se lo saranno chiesto il senso di tutto questo?Certo che sì, e che risposte si davano? Ma anche altre domande, tipo: se fossi stata un abitante delle case davanti al campo, cosa avrei fatto? Mi sarei tappata il naso e avrei chiuso le tende per non vedere anch’io? O mi sarei ribellata? Per rispondere sinceramente avrei dovuto vivere quella situazione. Ora come ora posso dire che mettendomi nei panni di un deportato molto probabilmente sarei morta quasi subito per esaurimento psicologico: quella divisa, quegli zoccoli, con quel freddo, quel numero al posto del nome e soprattutto quell’incertezza procurata volutamente dalle guardie.…non lo avrei sopportato a lungo.
11 aprile 2014: il filmato che abbiamo visto nel viaggio di ritorno racconta tutto quello che le mie nonne mi hanno sempre raccontato sulla loro gioventù. Erano contente di avere almeno una volta a settimana un vestito nuovo da indossare. Quando crescendo hanno capito, si sono vergognate di tutto questo.
Mi frulla una domanda in testa: “Ma perché tutti ce l’hanno sempre avuta con gli ebrei? Già nell’antica Roma ci sono state le persecuzioni anti — ebraiche con Vespasiano, poi i pogrom russi, per finire con tutto questo?
Ho una perplessità: la mia generazione ( e soprattutto quelli più piccoli ) che è abituata in tv a film, telefilm con scene macabre, così come nei giochi per computer e game boy, vedere un campo avrà lo stesso effetto?
Giulia Lambardi
8 aprile 2014: viaggio molto lungo, abbastanza stancante, ma trascorso in compagnia e pieno di risate. È il mio primo viaggio della memoria, quindi ho molte aspettative, buone naturalmente. In particolare anche dopo aver visto il piccolo video portato da Mauro, sono curiosa di visitare il campo di Dachau, di sapere che effetto mi farà e come reagirò
Dalla cena ci siamo resi conto che i tedeschi mangiano solo wurstel e savoiardi e che non hanno idea di come si faccia un budino al cioccolato.
9 aprile 2014: la sveglia è suonata un po’ troppo presto, per cui siamo un po’ tutti assonnati, ma pronti per la visita al campo di Dachau , il motivo per cui siamo venuti fino a Monaco. Attraversata una strada tutta dritta, siamo arrivati all’ingresso del campo dove si vede il cancello con la famosa scritta “Arbeit Macht Frei”. L’aria è abbastanza fredda per noi che siamo vestiti e abbiamo il giacchetto, quindi non riesco ad immaginarmi il freddo che dovevano avere i deportati quando arrivavano a quell’ingresso e venivano privati delle loro cose personali. Entrando, l’audio guida ci da qualche informazione sul campo e dopo aver dato un’occhiata generale alla struttura, entriamo nello spazio che oggi contiene il museo. Lì per lì, entrando non mi sono resa bene conto delle effettive dimensioni del campo, la prima cosa che mi ha colpito è stata la grande scultura ( non so se posso chiamarla così) davanti all’uscita del museo che a prima vista mi è sembrata raffigurare molte persone ammassate e del filo spinato.
La visita al museo è stata molto interessante soprattutto perché faceva vedere il campo come era prima, tutti gli avvenimenti che hanno portato a quello che è successo lì, alcune persone che vi sono morte e qualche oggetto che è rimasto. Del museo la cosa che mi ha colpito di più è stata la divisa a righe che dovevano indossare i deportati, sapere che quegli indumenti sono stati davvero portati da persone che erano a Dachau mi ha fatto riflettere e mi sono fermata un po’ davanti all’armadio in cui erano. Durante la visita al museo abbiamo assistito alla proiezione di un documentario sul campo di Dachau, molto semplice e diretto, il messaggio arrivava subito. Mi è stato utile guardare il filmato prima di proseguire la visita al campo perché ci ha dato molte informazioni che secondo me erano indispensabili per continuare a visitarlo. Sinceramente una cosa che non mi ha colpito per niente sono state le baracche, l’interno, dove dormivano i deportati, perché era tutto ricostruito e quindi non vero; i letti erano troppo in buono stato, tutti perfetti, anche la grande sala con gli sgabelli e gli armadietti era, secondo me, ricostruita troppo bene. Mi ero immaginata tutte queste cose in modo molto diverso, pensavo di trovarle come erano allora, rovinate dal tempo, magari a pezzi, ma piene di storia, della storia di tutte quelle persone che hanno finito i loro giorni lì. Anche i bagni me li aspettavo in modo molto diverso, mi sono sembrati troppo in buono stato.
La cosa che invece mi ha fatto riflettere e che mi ha messo diciamo “in crisi” è stata la camera a gas. La stanza non era grande, ma buia, i visitatori tanti, tutti dentro a guardarsi intorno per vedere cosa ci fosse di speciale in quella stanza che avrebbe dovuto portare alla morte persone normali. In realtà era una stanza come tante altre, doveva sembrare infatti un luogo dove fare la doccia, e non dove morire. Stare lì dentro mi ha fatto un effetto stranissimo, perché anche se quella stanza lì in particolare non era mai stata utilizzata, mi ha fatto pensare alla paura e alla disperazione di tutte le persone che vi sono entrate e alla mentalità criminale e non umana di chi le ha progettate. Un’altra cosa alla quale ho pensato durante la visita, è la collocazione del campo, non fuori città, non in un luogo isolato, dove nessuno potesse arrivare per caso, ma proprio vicino alle case, sotto l’occhio di tutti,tante persone che sono state indifferenti e che non hanno fatto niente per informarsi e ribellarsi. È veramente inspiegabile, come una persona con una coscienza possa arrivare a questo.
Comunque la visita a Dachau non è stata come la pensavo, le troppe cose ricostruite non mi hanno trasmesso quello che mi aspettavo; questo forse anche perché ormai siamo abituati a vedere tutto nei film, la nostra mente si abitua a certe immagini e vederle nella realtà ormai non ci impressiona più. Inoltre facciamo sempre i paragoni con il campo di Auschwitz, che mostra in parte le cose come erano durante la guerra, e quindi più vere e ti lascia più pensieri su cui riflettere.
Diciamo che mi aspettavo di trovare un campo in condizioni più misere e forse più grande, ma da questa visita ho comunque imparato molte cose che prima non sapevo e che forse non venendo qui non avrei mai saputo.
Marco Grandi
8 aprile 2014: sul primo giorno del nostro viaggio non credo che ci siano molte cose da dire; traversata lunghissima, ma soprattutto faticosa. L’hotel è molto carino e confortevole e i tedeschi a prima impressione sono cordiali, ma non si sbilanciano più di tanto nelle emozioni. Camere molto pulite e ordinate, letti comodi, ma coperte corte. L’unico problema è che non abbiamo market (per acqua, cibo e altre schifezze varie) vicino. Cena abbastanza buona. ..i wurstel nella minestra fanno un po’ onco, poi per il resto tutto bene.
9 aprile 2014: alla mattina del secondo giorno siamo partiti per il campo. Risparmio la trafila e arrivo subito all’entrata del campo. La audio guida ha reso abbastanza bene, descrizioni e citazioni molto chiare. Il campo beh è come tutti lo descrivono, pieno di sentimento e compassione, di ricordi e di dolore. Il museo rende meglio dello stesso campo. La vista delle baracche non è stata sconvolgente perché essendo state ricostruite, per quello che pensavamo fosse realmente, viste così apparivano più che vivibili. Certo non posso rendermi conto delle condizioni in cui vivevano i deportati, che proiettati in quel luogo davano più un senso di verità alle storie che ci raccontano.
I monumenti delle varie etnie religiose sono molto significativi, ma soprattutto aumentano il pensiero di dolore, non so forse è per la loro imponenza.
Forni crematori e camera a gas non hanno suscitato grandi pensieri come quelli provocati dalla vista dell’immensa vastità del campo.
Martina Ulivi
8 aprile 2014: beh il primo giorno lo abbiamo passato in viaggio, un lungo viaggio, durato esattamente 11 ore. È stato un giorno stressante e molto faticoso, però passato sempre in allegria. Appena siamo arrivati all’hotel abbiamo posato le valigie nelle nostre camere, ci siamo preparati e siamo andati in una locandina a mangiare brodino, wurstel, e un budino che più gommoso non c’è! Vabbé tutto sommato la giornata è stata stressante, ma ricca di emozioni.
9 aprile 2014: la mattina del secondo giorno siamo andati a Dachau per visitare il campo. Ci sono stati degli aspetti che mi hanno colpito, mentre altri che me li immaginavo diversamente. È stata un’emozione particolare riuscire a camminare in un luogo dove molti anni prima ci fu uno sterminio. Non è stato facile riuscire a visitare quel luogo. Sono rimasta per il resto del giorno triste, perché questa esperienza mi ha fatto crescere e in un certo senso mi ha segnato, nel senso che mi ha fatto aprire gli occhi su molti aspetti.
Chiara Bontà
Non pensavo fosse così ….
Forse dopo tutti i discorsi non è facile trovarsi una realtà così nuda e cruda davanti agli occhi.
Uno arriva con un’idea, un’aspettativa; è impossibile non lasciarsi prendere dall’immaginazione, alla fine è solo il disperato tentativo di capire, per provare a dare una spiegazione.
Me lo aspettavo diverso, il campo. Era quasi un paesaggio surreale per quello che invece doveva rappresentare, non trapelava alcuna emozione, non era facile capire cosa provavamo. Come se si volesse provare a mascherare e nascondere ancora questa realtà.
Non so se sarà mai possibile riuscire a capire davvero, fino in fondo cosa è stato, ma questo viaggio e quello che abbiamo visto per quanto possa essere lontano da quello che ci aspettavamo, e per quanto possa essere diverso da quello che un tempo era, deve comunque aiutarci a non dimenticare, per fare in modo che una cosa moralmente inconcepibile come questa, non si ripeta.
Emma Louise Nespoli
Siamo arrivati alla tappa più importante e le aspettative sono molte.
Arriviamo al campo di Dachau intorno alle 9.00 e dopo aver preso le audio guide iniziamo il percorso: passare attraverso l’ingresso del campo e leggere le parole che vi sono scritte è stata forse l’emozione più forte della giornata.
Rendersi conto che attraverso quel cancello vi sono passate migliaia di persone che per un motivo o per un altro avrebbero passato il resto della loro breve vita in quel luogo di terrore e morte suscita sensazioni che purtroppo né i video, né altri tipi di fonti possono dare.
Per il resto la visita del campo è stata certamente interessante e costruttiva, soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione e l’esposizione della vita e delle foto di alcune delle vittime, ma c’è stato un aspetto del campo che in un certo senso me lo ha fatto apprezzare meno, ovvero il fatto che le strutture fossero per la maggior parte ricostruite o rinnovate nel corso degli anni e questo da in un certo senso un’aria meno realistica. Soprattutto le baracche in cui i deportati erano costretti a vivere avevano a mio parere, un aspetto abbastanza “neutro” o meglio, davano sì l’idea delle condizioni in cui queste persone erano costrette a vivere ma purtroppo credo che non parlino abbastanza dell’orrore vissuto in quei luoghi. Per precisare, forse la differenza tra le crude immagini che siamo abituati a vedere e le condizioni attuali del campo di Dachau era decisamente troppo netta.
Un altro aspetto che comunque mi ha colpito in modo particolare è stato quello più cupo e triste in assoluto: i forni crematori. Come ogni cosa legata e presente nel campo, anche e soprattutto i forni sono certamente simbolo di morte ma, guardarli da persona consapevole dell’orrore accaduto, può dare un senso di liberazione totale dalle sofferenze che il mondo ha dato a quelle migliaia di vittime. Nonostante ci siano stati diversi aspetti del campo che non ho apprezzato, l’esperienza fatta al campo sarà certamente molto difficile non ricordare.
Sarita Feltrin
È strano attraversare quel piccolo cancello con la scritta simbolo “Arbeit macht frei”, varcare quella soglia significa entrare in un mondo fuori dallo spazio e dal tempo, percorrere la stessa strada che ha portato migliaia di persone alla morte non molti anni fa e che fortunatamente oggi conduce noi al cuore del ricordo.
Ripercorrere passo passo le tappe dello sterminio e del terrore è stato molto importante perché per comprendere pienamente il senso del nostro percorso è necessario vedere gli oggetti che appartenevano ai deportati, le foto che rappresentano il vero, le stanze dove migliaia di persone sono morte e successivamente bruciate o ammucchiate e lasciate a marcire come bestie.
Quattro giorni fa pensavo che entrando nel campo avrei provato disgusto per le bestie che hanno permesso tutto ciò, tristezza e compassione per chi è stato privato della propria dignità e annullato come persona; così è stato, ma mi sono sorpresa quando ho provato anche felicità, per essere lì, per poter imparare qualcosa di nuovo, per diventare una portavoce del ricordo e per poter raccontare, far vedere le foto e i video che ho fatto ad altre persone. Sono diventata una testimone attiva, non baso più le mie conoscenze solo sui libri ma potrò parlare delle condizioni di vita dei deportati avendo ben chiaro in mente i “letti” nei quali dormivano, i “bagni” che utilizzavano, i lavori che erano costretti a fare, gli esperimenti scientifici che dovevano sopportare, la morte che li aspettava.…..
Il viaggio della memoria però non deve servire solo a ricordare qualcosa di passato, ma anche a far riflettere sul presente; “E’ accaduto, può accadere di nuovo” è una frase che non deve limitarsi ad essere uno slogan nel giorno della memoria, ma uno spunto di riflessione estremamente attuale. La scuola deve formare un cittadino che abbia senso critico, pronto a difendere i propri diritti quando questi vengono negati o c’è il pericolo che succeda.
La crisi che attraversiamo oggi non è solo economica, ma anche morale, purtroppo problemi che inizialmente non sembrano gravi, possono diventarlo.
La televisione, che migliaia di persone guardano, aumenta ogni giorno l’odio razziale facendo apparire ai nostri occhi l’immigrato come un invasore e non come un uomo bisognoso di aiuto, scappato dalla sua terra d’origine spesso per salvarsi la vita o per sfamare la propria famiglia. Credo sia importante pensare al perché una persona lasci la propria casa e i propri cari; forse la sua non era più vita ma sopravvivenza. In questi viaggi dovremmo renderci conto di quanto siamo fortunati a vivere in un paese dove uscendo di casa non dobbiamo avere paura che scoppi una bomba o che un nostro caro muoia, un paese nel quale esiste ancora la libertà di parola e di stampa. Il nostro compito è quello di opporsi a chiunque tenti di instaurare una dittatura o utilizzi la guerra per sterminare popoli traendone un guadagno economico definendole missioni di pace, perché con la violenza è possibile produrre solo altra violenza e accrescere l’odio.
Gaia Canaccini
8 aprile 2014: ore 5:05 la sveglia suona, mi alzo, mi vesto, prendo le mille valigie e scappo all’autobus. Sono pronta per un’altra “avventura”nella storia. Ho preso tutto, il coraggio e la forza necessari per partire. Dopo un viaggio che è sembrato interminabile, siamo finalmente arrivati a Monaco.
9 aprile 2014: stamani è il giorno più importante del nostro viaggio nella memoria. Andiamo a Dachau. Per me è la prima volta in cui entro in un campo, il primo costruito, nato come campo di lavoro, ampliato con il tempo. Adesso nel campo è stato allestito un museo dove vengono ripercorse le tappe dello sterminio ( in verità lo scorso anno sono entrata nel campo di Ravensbruk, ma non ho potuto davvero vedere cosa era un campo).
La prima cosa che vedono i miei occhi è quel grosso cancello con la scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. Incredibile credere che quella frase accogliesse i deportati, prigionieri e future vittime della crudeltà umana.
Il cancello si chiude alle mie spalle, di fronte a me l’immenso piazzale per gli appelli; poteva contenere un’immensità di persone, è una sensazione assurda, sentirsi il niente nel niente. Ho iniziato a camminare, solo il rumore dei sassi sotto i miei piedi, niente altro. Faceva freddo, il vento mi toccava la pelle io pensavo: i deportati prima di me hanno camminato su questi sassi e loro non avevano né cappotti, né cappelli a proteggerli dal freddo. Di fronte al piazzale c’è una baracca: dentro grandi stanze con letti a castello dove dormivano in troppi rispetto a quelli che che questi letti potevano ospitare. Potevano trovare un po’ di sollievo con un materasso di paglia. Ed erano uomini, non animali.
In un’altra stanza quelli che erano i bagni, file di water una di fronte all’altra, nessuna possibilità di privacy. Il campo è immenso, non finisce più ed io continuo a camminare nel viale alberato che separa le due file di baracche di 17 costruzioni ciascuna. In fondo un ponte, un cancello protetto da filo spinato: oltrepassare questo ponte voleva dire dirigersi verso la morte. Infatti qui si trovano i due forni, i nuovi e i vecchi. La sensazione è sempre quella, un nodo allo stomaco, un senso di vuoto dentro e l’impotenza.
Cosa posso fare?
Qualcosa che io possa fare c’è: non arrendermi al tempo, non dimenticare mai. Ogni volta che mi viene data la possibilità, devo coglierla, ed essere il tramite tra la storia, che io ho la possibilità di rivivere e i miei compagni.
Queste esperienze sono esperienze di vita. Ti rendono migliore e ti fanno crescere. È stato difficile allontanarsi da questo luogo, non solo per i cancelli, i recinti e il filo spinato, ma anche perché hai un peso troppo grande sullo stomaco. Una responsabilità enorme.….
Ritorno a casa. Sicuramente avevo già un bel peso da portarmi dietro (le mie valigie) ma adesso ho tanto in più da dare e tenere con me.
Giacomo Sandrini
9 aprile 2014: sono a Monaco di Baviera. L’ho sempre sognato, è la città dei miei sogni. Precisa, antica e moderna allo stesso tempo. Circondata dai monti, dalle Alpi. Freddo intenso, neve fino ad aprile, ed un clima abbastanza mite in estate. Finalmente ci sono, dopo 10 ore di viaggio in cui ho visto tutta l’Italia del nord, il Tirolo italiano ed austriaco, Insbruck. Meravigliosa. Tutto è tranquillo, fa per me. Sono venuto due volte in gota in Germania eppure entrambe le volte non ho potuto e non posso tutt’ora, fare a meno di pensare alla storia travagliata e dolorosa di questa nazione. Una nazione che si è formata nel 1871 e che, malgrado abbia perso due guerre mondiali e sia stata divisa per anni in due stati, è riuscita a tornare la prima potenza europea.
Eppure non posso non pensare anche al fatto che, in soli 12 anni, questa grandiosa nazione sia stata tormentata (è questo il termine giusto?) da un male oscuro e imperdonabile.
Non credo che riuscirò mai a giustificare il nazismo. Qualsiasi cosa abbia fatto Hitler, non si può giustificare. Forse nemmeno spiegare. Provava odio fin nel midollo per quegli ebrei che probabilmente avevano costituito pure la sua famiglia. Non riesco a trovare una spiegazione razionale, o quanto meno logica.
Come non riesco a dire se i bombardamenti che hanno raso al suolo Berlino, Dresda, Amburcgo, etc. siano stati sbagliati. C’è tanto di inspiegabile in Germania. A partire dai campi di concentramento. Non erano addirittura costosi per le casse statali?
Stamani siamo stati a Dachau. Non sono rimasto colpito dal campo in sé. Purtroppo la nostra società ci ha abituati a non provare emozioni. Sono rimasto colpito, ma forse ci vorrebbe una parola più forte, dall’uso che ne veniva fatto. Posso lievemente comprendere, ma non lo giustificherò mai, l’uso iniziale : eliminare gli oppositori. È quanto meno, parzialmente, razionale. Ma non è razionale sterminare gli ebrei in quanto tali. È diseconomico, illogico, stupido e per di più malvagio.…
11 aprile 2014: stiamo partendo. Torniamo a Piombino. È stato come ho già detto il mio secondo viaggio in Germania e posso dire che la amo sempre di più. Ne sono affascinato dalla lingua e dalla storia. Tutto ordinato, tutto moderno, pulito, civile.
File di alberi in fiore costeggiano praticamente tutte le strade e anche la periferia è tirata a lucido.
Anche Dachau è situato in un posto bellissimo, circondato da torrenti, prati e boschi. È veramente un paesaggio bucolico. E tuttavia dentro questo parco, vicino a case, fattorie e chiesette, c’era quello che tutti conoscevano e nessuno vedeva o voleva vedere. Il lato oscuro della luna, il lato oscuro dell’uomo. Quel Mr Hyde che spesso, per fortuna non sempre, vince la razionalità e si impossessa di noi.
Eppure a Dachau non c’è niente di irrazionale apparentemente. Tutto, siamo in Germania, è ordinato, preciso, razionale. Meccanico. Malvagio. Malefico. Eppure, incredibilmente meditato, studiato, scrupolosamente realizzato. È una macchia enorme sulla candida veste della civile Germania. Una macchia indelebile che nulla può rimuovere. Si può nascondere, farne dimenticare l’esistenza, cucire sopra una toppa. E si può fare in due modi: negandone l’esistenza e cercando di allontanarne il ricordo. Penso che faccia così chi vive a Dachau, chi vive in questo paese. Spesso si sente dire ai tedeschi che Hitler era austriaco, come a volersi liberare di un’ombra oscura. Forse, però è l’unico modo per sopravvivere. Non condivido, ma lo capisco, almeno in parte. Quel che non capisco è come questi signori, questi “ uomini” che passavano tutto il giorno a meditare come eliminare la razza ebraica e a perpetrare la specie (come le bestie), amassero le scienze, la cultura e la musica. Ieri siamo stati al Deutsch museum; museo della scienza. Mi è tornata alla mente l’immagine di Dachau.
Dachau è stato prodotto dalla scienza, da una ragione irrazionale. Un’ombra nera sotto questo cielo azzurro che ci lasciamo alle spalle.
Abbiamo da poco passato Mantova, la città di Virgilio. Alla televisione dell’autobus abbiamo visto un documentario sul fascismo. Mia nonna mi ha dato il suo “Libro della V° elementare” e un po’ l’ho sfogliato ed ho rivisto tutte quelle pagine nella mia mente. Mi ha profondamente toccato. Un po’ perché quel periodo della storia, quell’inverno del mondo, mi interessa, un po’ perché durante la guerra, a causa della guerra, mio nonno perse il fratello e il padre. E quando per l’ennesima volta ho sentito le parole di Mussolini da quel famigerato balcone in piazza Venezia, mi sono quasi commosso. Non so perché, anche se provo profonda repulsione verso il fascismo, il Duce e il Re, ne sono affascinato. Non li sopporto, ma quando sento e vivo i discorsi di Mussolini, mi sento parte della folla: vuol dire che erano efficaci. La gente lo supportava e ne era ammaliata. A tutti piace far parte di un paese grande, importante nel mondo. Mussolini aveva colto questo desiderio e posto le basi per i rabbiosi discorsi di Hitler. Il problema è che la retorica sulla via della grandezza non basta. Bisogna anche trovarsi dei nemici e poi vincerli. Prima i “negri” poi le “plutocrazie occidentali”, poi gli ebrei, il nemico perfetto, il nemico in patria. Sul libro della V° classe ci sarà più o meno un paragrafo sugli ebrei. Non erano importanti. E sono inutili strozzini, assassini di Cristo. Ma erano il nemico perfetto. In questa lotta Hitler era l’alleato ideale. La guerra andava bene e nel ’40 Mussolini si unì al Fuhrer. Vincere! Ma perdemmo. Non solo la guerra ma tante vite. Ora siamo a Modena. Il viaggio è ancora lungo.….
Abbiamo cantato “Bella ciao”. I valori dell’anti – fascismo mi scaldano il cuore più di qualsiasi cosa. Mi ispirano libertà, pace, bellezza. Per fortuna che tanti uomini e donne si sono contrapposti ai regimi neri, hanno lottato contro il male, si sono sacrificati e hanno vinto, loro sì, la guerra.
A Berlino, sul muro, c’è una scritta “Molti piccoli uomini, che in molti piccoli luoghi, fanno molte piccole cose, possono cambiare la faccia del mondo” .
La semplicità di questi partigiani, di questi uomini semplici e puri non può che insegnarci. Ne dobbiamo fare tesoro. E stavolta davvero.…”Bella ciao, ciao, ciao.…..”
Claudia Ullo
8 aprile 2014: la sveglia suona.…è ora di svegliarsi, vestirsi e prendere l’autobus, sì quell’autobus che ci avrebbe portato in Germania. Durante il viaggio non sembrava di dover andare in quel posto, il posto della crudeltà, dove certi “uomini” erano considerati peggio delle bestie. Arrivati in Germania e più precisamente a Monaco, dopo 12 lunghissime ore, c’è la sistemazione in albergo, la solita confusione nella distribuzione delle camere; non conoscevo nessuno tranne Giulia che è diventata poi la mia compagna di stanza. Sistemazione in albergo, assegnazione delle camere, “primi lavaggi”.… e finalmente cena. Non saprei dire se “Finalmente!”: iniziamo la nostra cena con una zuppa, come secondo i classici wurstel tedeschi e arriviamo al dolce…e che dolce! Budino, definito da loro al cioccolato, con savoiardo.
9 aprile2014: sveglia presto, colazione e autobus diretti a Dachau: il posto dove migliaia di persone, uomini, donne, bambini, ebrei, omosessuali.….hanno perso la loro vita o hanno vissuto in modo indecente. Saliamo sull’autobus e durante il tragitto Monaco – Dachau, nonno Mauro ci ha fatto vedere un filmato in preparazione a ciò che saremmo andati a vedere. Il filmato è stato molto toccante, vedere i soldati aprire i cancelli del campo di concentramento e vedere come erano ridotte queste persone. Ridotte alla fame, malati.….
Scesi dall’autobus ci dirigiamo tutti verso l’ingresso del campo e qui ci è stata consegnata una audio – guida che poi ci avrebbe illustrato tutto il percorso.
Iniziamo la nostra “avventura”passando il cancello dove tutti i deportati passavano. Sul cancello c’era una scritta, quella scritta che ha ingannato migliaia e migliaia di persone (il lavoro vi renderà liberi). Passare da quel cancello mi ha per un momento catapultata nel passato e un brivido freddo mi ha attraversato tutto il corpo.…si entra. Devo essere sincera, credevo di avere una reazione diversa una volta entrata; non so, mi aspettavo qualcosa di diverso, forse perché le baracche dove i deportati dormivano erano state ristrutturate, ripulite. Mi hanno invece colpito alcune opere poste nelle sale di smistamento dentro al museo e all’esterno. Rendevano molto l’idea di ciò che erano la disperazione, la tristezza era stampata nel loro volto, quel volto distrutto e smagrito da amene persone che si definivano di razza pura, superiori a tutto e a tutti.
Alle 10.30 nella sala film del museo hanno proiettato un documentario, anche questo molto toccante. La cosa che in qualche modo mi ha dato un po’ più noia a livello emotivo è stata la visione dei forni crematori e della camera a gas. È orrendo pensare che persone, indistintamente uomini, donne, bambini, venivano bruciati come se nulla fosse, oppure introdotti nella camera a gas, non in questa presente a Dachau che non è mai stata usata, con la scusa della doccia. Quando sono entrata sembrava di sentire quell’odore nauseante di putrefazione e di “uomo bruciato”; so che era impossibile, ma la mia mente ormai era condizionata da ciò che stava vedendo. Passando da un posto all’altro mi sono resa conto dell’effettiva grandezza di quel maledetto campo, delimitato da muri decorati, se così possiamo dire, da filo spinato che sembravano racchiudere in un recinto tante bestie. Mentre camminavo immaginavo quelle persone costrette a lavorare ai comandi dei generali tedeschi, indipendentemente dal tempo, pensavo “noi abbiamo freddo, con i piumini, le sciarpe , stivali e loro?” beh loro lavoravano solo con dei pantaloni e delle giacche spesso nemmeno della loro taglia e degli zoccoli che con il freddo facevano venire le vesciche, ma guai a chi si lamentava per qualcosa, altrimenti botte, punizioni o nei peggiori dei casi, la morte.
Personalmente tutto questo mi ha fatto riflettere un sacco. Ho capito molte cose, come apprezzare tutto ciò che abbiamo, non avere pregiudizi sulle persone.
Queste sono esperienze che dovrebbero poter fare tutti, perché è solo grazie a questo e al sapere che l’uomo si forma, impara a convivere con le persone senza avere pregiudizi, impara ad apprezzare tutto ciò che lo circonda, impara a non odiare le persone solo perché hanno la pelle scura, o hanno un orientamento sessuale diverso. Sono queste le esperienze che rendono migliori gli uomini per far sì che tutto ciò che è accaduto nel passato non si ripeta mai più.
11 aprile 2014: il nostro viaggio sta volgendo alla conclusione, da una parte felici di ritornare a casa, dall’altra dispiaciuti di abbandonare il legame creato con alcuni compagni di viaggio; ma anche se finisce, il ricordo di tutto ciò che ho vissuto lo porterò sempre dentro di me come un prezioso bagaglio.
Martina Balocchi
8 aprile 2014: stanchezza e spossatezza sono sicuramente gli aggettivi che più mi rappresentano in questo momento. Infatti oggi è stata una giornata molto pesante con ben 12 ore di viaggio in autobus.(…) Adesso sono appena rientrata in hotel dopo aver cenato in un tipico ristorante convenzionato ed aver chiacchierato con altri ragazzi del liceo di scuola, professori e soprattutto del programma che ci è stato proposto per questo breve viaggio (.…) non vogliamo perdere nemmeno un istante di questa magnifica esperienza nella quale siamo stati coinvolti.
9 aprile 2014:
non trovo le parole per descrivere questa giornata, in particolare questa mattinata. Forse non ce ne sono perché è impossibile descrivere quello che ho visto al campo di lavoro di Dachau. Il museo, del quale ho avuto una ricchissima descrizione grazie all’audio – guida, è stato la conclusione di un percorso che mi ha visto impegnata dall’inizio dell’anno e che spero di poter proseguire per i prossimi due anni che passerò al liceo, chiamato “Storia e Memoria”. C’è sicuramente molta differenza tra l’immaginarsi questa dura realtà attraverso le foto, i video, i racconti, i film, e viverla. Il museo è strutturato molto bene in quanto conduce attraverso un percorso che segue quello degli internati e passa attraverso fotografie private, testimonianze, sala delle docce, stanze dove si trovano i letti, il campo esterno e tutto ciò che ad esso è correlato.
Camminare sui sassi dove sono state compiute terribili atrocità, toccare le pareti della camera a gas sapendo che migliaia di persone sono morte in strutture simili, persone innocenti, come noi, con la voglia di vivere e realizzare i propri desideri, ha suscitato in me forti emozioni: rabbia, odio, disprezzo, al punto che forse sono stata quasi “sollevata” dal fatto che le professoresse ci abbiano richiamato per andare via.…
11 aprile 2014: sono le 19.30 e sono appena rientrata a casa perché il viaggio è giunto al termine. Anche oggi, come il primo giorno, è stata una giornata molto lunga e pesante perché dopo aver fatto colazione in hotel, l’autobus si è messo in marcia: destinazione Venturina Terme – Piombino.
Inutile dire che il viaggio è stato formidabile, che il campo mi ha segnato molto e che la camera a gas mi ha fatto commuovere; se da un lato questa esperienza mi ha toccata, dall’altro mi ha fortificata. Vedere sempre le stesse immagini, gli stessi video, sentire sempre le stesse parole, le stesse musiche, finiscono per farti alzare un muro interiore: non di indifferenza, ma quasi come se il corpo e la mente volessero proteggersi e preservarsi da tanto strazio e da tante atrocità.
Irene Perillo
9 aprile 2014: la mattina del 9 aprile abbiamo iniziato il nostro viaggio con la visita del campo di concentramento di Dachau, il primo campo costruito in Germania, nel quale venivano mandati prevalentemente uomini. Ad ognuno veniva assegnato un triangolo di colore diverso per dividerli secondo la categoria al quale appartenevano, ad esempio il colore rosa veniva dato agli omosessuali, il nero ai barboni, asociali o pensionati. Il colore del triangolo rappresentava la colpa del singolo uomo se si può definire colpa. Gli ebrei erano contrassegnati con la stella di David, gialla. Entrati nel campo venivano spogliati di tutto ciò che possedevano e rivestiti come sappiamo bene con una divisa a righe e un paio di zoccoli con i quali avrebbero dovuto svolgere il lavoro, in qualsiasi stagione, estate e inverno.
Nel campo di Dachau era stata costruita una camera a gas, ma si ritiene che non sia mai stata usata e che quindi gli ebrei venissero mandati in campi di lavoro vicini.
Dachau era specializzato negli esperimenti medici: i prigionieri venivano torturati con queste pratiche e la maggior parte moriva distrutto dal dolore.
Arbeit macht frei ‚“il lavoro rende liberi” : è ciò che i prigionieri trovavano scritto all’entrata del campo. Venivano illusi per poi essere straziati fino alla morte. All’interno del museo del campo abbiamo trovato la storia di alcuni deportati, abbiamo visto anche i bagni e le docce che potevano essere usati solamente in certi momenti della giornata e in tempi molto brevi: chi non rispettava i tempi poteva subire punizioni terribili.
Solo chi ha vissuto tutto ciò può sapere cosa si prova a passare parte della vita in quelle condizioni. Credo che certe sensazioni si possano provare solo in determinate occasioni e luoghi: il campo di Dachau è uno di questi. Il cuore è stretto e la mente prova ad elaborare ciò che è stato appena visto e non riesce a dare un senso a tutto ciò.
11 aprile 2014: tutto pronto per la partenza. …) Si prospetta un viaggio lungo e stancante, ma sapremo sicuramente come distrarci. Siamo a Modena, Mauro propone una foto di gruppo e tra i fotografi si intrufola anche un cinese.…Mauro ci delizia intonando “Bella ciao”che poi cantiamo tutti insieme.
Siamo stanchi ma soddisfatti della bella esperienza…
Anita Romano
Per quanto le foto e i video siano precisi non rendono giustizia al campo di concentramento di Dachau. I luoghi creano emozioni molto più forti. Sono in grado di riportarti indietro nel tempo, come se tu fossi stata lì, insieme a quelle migliaia di persone.
Camminare sullo stesso sentiero, stare nelle loro stesse camere e vedere, in parte, ciò che quelle persone scorgevano ogni mattina, mi ha stretto lo stomaco in una morsa. Le immagini nei cartelloni esplicativi scorrevano davanti a me come se vedessi tutte le storie di quelle persone. È come se vedessi il loro viso. Ma vedere tante comitive scolastiche e tante persone in visita al campo mi hanno riempito il cuore.
È bello vedere come tante persone cerchino di conoscere ciò che è successo. È importante il ricordo perché solo grazie ad esso possiamo non commettere lo stesso sbaglio due volte.
Grazie a questa visita sento che sarò una cittadina più responsabile, ma soprattutto sarò un essere umano responsabile nei confronti di tutte le persone che incontrerò.
Arianna Ridi
Sono qui, seduta all’interno del museo, per scrivere e rielaborare delle sensazioni ed emozioni che sto provando attraversando ogni piccola stanza di questo edificio. Non pensavo potessero essere emozioni così forti, non pensavo di commuovermi nel vedere gli abiti e le scarpe… credevo di essere preparata a tutto ed invece le emozioni sono affiorate come se questo posto, in qualche modo riuscisse ancora a parlare, ad essere un giudice e un testimone muto, dell’orrore che successe non troppo tempo fa. Entrare qua dentro, è come sentirsi una mosca in un barattolo: non può uscire per quanto provi con tutte le sue forze a scappare.
Nonna mi ha raccontato così tante volte di questo campo, che pensavo di avere la sua immagine impressa nella mente. Entrambi i fratelli della mia nonna sono stati qui, dove adesso sono io, hanno calpestato questa ghiaia, hanno respirato questa stessa aria e guardato come me verso il cielo, sono sicura che lo hanno fatto perché puntare lo sguardo verso qualcosa di infinito, penso che aiuti a liberare un po’ l’anima, a sentirsi meno soli e sicuramente a guardare al futuro, con un minimo di speranza, per quanto minima ed effimera possa essere. Beh sì fa male, fa male sapere che un tuo parente è stato spogliato, rasato e denutrito come altre milioni di persone che sembrano così lontane eppure sono così vicine.
11 aprile 201: inutile scrivere dello shopping, del mondo Bmw, delle cene che hanno lasciato alquanto a desiderare, ma questo è normale. Lasciando perdere queste cavolate, inizio a scrivere davvero. Sono felicissima di aver potuto fare questa esperienza. Erano 10 anni che volevo andare a vedere un campo di concentramento, per fare questa magnifica esperienza. I libri, le foto, i video, i racconti non bastano per ricordare, non sono sufficienti per riuscire a capire l’orrore e le atrocità che quei pazzi tedeschi, italiani…hanno fatto. Non riesco a capacitarmi di come un uomo possa odiare così’ tanto altri uomini, non riesco a capire come sia possibile esercitare una tale violenza su qualsiasi essere vivente. Non so con quali occhi riuscivano a guardare quelle larve, deboli, fragili senza più alcun tratto umano. Mi chiedo come sia possibile portare una donna anziana in una camera a gas, senza provare alcun tipo di sentimento di pietà, amore o solidarietà. Ringrazio tutti per questo bellissimo percorso, ringrazio tutti perché Monaco e questa esperienza resteranno sempre impresse nella mia memoria, per non dimenticare mai cosa è successo, per essere anch’io testimone e portavoce di questo orrore.
Anche il documentario che Mauro ci ha fatto vedere, era secondo me un riassunto, perfetto e indiscutibile, per racchiudere al meglio questi quattro giorni. Era anche un modo per capire che non c’erano solo gli ebrei, gli zingari, i disabili etc. ma anche persone normalissime che per una serie di motivi si sono trovate a lottare nei campi di concentramento per un pezzo di pane. Altra cosa interessante del documentario è che ha sottolineato come all’interno dei campi non ci fosse solo l’egoismo e la sopraffazione, come se volesse evidenziare che l’odio dei nazisti o fascisti non è riuscito a distruggere gli esseri umani intesi come persone che amano, che sono stati capaci di rinunciare ad un pezzo di pane per aiutare un loro simile o di portare in spalla chi stava male per salvarlo dalla morte e da altra violenza.
Mi ha commossa la scena in cui la bambina dà la caramella al protagonista. Mi ha commossa perché questo significa che i bambini, nella loro purezza e semplicità, non vedono differenze tra ebrei, rom, neri, perché vedono soltanto un essere umano, come loro, che sta soffrendo. Questo filmato penso che abbia lanciato messaggi importanti e fondamentali, che dobbiamo custodire gelosamente, per riflettere e capire, anche qualcosa in più di noi stessi. Ringrazio ancora tutti per avermi permesso di realizzare un piccolo grande sogno!
Spero che sia stata un’esperienza positiva anche per i miei compagni di viaggio.
Arianna Righini
“Il lavoro rende liberi”: abbiamo appena varcato il cancello d’entrata del campo di concentramento di Dachau. Mi guardo intorno, sento soltanto molto freddo, polvere e ricordi lontani di ombre nascoste.
Per prima cosa, ritengo di dovermi scusare con tutti voi, sì con tutti voi che da schiavi avete pianto l’inverno più lungo della vostra vita. Mi scuso poi per non poter capire il dolore, la vita, le percosse e l’amaro sapore del campo. Sono qui a chiedermi il motivo di “tutto questo”: persone come bestie, come scarafaggi dei quali non rimane che un respiro. Mi sto muovendo, e facendolo calpesto la stessa terra che ha sopportato il peso dei vostri spasmi: siete come la nebbia, la forza con cui dirompete nella mia mente, è tale da ubriacarmi di tristezza.
Ho visto i vostri nomi, le vostre cose, i vostri volti stanchi e la forte speranza che vi ha reso degli eroi: tutto mi rende così vulnerabile e incredula. Sfidando ora dopo ora la paura e rinunciando alla vostra pace vi siete affidati a quei non – uomini con grande coraggio. Per un istante ho immaginato di vedervi tutti salutarmi immobili e sereni di fronte a me, di una serenità pura e umana, e mi sono sentita felice. Così belli, vivi e liberi, tenevate stretta tutta la gioia del mondo: in quell’istante ho compreso la potenza del ricordo.
E per concludere questa mia piccola riflessione decido di salutare i bambini: bambini soli, senza favole della notte, privi del diritto al pianto e ignari dello strano gioco entro il quale si trovavano.
Ora chiedo a voi “Pensatela, pensate ad una storia ed io in questo normalissimo momento di vita, ve la racconterò…fin quando vorrete, fin quando non dormirete miei piccoli martiri.”.
11 aprile 2014: riflessione isolata durante il mio ritorno, penso “uccidere”, la forza del male. Loro lo hanno visto fare come poveri animali. Temo che di fronte a questo, per rendersi conto, non serva per forza sapere, l’empatia diviene comune e normale tra tutti e la triste storia affiora come veleno.
Loro non se ne sono mai andati, loro, me ne rendo conto più che mai.
Ma io credo che ci sia un posto lassù, per voi, veri uomini in cui vivere è dolce e non esiste più “soffrire”.
Denise Minelli
9 aprile 2014: ci svegliamo presto per andare a visitare il campo di concentramento di Dachau.
Prima di entrare mi è sembrato tutto molto allegro per i molti fiori e le molte piante colorate che percorrono il viale che porta al cancello d’entrata. Appena visto quel famoso cancello però l’atmosfera è cambiata, quando l’ho oltrepassato il pensiero è andata a quelle migliaia di persone che prima di me avevano fatto la medesima cosa, ma la loro storia era proseguita in modo totalmente diverso.
Varcata la soglia d’entrata, un grande spiazzo praticamente privo di ogni cosa e circondato da baracche trasmette, almeno a me , un senso di desolazione e tristezza, è stato come se già vedendo la struttura del campo si riuscisse a percepire la sofferenza e la disperazione che dovevano aver pervaso il campo in tempo di guerra.
Sulla destra troviamo un “museo” che ha lo scopo di dare informazioni base necessarie per la visita del campo.
Usciti da questa mostra mi sono avviata verso i dormitori che si trovano dalla parte sinistra del campo. Sinceramente il fatto che questi siano stati sistemati e ristrutturati, anche se per necessità, ha levato un po’ di atmosfera cupa. Naturalmente non per questo si poteva rimanere indifferenti davanti ad una simile visione, perché quei letti tutti attaccati, seppur sistemati, davano comunque l’idea di come poteva essere la situazione.
Ciò che mi ha colpito maggiormente nel campo sono stati i forni crematori. Entrando nella sezione apposita, dedicata ai forni, fa rabbrividire pensare all’organizzazione tedesca che aveva creato ogni stanza per uno scopo preciso. Vi era infatti la stanza dove i deportati erano costretti ad attendere quella che dal loro punto di vista doveva essere una doccia. Dopo essersi spogliati dei loro vestiti i deportati avanzavano e arrivavano in una stanza dall’aspetto buio e cupo che sul soffitto ha dei buchi dai quali doveva uscire il gas e delle nappe dalle quali si doveva pensare che uscisse acqua.
Ciò che mi ha colpito del campo è stato anche il freddo, pungente anche se era già aprile.
Mi è sorta spontaneamente una domanda: “Come facevano questi poveri uomini condannati a lavorare a convivere con un freddo lacerante privi di ogni cosa”.
In generale penso che vedere un campo di concentramento sia stata un’esperienza importante, perché aiuta a comprendere meglio cosa sia stato l’olocausto e a capire di più di che cosa stiamo parlando quando usiamo questo termine.