Strumenti urbanistici: un mare infinito di sigle
All’inizio era il Prg, ovvero il Piano regolatore generale. Ne abbiamo sentito parlare per anni perché il Prg non è una scoperta recente. Secondo una definizione corrente il Piano regolatore è stato lo strumento che ha regolato l’attività edificatoria all’interno di un territorio comunale. Poteva essere quindi predisposto da un singolo Comune o anche da più Comuni confinanti o comunque limitrofi. In questo caso si parlava comunemente di Piano regolatore generale intercomunale.
Il padre del Piano regolatore è stato un provvedimento legislativo addirittura del 1865: Con esso si voleva regolamentare l’espansione edilizia urbana e disciplinare la crescita della città fuori delle mura, nel cosiddetto circondario esterno. Nacquero così, dal nome dei progettisti, il Piano Poggi a Firenze, il Piano Viviani a Roma, il Piano Beruto a Milano. Roba che però non interessò mai piccole comunità come quella della Val di Cornia.
Il vero Prg, come è stato conosciuto fino a qualche anno fa, è nato però da un legge del 1943 concepita per gestire l’incremento urbano e utilizzata a partire dagli anni settanta come riferimento per la pianificazione generale di un territorio. Quella vecchia normativa indicava pedissequamente i momenti di studio e di elaborazione tecnica di un Prg definendo nell’ambito di una stessa zona le norme di attuazione, i costi e i tempi.
In epoca più recente, con l’approvazione di altri provvedimenti (vedi decreto del 1968), i Prg si arricchirono di nuovi strumenti molti usati ed oggi ormai noti anche al grande pubblico: i Piani attuativi. Essi vennero concepiti per rendere più agile, più immediata e maggiormente definita la previsione dei Prg relativa ad una specifica zona. Così tutti abbiamo conosciuto la nutrita serie di sigle che hanno identificato i Piani attuativi: i Piani Particolareggiati, i Peep, cioè i Piani per l’edilizia economica e popolare, i Pip ovvero i Piani per gli insediamenti produttivi, i Pdr, cioè i Piani di recupero. Alcuni di iniziativa pubblica, altri di iniziativa mista o anche solo privata.
Siamo andati avanti così fino alla riforma del 1995 quando il legislatore ha coinvolto le Regione nella redazioni di piani comunali e intercomunali che tenessero conto di una più vasta esigenza territoriale.
Sono nati in questo modo il Piano strutturale, che ormai si conosce come il figlio più o meno legittimo del vecchio Prg, e, come conseguenti strumenti operativi, i Piani operativi e i Regolamenti urbanistici e edilizi.
Il Piano strutturale, a differenza del vecchio Prg, non è prescrittivo. Esso ha la caratteristica di strumento programmatico di indirizzo che definisce le indicazioni del governo del territorio. Con un esempio si può dire che esso non indica, come avveniva col Prg, dove si costruirà ma dove si potrà costruire al netto di impedimenti che su un’area possono gravare. In questo senso il Piano strutturale è concepito come raccordo tra gli indirizzi dei Ptc (Piani territoriali di coordinamento) a valenza provinciale e le scelte espresse dalle comunità locali. Non crea vincoli ma appunto li recepisce dai Ptc, dai Ppar (Piani paesistici ambientali regionali) e da analoghi strumenti di gestione. Al momento dell’adozione di un Psc (Piano strutturale comunale) se ne indica anche la valenza nel tempo.
Chiaramente l’avvento dei Piani strutturali è stato accompagnato dalla contemporanea introduzione di strumenti esecutivi. Sono nati così i Piani operativi che hanno invece caratteristiche prescrittive, nel senso che, facendo riferimento alle indicazioni dei Piani strutturali, definiscono tassativamente la strada da seguire negli interventi urbanistici definendo priorità, tempi di attuazione e risorse necessarie alle realizzazioni. Sono i Piani della giunta nel senso che hanno solitamente la stessa durata del mandato dei sindaci e degli esecutivi comunali.
Accanto ai Piani strutturali e ai Piani operativi (sigla Poc, cioè Piani operativi comunali) il legislatore ha previsto i Regolamenti urbanistici ed edilizi (sigla Rue). Sono la croce e (spesso) assai meno la delizia delle imprese di costruzione alle quale vengono dettate dai Rue le modalità per i nuovi interventi ed anche e soprattutto per quelli che riguardano il patrimonio edilizio storico, le trasformazioni in ambito rurale e comunque le diverse ristrutturazioni.
Negli articoli che abbiamo dedicato alla programmazione urbanistica e comunque agli interventi per garantire lo sviluppo del territorio si è incontrata (decreto che riconosce Piombino come area di crisi industriale complessa) la sigla Apq (cioè Accordo di programma quadro).
Per capire di cosa si tratta bisogna specificare che esso è uno strumento della cosiddetta Programmazione negoziata, definita da una legge del 1996 che al riguardo testualmente recita: “la programmazione negoziata è la regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e la parte o le parti pubbliche o private per l’attuazione di interventi diversi, riferiti ad un’unica finalità di sviluppo, che richiedono una valutazione complessiva delle attività di competenza”. In parole povere per Programmazione negoziata si intende una sorta di accordo che consente alle Regioni di concordare col Governo, settori e aree in cui effettuare interventi per lo sviluppo di un territorio regionale.
Tra gli strumenti per realizzare la Programmazione negoziata esiste appunto l’Accordo di programma Quadro con si definisce, per un determinato settore di intervento, le opere ed i finanziamenti, nonché le procedure per vigilare sull’attuazione degli investimenti che appunto si sono concordati in questa intesa istituzionale (sono di solito sottoscritti dalle Regioni, dal Ministero dell’economia e delle finanze, e dalle Amministrazioni centrali e locali competenti). Gli interventi previsti dagli Accordi di programma quadro sono finanziati con risorse di diversa natura: nazionali, regionali, comunitarie o anche private.
Accanto agli Accordi di programma quadro, la legge che definisce la Programmazione negoziata, prevede altri quattro strumenti operativi: l’Intesa istituzionale di programma (è un semplice accordo di collaborazione tra istituzioni senza particolari vincoli (Stato, Regioni ecc.), i Patti territoriali (Sono intese che nascono nell’ambito di uno specifico Accordo di programma quadro per ulteriormente favorire il perseguimento di obbiettivi definiti. Essi coinvolgono enti locali, parti sociali e soggetti interessati pubblici e privati), il Contratto di programma (è un contratto che lega lo Stato, le imprese e rappresentanti dei distretti industriali coinvolgendoli nel conseguimento degli scopi della Programmazione negoziata) e infine il Contratto di area (è un accordo attraverso il cui le parti sociali, le istituzioni e gli altri soggetti interessati perseguono l’obiettivo di aumentare l’occupazione in aree definite di crisi).