Si continua a parlare di piani da mille e una notte
PIOMBINO 26 febbraio 2018 — Ci risiamo! Era il novembre 2017 quando Issad Rebrab tirò fuori il jolly vincente, ovvero quella Sinosteel, made in China, che, oltre a rimettere in marcia il ciclo siderurgico integrale passando da 2,1 a ben 3 milioni di tonnnellate all’anno di acciaio, avrebbe realizzato anche un quarto laminatoio per piani. Naturalmente sempre con i soliti 400 milioni di euro che, ogni volta ormai da tempo come i mitici carri armati di Mussolini, vengono spostati ove se ne presenta la necessità.
Tre mesi dopo va dato atto, si fa per dire, a Rebrab, una volta tanto, di aver usato grande lungimiranza perché sulla Repubblica del 23 febbraio a pagina 26 è stato riproposto, questa volta attribuendolo a Sajjan Jindal, tutto il piano Sinosteel, sia pur senza i 3 milioni di tonnellate di acciaio che, invece, sono rimasti 2,1 milioni come massima capacità di progetto.
Peccato davvero, ci avevamo sperato….
A questo punto, andando sugli aspetti seri della questione, proviamo, come già fatto con l’ipotesi di Sinosteel di tre mesi fa, a ricondurre la vicenda in termini di ragionevole correttezza tecnica, spiegando nuovamente cosa significhi “riaccendere l’altoforno”, che poi vuol dire far rivivere lo stabilimento a partire dal pontile marittimo fino all’acciaieria, riattivando il ciclo integrale originale con la sola esclusione della cokeria. Proviamo inoltre a dare un’idea di ciò che sta dietro alla promessa di realizzare un laminatoio per piani.
Intanto è sufficiente elencare ciò che deve essere realizzato:
- ristrutturazione e rinforzo del pontile, gravemente indebolito nelle colonne portanti che poggiano sul fondo del mare,
- potenziamento del parco gru marittime da adibire allo scarico delle materie prime,
- realizzazione di nuovi nastri di trasporto delle materie prime dal pontile di attracco delle navi fino alle aree di stoccaggio (non potranno essere nastri aperti come quelli conosciuti ma dovranno essere chiusi e tecnologici, onde evitare perdite di polveri e materiali in area portuale),
- realizzazione di carbonili e parchi di materie prime interamente coperti ovvero posti all’interno di capannoni, dotati di macchine di scarico dei materiali e di ripresa degli stessi,
- costruzione nuovi nastri di trasporto per materie prime e coke dai suddetti parchi fino agli impianti di preparazione in area altoforno (AFO 4),
- rifacimento dell’altoforno nella sua struttura principale (tino raffreddato e rivestimenti refrattari), manutenzione straordinaria di tutti i componenti recuperabili, ripristino cowpers, nastri, stock house ecc….
- rifacimento delle linee elettriche che sembra siano state smantellate (decisione incredibile) per recuperare rame,
- aquisto dei componenti mancanti non più a magazzino o venduti e delle necessarie scorte strategiche.
Come se non bastasse occorre aggiungere anche il rifacimento dell’acciaieria nelle parti principali:
- nuovo parco rottame in area diversa da quella precedente perché adiacente a “ Città Futura”,
- convertitori (tino di acciaio e rivestimenti refrattari),
- colata continua 3,
- colata continua 4,
- linee elettriche dalla cabina principale agli impianti ( vale quanto detto per l’AFO).
Ed ancora occorre prevedere la manutenzione straordinaria dell’acciaieria nelle parti principali:
- cappe di aspirazione sui convertitori comprese le caldaie a recupero,
- linee recupero vapore e accumulo,
- linee recupero gas CO e accumulo ( gasometro),
- linee di aspirazione fumi secondari e filtri a maniche,
- linee di trasporto ferroleghe e additivi e sistemi di accumulo,
- colata continua 2,
- tutti gli impianti di metallurgia ( LF – VD),
- reti fluidi e gas di ogni tipologia a partire dalla esistente fabbrica dell’ossigeno ubicata in viale Unità d’Italia.
Nello stesso articolo di Repubblica si afferma che le linee guida del piano Jindal prevedono anche un quarto laminatoio per prodotti piani.
Per capire cosa significhi tutto questo basta guardarsi intorno e andare a vedere l’impianto per laminati piani di quell’imprenditore di indubbio rispetto che è Arvedi che ha sviluppato una tecnologia, l’unica che può generare margini di guadagno, che gli consente di produrre laminati piani in coils da acciaio liquido.
Si può apprendere che produrre coils/laminati piani da acciaio liquido vuol dire avere in linea un forno elettrico per la fusione del rottame, un impianto di metallurgia in siviera per l’affinamento metallurgco (LF), una colata continua per piani (tipo la colata continua a bramme esistente ed in parte recuperabile) ed un laminatoio finale.
In poche parole, se si aggiungono gli indispensabili capannoni, macchinari, carriponte e servizi, ecco miracolosamente configurarsi all’orizzonte una acciaieria elettrica completa con annesso laminatoio.
Solo questo, ma si fa per dire, ha un costo pazzesco, ben oltre i 400 milioni ipotizzati dalle lineee guida del progetto di Jindal.
Giunti a questo punto pare di tutta evidenza che siamo di fronte ad un vero e proprio “gioco al massacro” e questo è oltremodo inaccettabile.
Gridare “basta Rebrab” è più che giusto ma ora non più sufficiente.
Sembra di assistere ad una recita nella quale i protagonisti si muovono senza senso delle regole, ipotizzando scenari fuori dalla minima ragionevolezza tecnica.
Da apprezzare invece, in questo marasma, le parole del ministro Carlo Calenda che, intervistato a Piombino (ma l’ha ripetuto quasi gridando anche partecipando come ospite ad un convegno elettorale del Partito Democratico), ha preso le distanze da ogni facile ottimismo, riservandosi di trarre conclusioni solo dopo un’analisi seria e approfondita, ciò che non fu fatto con il piano industriale di Rebrab, di un vero piano industriale e precisando che, al momento, anche nell’ipotesi che il preliminare d’intesa tra Rebrab e Jindal venisse firmato, non esiste motivo per festeggiare assolutamente niente.
E dunque calma e gesso anche se i tempi passati e ciò che colpevolmente è successo obbligano a tempi futuri brevi.
Almeno dal punto di vista della consapevolezza di ciò che si vuole fare.
*Leonardo Mezzacapo è stato il responsabile dell’ufficio tecnico della Lucchini