Sindacati e istituzioni ufficio stampa dell’azienda
PIOMBINO 7 marzo 2019 — Ripartono TPP, TVE e TMP. Rientrano alcune centinaia di dipendenti: sembrerebbe una novità positiva. Alcune domande sono tuttavia ineludibili. Si parla di 1000 persone al lavoro: quanto a lungo lavoreranno? E per quanti giorni ciascuno di essi sarà effettivamente in fabbrica? Il 19 febbraio al MiSE l’azienda ha confermato la riduzione del monte ore di lavoro: come si concilia questa scelta con la continuità del lavoro e della produzione? La continuità produttiva dello stabilimento è una questione decisiva per il futuro, rispetto alla clientela da riconquistare.
Si verificano inoltre fatti totalmente negativi:
- a fronte di centinaia di cassintegrati, si effettuano straordinari e seste giornate,
- acqua fredda negli spogliatoi,
- pochi lavoratori in affiancamento, ai quali non viene rimborsato il costo dei trasporti e dei pasti,
- si sperimenta l’acciaio al piombo, nocivo per la salute e inutile per rilanciare lo stabilimento,
- scende il silenzio sul ritrovamento, da parte di Arpat, di amianto pure presso i pulpiti dei manovratori al TMP,
- non ci sono certezze sul prolungamento della Cig oltre ottobre-novembre 2019.
Soprattutto gli investimenti non si vedono.
La stessa ripartenza dei treni di laminazione in contemporanea non sarà una mossa per far lievitare temporaneamente il consumo energetico e ottenere così sconti dal Governo? Bisogna considerare infatti che, mentre il TPP forse regge sul mercato, TMP e TVE rischiano di laminare in buona parte per il magazzino, fuori dalla moderna logica industriale e commerciale.
Al MiSE, la giusta richiesta sindacale di anticipare l’installazione del primo forno elettrico è caduta nel vuoto: al contrario, l’azienda ribadisce che lo studio di fattibilità non si concluderà prima della fine del 2019. Inoltre, Aferpi-JSW annunciò al MiSE 30 milioni di investimenti per il “fungo duro” del TPP, indispensabile per produrre le rotaie per l’Alta velocità, ma la decisione finale è riservata alla direzione centrale e non arriva. Intanto, non si sono visti neppure i 18,7 milioni per il revamping dei treni di laminazione, annunciati a suo tempo.
Se è vero che Jindal non è Rebrab, è anche vero che accordo di programma e intese sindacali non gli pongono vincoli credibili per costringerlo a mantenere le promesse. E intanto ha ottenuto le concessioni sul porto. Senza investimenti sui forni elettrici e sul resto, per tornare finalmente a colare acciaio, lo stabilimento di Piombino rischia ancora una volta di morire. La soluzione non può essere quella di importare semilavorati magari dall’Oman, a costi che portano fuori mercato i prodotti Aferpi, come sta invece avvenendo attualmente.
Sindacati (e istituzioni) devono smettere di funzionare come ufficio stampa dell’azienda. Per non rischiare Rebrab-Bis, Hanno il dovere di vigilare, in stretto rapporto con Rsu, lavoratori e cittadinanza, indispensabile anche per rompere il preoccupante silenzio che è tornato a scendere sulla vicenda.
Coordinamento Art.1‑Camping CIG
(Foto di Pino Bertelli)
Tutte cose vere. Ma i sindacati non le vedono queste realtà? O pensano ancora che siete gufi?