Gambini: “Ricerco ed intanto creo una startup”
PIOMBINO 15 novembre 2013 — Nato a Piombino nel 1980, Simone Gambini, dopo la laurea specialistica in Ingegneria Elettronica all’Università di Pisa e alla Scuola Superiore S.Anna nel 2004, si è trasferito negli Stati Uniti per conseguire il dottorato presso l’Università della California a Berkeley. Nei successivi cinque anni si e’ dedicato alla progettazioni di componenti e sistemi elettronici a basso consumo sotto la guida del Prof. Jan Rabaey ed ha concluso i suoi studi nel 2009 con una tesi sulla progettazione di un sistema di radiotrasmissione a brevissima distanza, una sorta di versione a bassissimo consumo del sistema Bluetooth che si trova in ogni smartphone. Per non rinchiudersi nella “torre d’avorio” dell’ università, in questo periodo ha anche lavorato per Intel, Philips ed alcune startup.
Nel 2010 ha lavorato come progettista per una startup chiamata Telegent Systems, dove ha contribuito allo sviluppo di un ricevitore televisivo miniaturizzato per smartphone. Dal 2011 però, per assecondare il suo desiderio di indipendenza intellettuale e per approfondire le sue conoscenze nei sistemi bioelettronici, è tornato in ambito accademico, prima di nuovo a Berkeley come professore part-time e ricercatore nel 2011 e dalla fine del 2012 come lecturer all’ Università di Melbourne in Australia, dove al momento guida un gruppo di quattro studenti di dottorato e insegna nel corso di laurea in elettronica. Oltre alla sua attività accademica nel 2012 ha cofondato Cortera Neurotechnologies (http://www.corteraneurotech.com/website/Cortera/The_Team.html), una startup che sviluppa sistemi elettronici per la misura cronica dell’attività celebrale.
Ma non solo.
Come molti lettori hanno potuto vedere in Star Trek , l’equipaggio dell’Enterprise ha in dotazione una serie di scanner in grado di determinare lo stato di salute di un individuo e di scoprire quali batteri o virus lo mettano in pericolo. Gli scanner sono semplicemente passati sopra il paziente e indicano la risposta sul loro schermo. Dispositivi di questo tipo non sono dietro l’angolo, ma sono certo molto meno futuristici di quanto si possa pensare. Molti ricercatori, incluso il piombinese Simone Gambini, stanno sviluppando tecnologie che permettono di misurare lo stato di salute di un individuo in modo continuativo e non-invasivo. Questi dispositivi potrebbero essere introdotti nel sangue, tramite un’iniezione, in tessuti profondi con una piccola operazione o nella pelle tramite un tatuaggio, per poi fornire per anni misurazioni costanti di pressione arteriosa, livello di glucosio nel sangue e molto altro senza bisogno che il paziente si rechi in ospedale.
Perché questi dispositivi non esistono ancora? Le specie chimiche contenute in una batteria non possono entrare in circolazione nel sangue e gran parte del costo dei dispositivi bioelettronici di oggi (Pacemaker etc.) è legato all’incapsulamento. Inoltre una batteria ha una durata limitata e la sostituzione di una batteria impiantata solitamente richiede un’operazione chirurgica. Per questo i dispositivi del futuro funzioneranno convertendo in elettricità, energia già presente nelle loro immediate vicinanze, in altre forme. Purtroppo (o per fortuna) questa sorgente di energia riesce a fornire meno di un milionesimo della potenza consumata da uno smartphone e per questo la sfida chiave per rendere questa tecnologia alla portata di tutti è la riduzione del consumo di potenza dei componenti elettronici.
Insomma, ricerca, innovazione, impresa e competenza, una filiera troppo detta e poco praticata, ma quando lo è i risultati si vedono.