Se scompare il confine tra legale e illegale
PIOMBINO 14 giugno 2015 ‑La presenza di stranieri legali non è un’emergenza. È una presenza consolidata, costante e crescente. La presenza di stranieri arrivati fuggendo e chiedendo asilo politico dopo i soccorsi prestati dalle navi militari è un’emergenza.
Nel primo caso, uscendo dalla discussione spesso retorica se sono un’opportunità o un problema, emergono, come ineludibili, questioni come i doveri che devono essere richiesti da un lato ed i diritti che parimente devono essere soddisfatti. Le istituzioni pubbliche in primo luogo non possono sfuggire dal pretendere il rispetto dei valori e delle norme esistenti qui in questo Paese e dal creare le condizioni perché ciò si verifichi. Pretendere la parità di dignità di tutti, uomini o donne o bambini, come elemento culturale fondante valido per tutti, esigere e organizzare la conoscenza della lingua, domandare la garanzia del rispetto delle modalità di accesso ai servizi sono compiti talvolta esaltanti talaltra dolorosi dai quali le istituzioni pubbliche non possono sottrarsi. E poiché il fenomeno sarà permanente la strutturazione di risposte stabili nel tempo è una condicio sine qua non. Se questo implica una rivisitazione delle priorità e delle modalità dell’intervento pubblico questo sia. Se questo implica la persecuzione di comportamenti lesivi della libertà e della dignità delle persone, anche tra gli stessi stranieri, questo sia.
Nel secondo caso, a prescindere dalle modalità con le quali si affrontano questi flussi continui di innocenti, o presunti tali, (quelli che fuggono) in mano a criminali (quelli che organizzano i viaggi) che non sono certo idonee per arrestarli ed affrontare il problema là dove si origina, non è pensabile che di fronte ad un’emergenza si usino strumenti che in realtà hanno il sapore della stabilità. Richiedere asilo politico è un diritto, rispondere positivamente o negativamente in tempi rapidi e per questo collaborare è un dovere senza il quale quel diritto di trasforma in qualcosa d’altro. Se occorrono mesi e mesi per arrivare ad una decisione di accettazione o di ripulsa e durante questi mesi si continua a garantire accoglienza esigendo ben poco, se ai decreti di espulsione non segue l’espulsione vera e gli espulsi continuano a vivere nel Paese che li ha espulsi, magari usufruendo di servizi pubblici, se il confine tra legale e illegale si scolora tanto da scomparire, si può anche parlare di rispetto sacrosanto del diritto d’asilo ma in realtà si rompe quell’equlibrio tra diritti e doveri su cui tutto si regge. Spesso succede proprio questo.
La conseguenza è che nascono o possono nascere contraddizioni tra residenti e stranieri, tra stranieri e stranieri e così le basi fondamentali della convivenza sociale si incrinano e cresce l’insicurezza in una società che di insicurezza ne ha già troppa.
Ecco, questo potrebbe essere l’inizio ed il fine di una discussione politica e di un agire operativo delle istituzioni: mettere al centro l’esigenza di diminuire il tasso di insicurezza delle persone tutelando l’equilibrio tra diritti e doveri nel rispetto dell’uguaglianza dei cittadini.
E invece finora non si può non prendere atto che le note prevalenti vanno nel senso opposto, accentuando così le contraddizioni.
E spesso quelle note sono suonate da rappresentanti delle istituzioni il cui comportamento dovrebbe essere improntato all’equilibrio. Già abbassare i toni sarebbe un bel passo in avanti. E poi assumersi le responsabilità senza individuare sempre in qualcun’altro il colpevole: una volta l’Europa insensibile (senza chiedersi il motivo, ammesso che sia così), un’altra tutti coloro che osano esprimere un’opinione che magari non si condivide.
Per la verità talvolta non è suonata nemmeno nessuna nota.