I tanti però e i tanti nulla del piano Aferpi
PIOMBINO 6 dicembre 2016 — Si può leggere sotto l’intervento svolto da Claudio Gentili a nome delle Associazioni Coordinamento Articolo 1 – Camping CIG; Lavoro, Salute, Dignità; Restiamo umani nel corso della riunione del Consiglio Comunale aperto di Piombino del 6 dicembre 2016.
“Anzitutto voglio precisare che questo mio intervento rispecchia le posizioni di tre associazioni della società civile: Coordinamento Articolo 1 – Camping CIG (di cui faccio parte); Lavoro, Salute, Dignità; Restiamo umani. A nome di tutte e tre le associazioni, rileviamo che quello a cui stiamo partecipando non è un Consiglio Comunale della Val di Cornia aperto, in cui tutti i partecipanti hanno pari dignità. Si tratta invece di una passerella organizzata dal solo Consiglio Comunale di Piombino, all’interno della quale il padrone di casa si prende il diritto di stabilire l’importanza dei vari interventi, concedendo graziosamente un tempo commisurato a questa importanza.
Facciamo nostra la proposta, già avanzata da altri, che l’istituto dei Consigli Comunali realmente aperti a tutti, da tenersi in locali adeguati per favorirne la partecipazione e con una pubblicizzazione ampia, da tenersi con una periodicità definita, venga inserito nei regolamenti comunali di tutti i Comuni della Val di Cornia.
La crisi acuta che ha colpito la Val di Cornia (e soprattutto quello che per tutto il secolo passato è stato il settore trainante dell’economia locale, la siderurgia) è conseguenza diretta della crisi mondiale e data dal 2008. A partire da quegli anni la Lucchini/Severstal ha deciso di liberarsi degli impianti piombinesi, non prima di avergli “tirato il collo” come si dice, spremendo al massimo quanto rimaneva. È di quegli anni l’acuirsi della crisi debitoria e la politica di rinviare i pagamenti ai fornitori, mandando sul lastrico decine di piccole imprese e costringendo agli ammortizzatori sociali e al licenziamento centinaia e poi migliaia di lavoratori dell’indotto. Colpevole è stato in quel momento il comportamento delle forze di governo locali e del sindacato, che hanno lasciato deteriorare la situazione sia della fabbrica che dell’indotto senza valutarne le conseguenze, senza farne oggetto di una vertenza unica che imponesse interventi governativi e ricercasse soluzioni adeguate. Solo con l’abbandono della multinazionale Severstal e la perdita di migliaia di posti di lavoro in un colpo solo ci si è resi conto della gravità della situazione e si è cercato di metterci una pezza. Ma come? Il Governo ha dato mandato ad un commissario straordinario di ricercare un compratore per la società ex-Lucchini a qualunque costo!
Non ha stabilito regole, non ha fissato paletti, se non quello dell’assorbimento del maggior numero di occupati (ma non quelli dell’indotto e non tutti in siderurgia!), non si è minimamente preoccupato di formulare un piano di indirizzo nazionale per la siderurgia, visto che la crisi riguardava ormai tutto il comparto, almeno quello primario. Lo stesso vale per le istituzioni di governo locale e regionale, alle quali sarebbe dovuto competere di realizzare una programmazione di indirizzo economico sul territorio: su quali settori puntare, dove indirizzare gli investimenti, quali infrastrutture realizzare per accompagnare lo sviluppo. Niente di tutto questo, aspettiamo il messia.
In queste condizioni ci siamo ritrovati a dipendere ancora una volta da capitale multinazionale: un Jindal interessato solo al pacchetto clienti, poi un Kaled al quale sono stati stesi tappeti rossi, sino al momento che il commissario Nardi (un tecnico, badate bene, non i politici o i sindacalisti) non ne ha dimostrato la natura truffaldina.
Da due anni, ormai, si è trovato il messia: ci si è voluti affidare ad un altro investitore estero, per il quale non sono bastati i tappeti rossi, ma si sono costruiti ponti d’oro (è il caso di dirlo!), fino a proclamarlo salvatore inviato dalla Provvidenza e personaggio dell’anno. Lui, il salvatore, da due anni si gode questo stato di grazia senza fare assolutamente niente, senza realizzare neanche una delle immaginifiche promesse del suo “Piano più bello d’Europa”.
Ci è voluto un suo rappresentante, il dottor Azzi, per dirvi che eravate stati creduloni, che un programma come quello presentato, con i tempi dichiarati, “nemmeno Mago Merlino”.
E quindi ecco il nuovo piano, questo sì razionale e serio! Però….. però i tempi saranno dilatati fino al 2022; però non verranno reimpiegati tutti i lavoratori; però non vogliamo vincoli ambientali e non vogliamo fare le bonifiche; però ci servono altri territori; però la strada per il porto non deve farci concorrenza; però (e questo è il però più grosso) il governo deve obbligare le banche a finanziarlo, perché lui i soldi non ce li vuole mettere, altrimenti diverrebbe “l’imperatore di Piombino” (parole del suo collaboratore, dottor Azzi). Tutto generosamente concesso, tranne l’ultimo che non si può fare; ma anche su questo terreno qualcosa si concede: certificati bianchi, finanziamenti a fondo perduto, riduzione dei costi dell’energia….
Nessuno dei governanti locali e dei sindacati si è mai opposto o ha provato a discutere su richieste come le concessioni portuali per 50 anni senza uno straccio di programma. Per farci che? Con quali prospettive? Con quali garanzie? O come la pretesa di non sottoporre alla Valutazione di Impatto Ambientale i nuovi impianti: Con quale diritto? Vogliamo ripetere gli errori del passato e lasciare libertà di inquinamento ad un imprenditore? O come la richiesta di concessione del quagliodromo: possibile che con tutto il territorio già disponibile non ci sia un’alternativa che salvaguardi un patrimonio naturalistico ed una parte di territorio importante per lo sviluppo del settore turistico/balneare? E comunque, è giusto che gli interessi di un imprenditore vadano a violare gli interessi di una intera comunità? Quest’ultima considerazione vale anche per il tracciato della 398: è possibile che la volontà del singolo si contrapponga agli interessi del porto e di una intera collettività?
Noi rifiutiamo questa logica e chiediamo con forza che le scelte vengano riconsiderate e si tenga conto degli interessi della Val di Cornia:
- Si riconsideri la scelta operata dalla Regione di non assoggettabilità alla VIA;
- No alla concessione del territorio definito quagliodromo;
- Il tracciato della 398 deve essere quello già stabilito da precedenti amministrazioni e che incontrava il favore della cittadinanza, in quanto rispettoso degli interessi della maggioranza.
- No alle concessioni portuali per tempi esagerati senza programmi verificabili e attuabili, non da Mago Merlino.
Per quanto riguarda il cosiddetto Piano Aferpi, noi consideriamo che esso ha completamente cambiato le condizioni per le quali i lavoratori furono chiamati al referendum ed accettarono tagli di salari e di diritti. Conseguentemente, si deve di nuovo aprire una trattativa con Aferpi, con gli obiettivi di
- Recuperare il salario ed i diritti persi, dato che l’entità del progetto non li giustifica più;
- Annullare la clausola oggi in vigore che permetterà ad Aferpi di avere mano libera su livelli produttivi ed occupazionali, su destinazioni d’uso e quant’altro a partire dal 1° luglio 2017.
Ci sono altri aspetti che riteniamo fondamentali nella discussione che dobbiamo sviluppare nel nostro territorio:
- Uno lo accennavo in un passaggio precedente: dobbiamo fare pressione su qualsiasi governo per la preparazione di un piano siderurgico nazionale nel quale vengano stabilite linee guida di politica siderurgica, alle quali i produttori possano e debbano adeguarsi;
- Altro aspetto determinante è la considerazione che le caratteristiche socioeconomiche della nostra zona sono mutate. Le nuove esigenze della produzione siderurgica e le tecniche di produzione non consentono più di pensare che l’impianto siderurgico sia l’unico elemento di sostegno economico del territorio. A fianco di un polo siderurgico di qualità, con tecnologie non inquinanti, affiancati a settori di sviluppo tecnologico da realizzarsi in sinergia con università e centri di ricerca, con processi di verticalizzazione da favorire, ma con una intensità di mano d’opera molto minore è necessario pensare ad altri settori complementari che diversifichino lo sviluppo: pensiamo prima di tutto alla valorizzazione del porto, da realizzarsi senza processi di monopolio; pensiamo al turismo balneare da mettere in sinergia con tutti i siti della costa, ma anche al turismo culturale, con la valorizzazione dei siti archeologici e lo sviluppo museale. Ma anche alla cantieristica da diporto. Pensiamo ad una agricoltura di qualità, alla valorizzazione delle vocazioni che stanno emergendo in maniera autonoma e senza il conforto di politiche di sostegno; pensiamo alla produzione vinicola ed olearia….
Fino ad oggi su questo terreno di una diversificazione dello sviluppo, a parte alcune dichiarazioni di principio, soprattutto in periodi di campagna elettorale, niente è stato fatto. Proponiamo che venga costituito un tavolo di discussione e concertazione, che veda la presenza, oltre che delle amministrazioni locali, dei sindacati, delle organizzazioni di categoria, delle associazioni civili, di singoli cittadini che lo vogliano, affinché ciascuno possa dire la sua per impegnare il governo del territorio ad attuare le scelte che il tavolo prenderà.
La discussione di oggi, come molte altre prima, in questa sede o altrove, ci sembra avere l’unico scopo di perpetuare quella che abbiamo definito la narrazione felice e il continuo rinvio. Già da tempo sentiamo dire, nelle riunioni e negli incontri privati, che dobbiamo aiutare Rebrab. A questo tipo di ragionamento ci coglie un attimo di perplessità: ma cosa dobbiamo dargli di più? Gli abbiamo regalato una fabbrica, il salario dei lavoratori, i loro diritti, tutto il territorio che voleva, tutto il tempo che voleva, ci genuflettiamo ad ogni suo capriccio, modifichiamo l’assetto del territorio secondo i suoi ordini, finanziamenti a fondo perduto, certificati bianchi, costo dell’energia ridotto, anche la festa a base di champagne: che altro dobbiamo fare?
Noi non ci stiamo! A meno che, nella replica, il dottor Azzi non tiri fuori un assegno che copre le spese per gli investimenti promessi, noi consideriamo purtroppo la vicenda Aferpi rovinosamente conclusa. Dopo due anni di promesse prendiamo atto che non solo il progetto presentato era da Mago Merlino, ma che tutta l’operazione della Cevital era costruita su basi inesistenti, sia sul piano industriale che su quello finanziario, con promesse che servivano solo ad abbagliare chi voleva essere abbagliato.
Invitiamo pertanto le amministrazioni e i sindacati a prendere atto da subito di questa realtà e a richiedere al governo di attivare una nuova procedura di amministrazione straordinaria, con l’obbligo di mantenere i livelli produttivi e di costruire subito il nuovo treno rotaie. Contemporaneamente si avviino i lavori di bonifica, nominando un commissario ad hoc, come sbocco occupazionale immediato per i lavoratori rimasti senza prospettive e senza ammortizzatori sociali; su questi ultimi il governo stabilisca già i termini della loro erogazione fino al ristabilimento delle condizioni occupazionali. Ripeto: il tempo delle narrazioni felici è finito; ora è tempo di lavorare tutti insieme per costruire un’alternativa di sviluppo credibile e realizzabile. Noi facciamo proposte, che possono anche essere sottoposte a critica; speriamo di non essere ripagati con promesse al bromuro e rinvii alle calende”.
Claudio Gentili