Se anche l’Italian Food dovesse traslocare…
PIOMBINO 8 settembre 2018 – Il comprensorio non se lo può permettere ma il rischio di perdere un altro pezzo di storia e diversi posti di lavoro è tutt’altro che trascurabile. Lo stabilimento dell’Italian Food di Venturina, storica fabbrica per la trasformazione del pomodoro, potrebbe essere costretto a emigrare in Emilia Romagna.
Le intenzioni della proprietà, il gruppo napoletano Petti, sono tutt’altro che orientate verso l’abbandono dell’impianto di via Cerrini ma le contingenze potrebbero spingere verso il trasferimento in zone dove sia possibile operare con maggiori certezze e quindi con maggiore redditività. Laddove si pensi che, da almeno due anni, l’attività di Venturina è in un forte perdita. I motivi si legano soprattutto alle difficili condizioni meteo degli ultimi anni ma il problema è anche strutturale.
È senza dubbio vero che il 2017 è stato un anno caratterizzato da periodi di siccità che hanno messo in ginocchio le produzioni nelle province di Livorno e Grosseto dalle quali Italian Food ottiene la gran parte delle proprie materie prime. Di fronte ad un’emergenza, che è stata solo occasionalmente tamponata, la coltivazione del pomodoro per l’industria ha subito rilevanti flessioni. Molti agricoltori, scottati dalle ingenti perdite, hanno preferito altre semine.
Il 2018 invece è stato caratterizzato da periodi di precipitazioni abbondanti che hanno rallentato le lavorazioni e ostacolato quindi i processi operativi nell’industria di trasformazione.
Per il secondo anno consecutivo i produttori si sono quindi trovati ad un bivio e molti hanno scelto la rinuncia alla coltivazione del pomodoro.
Una situazione descritta come “disperante” da Pietro Terzuoli, al vertice di Asport, la società dei produttori.
Tanto per capire quest’anno gli impianti di Venturina sono stati sfruttati solo al 30–40 per cento della loro capacità operativa e peraltro con il ricorrente e pesante rimedio dell’acquisto della materia prima in province lontane. Una scelta forzata che Petti avrebbe voluto evitare non solo per l’inevitabile incremento dei costi di produzione ma anche per l’evidente rinuncia alla scelta politica che ultimamente ha puntato a creare un brand sulla filiera del pomodoro toscano.
A Venturina, per favorire le produzioni e per privilegiare il conferimento nello stabilimento di via Cerrini, si è arrivati a acquistare la materia prima a cento euro a tonnellata contro gli 80 pagati dalle industrie del nord e gli 87 da quelle del sud.
Non sfugge come diverse siano quindi le condizioni di partenza per aziende italiane che alla fine devono battere gli stessi mercati. Non è raro che la Petti, terzo produttore nazionale, incontri quindi difficoltà di collocamento delle proprie merci.
Lo stabilimento di Venturina, che ha una storia e una tradizione consolidate, dà oggi lavoro a 2000 occupati tra i dipendenti fissi, gli stagionali e un enorme indotto.
In un comprensorio, attraversato da una crisi come di uguali nel dopoguerra non si ricordano, sono infiniti i motivi per cui non si possa perdere una delle più importanti risorse nel settore dell’agricoltura. Nessuno osa sostenere una tesi contraria ma va onestamente rilevato che finora i rimedi sono stati pochi e scarsamente efficienti.
Nella saletta comunale di Venturina le difficoltà del momento sono state ripercorse in un incontro a cui hanno partecipato le istituzioni con l’assessore regionale all’agricoltura Marco Remaschi e il sindaco di Campiglia Rossana Soffritti, l’Italian Food con il responsabile dello stabilimento di Venturina, Pasquale Petti, le rappresentanze delle associazioni di categoria degli agricoltori e delle varie componenti del mondo agricolo.
In questo contesto l’azienda di trasformazione ha chiesto un patto, una sorta di contratto, valido due-tre anni, con la garanzia di prezzi fissi per la materia prima, di superfici, qualità e quantità delle coltivazioni, di clausole premiali per i migliori produttori e penalizzazioni per chi non rispetta i patti.
Pasquale Petti si è dimostrato aperto alla collaborazione, ma non ha lesinato pesanti critiche soprattutto alla Regione (“Non abbiamo mai chiesto e neanche ottenuto un soldo, il governatore Enrico Rossi non ha mai visitato lo stabilimento…” “Chiediamo solo di essere messi nelle condizioni di lavorare con dati certi”).
Per inciso è da anni sul tappeto il trasferimento degli impianti di via Cerrini nella zona industriale di Campo alla Croce. Ufficialmente Petti è d’accordo a fare la propria parte ma grossi sostegni non gli sono certo arrivati. Fatto è che il progetto non ha mai preso corpo nonostante le grosse difficoltà dell’industria ed i disagi della popolazione per un’attività portata avanti in pieno centro urbano.
L’assessore Remaschi ha ascoltato e ha denunciato che mai la Regione ha visto la partecipazione ai diversi Piani integrati di filiera di realtà della Val di Cornia impegnate nella lavorazione del pomodoro. Un’assenza dalla quale, per l’assessore, scaturisce il dubbio circa la reale volontà dei produttori. Ne è venuto fuori l’impegno della Regione per un tavolo di discussione in cui, a breve, ognuno possa esternare intenzioni e portare proposte. Una sorte di verifica e di preambolo per giungere ad un patto, ovvero ad un accordo di programma o un protocollo di intesa, qualcosa, cioè, che leghi le diverse componenti su un progetto comune.
Non sfugge che su un programma del genere pesa fortemente il periodo di campagna elettorale che incombe in vista della amministrative della prossima primavera. Il rinnovo dei consessi istituzionale vive di incertezze. Per essere chiari, gli interlocutori di oggi potrebbero addirittura non essere quelli di domani.
Maggiori garanzie sono invece giunte riguardo alla soluzione del problema idrico. Sia il sindaco Soffritti, sia il responsabile del servizio ambiente di Asa, Barbara La Comba, hanno illustrato progetti d’avanguardia, già in gran parte finanziati, che dovrebbero definitivamente risolvere il problema dell’emergenza idrica anche in presenza di condizioni meteo avverse.