Sorella Costa Concordia, fratelli giornalisti
PIOMBINO 12 ottobre 2013 - Non poteva essere diversamente: l’argomento Costa Concordia ha tenuto e sta tenendo banco sulle cronache da mesi ormai. Ogni reporter, durante la sua vita professionale, è chiamato a trattare gli argomenti più strani e le situazioni meno immaginabili ma molto, molto raramente però è chiamato ad occuparsi di un avvenimento come quello della nave naufragata al Giglio. Anzi alla maggior parte dei giornalisti non capita affatto in una intera carriera. Va da sé che situazioni come quella della Concordia generino nell’opinione pubblica attese e richieste che mettono a dura prova la professionalità di un cronista il quale peraltro lavora in un regime di assoluta e totale concorrenza con colleghi di testate italiane e straniere.
Con questa premessa, la domanda si trasforma nella richiesta di un giudizio sulla qualità: “Completa, sufficiente, coerente, vera?”. La risposta, come sempre in casi del genere, può solo rispettare una valutazione generale prescindendo da casi di elevata professionalità che ci sono stati e anche da ben più numerose occasioni nelle quali il livello non è stato certo eccelso. Una media quindi che valuta il complesso delle situazioni e che non prescinde dalla considerazione che, in casi come quello della Concordia, si lavora nel “branco”, ovvero ci si disperde in mezzo a tanti colleghi i quali inevitabilmente producono pensieri e valutazioni comuni. E, nella stragrande maggioranza, sono proprio queste le indicazioni che finiscono in pagina, un modo per non rischiare il “buco” e, senza pretendere lo scoop, per mantenersi comunque a galla.
Ma non è questo che nella circostanza ha colpito se non altro perché atteggiamenti del genere sono ricorrenti in ogni grande avvenimento necessariamente “coperto” da un numero elevato di redattori e di inviati. Tanto elevato che parlare di completezza, nel senso di quantità dei notiziari, è perfino superfluo.
Il lettore è stato invaso dai titoli ed anzi spesso, nella giusta convinzione che l’argomento tirasse, i direttori hanno allargato le maglie dei timoni dei giornali offrendo pagine e pagine alla storia. Un’abbondanza che nell’esigenza dei cronisti di diversificarsi ha in qualche caso prodotto roba esilarante. Come la domanda di un’inviata che ha chiesto, in piena notte, al prefetto Gabrielli il tipo di rumore prodotto dalla nave al momento del distacco dalla roccia del fondale.
Non mi pronuncio sul sufficiente o insufficiente. Non mi sento di dar voti, preferendo riferire un parere opinabile e anche perché so bene che nei media promozioni e bocciature dipendono da un’infinità di fattori non ultimi l’indice di ascolto e le copie vendute.
La Concordia non è stato l’episodio che nasce e muore nel giro di poco tempo; è stato un libro con tanti capitoli da scrivere. E questo ha inciso in particolare sulla coerenza della linea e non solo per colpa dei cronisti i quali hanno raccolto informazioni da fonti che spesso hanno riferito un particolare oggi per smentirlo nei fatti domani. L’esempio di eclatante è quello della ricerca degli ultimi due corpi sul relitto. Ossa uscite dalle cucine scambiate per ossa umane, il primo cadavere ritrovato che inizialmente era di un uomo, poi di una donna. Mai che si aspettasse l’esito del Dna prima di comunicare. Si può capire nella prima convulsa fase, quando nell’immediato non si è spesso percepita neanche la gravità dell’avvenimento. Ho racconti da redazioni che si sono mosse con grave ritardo non riuscendo a realizzare quel che veramente stava accadendo al Giglio. Si riesce a stento a digerire nel periodo della rincorsa all’intervista dei protagonisti che ha marcato uno dei momenti peggiori della storia con qualifiche di “eroi” sparite nel giro di poche ore, con sedicenti protagonisti da rigettare e che invece, senza tante verifiche, hanno ottenuto riflettori e visibilità per un giorno per eclissarsi nell’oblio il giorno successivo. Si deve accettare, ma molto a collo torto, l’andazzo per cui di fronte ad una telecamera (meno ad un taccuino) troppe figurine si mettono in posa e senza dire molto, in una sorta di joint-venture con l’intervistatore, finiscono nelle pagine nobili anziché nei cestini.
Non si può invece accettare che, a bocce ferme, finito il clamore, in troppi abbiamo dimenticato il dovere della verifica prendendo per oro colato ogni dichiarazione, anche la più estemporanea.
Parlare del capitolo del processo, tanto grande da paralizzare un pezzo del centro storico di Grosseto, è cosa che conviene rimandare alla conclusione del lungo iter evitando considerazioni su ciò che può apparire oggi una svolta o un colpo di scena e che magari non lo è domani. Diventerà questo un pezzo della storia da scrivere con serenità.
Sembra invece ormai archiviato il capitolo del cosiddetto parbuckling, ovvero del raddrizzamento della nave. Non una cosa è andata storta e, si sa, anche i cronisti sono uomini mai completamente distratti dal passaggio del carro del vincitore. Questa volta salirci era quasi doveroso oltre che scontato e quindi il pianale del trionfo è diventato una sorta di arca di Noè. Da un particolare posso solo immaginare cosa sarebbe accaduto se il risultato fosse stato diverso. Quando le operazioni, ovviamente condotte con ogni tipo di prudenza, sono andate avanti secondo una tabella temporale diversa da quella annunciata, molti cronisti si sono alzati per far rimarcare il ritardo. Erano soprattutto tedeschi. Ma loro – è risaputo — nella storia sono stati sempre precisi nei calcoli di qualunque tipo.
L’ultima fase è quella che stiamo vivendo da un po’ di tempo ma che è oggi di stringente attualità. Mi riferisco al trasferimento del relitto nel porto in cui dovrà essere smaltito. In questo caso non può sfuggire che il business è consistente e, peraltro in un periodo di vacche magre, il boccone fa gola a molti. La Regione, con l’alleanza di qualche ministro, si è battuta per Piombino nonostante che il nostro porto non avesse le strutture necessarie per accogliere la nave e malgrado fosse assai difficile finire in tempo utile quei lavori di adeguamento per i quali si sono sprecate le rassicurazioni. La politica in questo caso poteva garantire impegno ma mai dare certezze. Spesso però impegno e certezze sono state spacciate come sinonimi ed i media anziché riflettere, chiedere lumi, verificare scadenze frequentemente disattese, hanno accolto tutto come fosse Vangelo. Accantonato perfino il saggio metro del buon senso, più di un cronista è diventato tifoso. Non è accaduto solo a Piombino ma ovunque qualcuno ha avanzato la propria candidatura per lo smaltimento della Concordia. Per giustificare ma non assolvere direi che l’informazione è diventata cassa di risonanza per le rivendicazioni dei luoghi della propria diffusione. Ho contato in tempi diversi, distanti settimane gli stessi titoli del tipo “E’ fatta, la Concordia verrà a Piombino”. Di volta in volta questo e quell’autorevole personaggio è diventato favorevole o contrario a questa o quella destinazione. Pochi, in una situazione estremamente incerta – sia abbia il buon senso di confessarlo – hanno sentito il dover di usare un minimo di prudenza.
Per la cronaca anche il nostro giornale, che pure avrà commesso errori, ha fatto in cuor suo il tifo per Piombino (come potevamo non farlo!) ma, nei limiti del possibile e delle capacità di ciascuno, ha cercato di non illudere su un’impresa molto, molto difficile.
Oggi esce l’ipotesi Vanguard, il mostro in grado immergersi per prendere in collo la nave e portarla anche lontano. Molti già pensano che per Piombino sia davvero arrivata l’ora del tramonto. Quasi certamente sarà così ma ancora una volta vorremmo stare ai fatti e non farci trasportare dall’ennesima onda: registriamo che una località di destinazione, come dice anche la Costa, non è stata ancora scelta. E questo è un fatto.