Terme di Suvereto, arrivata la concessione
SUVERETO 5 maggio 2017 — L’ultimo atto delle procedure burocratiche per le “Terme di Suvereto” è finalmente arrivato. Il 13 aprile 2017, con il decreto dirigenziale della Regionae Toscana n° 5249, è stata rilasciata la concessione mineraria per lo sfruttamento del giacimento delle acque termali in località Notri all’Azienda Agricola Gambassi Terme per i prossimi 25 anni.
Questa notizia mi riempe di gioia e di orgoglio, questa storia è durata anche troppo tempo visto che l’azienda ha iniziato il suo iter quasi dieci anni fa, ostacolata in tutti i modi, come ben sappiamo, dalla miopia di chi voleva avere il monopolio sulle terme e da una politica incapace di prendere le decisioni giuste per il proprio Comune, serva di strategie pianificate lontano da noi e che stava conducendo il Comune alla fusione per impedire il suo sviluppo. In campagna elettorale Assemblea Popolare lo diceva: solo se vinciamo noi le elezioni le Terme di Suvereto potranno superare tutti gli ostacoli. E così è stato: a tre anni dalla mia elezione abbiamo concluso questo faticoso iter che ha trovato resistenze in ogni ambito fino alla fine.
La variante al piano strutturale, copianificata con la Regione Toscana, che ha visto il nulla osta della stessa ribadendo che l’intervento riqualificherà l’area creando occupazione e turismo, e la relazione dell’Ufficio del Genio Civile, che dopo una complessa serie di ricerche ed approfondimenti in loco ha stabilito i paramentri di sfruttamento della risorsa meno invasivi per la falda, hanno portato a questo risultato, frutto della costanza e della determinazione di questa amministrazione che ha lavorato seriamente con gli uffici regionali ed i loro tecnici.
La quantità massima di acqua massima che potrà prelevare l’azienda per dimensionare l’impianto è notevole (40 litri al secondo di media, necessari e sufficienti per la realizzazione di un impianto moderno, efficiente e all’avanguardia in Europa) ma il pompaggio sarà diversificato nei mesi estivi e nei mesi invernali. Ci sono inoltre tutta una serie di indicazioni da parte del Genio Civile atti a salvaguardare la falda ma allo stesso tempo permettere la costruzione di un impianto che dovrà diventare il centro nevralgico del turismo termale della Val di Cornia e non solo, andando a realizzare quella destagionalizzazione del turismo da troppo tempo enunciata e mai concretamente realizzata.
Il punto nodale delle ricerche del Genio Civile era legato alla possibile interferenza tra la falda delle Terme di Suvereto e le Terme di Venturina, ma come si evince dalle conclusioni riportate nella lunga relazione stilata in questi anni, le due falde sono separate e pertanto viene escluso ogni possibile disagio alle attività di Venturia dal pompaggio dell’acqua a Notri. Di fatto le acque di Suvereto sono già certificate dal Ministero dell’ambiente come “acque termali” il che permetterà all’impianto di avere parti ludiche ma anche parti curative.
L’ambizioso progetto presentato in piazza a Suvereto dall’archietto e dall’imprenditore circa due anni fa, ricordiamolo, vede oltre 5mila metri quadrati di piscine termali di varia forma e dimensione (è previsto anche un “fiume lento”), 6mila metri quadrati di costruzioni a servizio dell’impianto (con spogliatoi, SPA, ristorante, zona convegni ecc..), una piscina sportiva semi-olimpionica che sarà convenzionata con il Comune per sviluppare tutto il settore sportivo nuoto e pallanuoto a Suvereto, voluta dall’amministrazione comunale e aggiunta al progetto in accordo con l’imprenditore, e oltre 15mila metri quadrati di parco con piante officinali e percorsi fitness per una vacanza all’insegna del benessere fisico e mentale, il tutto immersi nella campagna di Suvereto tra i vigneti più pregiati che abbiamo.
La concretezza ed il pragmatismo dell’amministrazione suveretana, a cui non si può che fare i complimenti per un ambizioso progetto di così ampia e lungimirante portata condotto in porto in tempi umanamente ammissibili, stona a dismisura con la devastante e speculare situazione della vicina Piombino. Leggo in giro tra i vari blog in rete, ma lo stesso argomento è sulla bocca di molti anche durante le annoiate “vasche” cittadine, quanto la voglia di trasformazione da realtà esclusivamente industriale a località anche, e ripeto ANCHE, a connotazione turistica stia guadagnando terreno tra la finora silente popolazione. Ancora troppo pochi i proseliti di tale utopistica “rivoluzione copernicana” dell’economia piombinese, vuoi perché in una città che ha respirato fumo fino a ieri, disintossicarsi è comprensibilmente un processo lungo e doloroso, vuoi perché pare di vivere in un clima tipo “taci, il nemico ti ascolta”. Per fare un semplice esempio: su un blog cittadino, nel periodo iniziale di occupazione della sala consiliare, un tale stava facendo presente quanto questa sempiterna pretesa di tanti che Piombino debba sempre e comunque rimanere città dell’acciaio nei secoli dei secoli, alla fin fine, soprattutto alla luce della non facile situazione del mercato attuale, giochi alla stregua di un’irragionevole diktat ai danni dell’intera cittadinanza. Con parole un po’ più colorite delle mie, questo tizio stava esternando la sua frustrazione e quella di svariati altri nei confronti di un’imposizione che, di fondo, viene vista come un sopruso ai danni di chi avrebbe voglia di diversificare. Come si fa a proporre altro se devo farlo tra lamiere arrugginite, montagne di rifiuti tossici ed evidente ostilità sociale? La risposta da parte di uno degli “occupanti” è stata: “vieni a dircele sul muso queste cose… ecc, ecc.” Ecco, appunto, verrebbe da dire, rimaniamo così allora. Manteniamo il divino altoforno lì dove si trova, a sempiterna memoria della fortuna ormai trascorsa, del fallimento dello Stato, dell’incapacità italica di evolversi ed adattarsi alle nuove esigenze del presente occhieggiando al futuro. Che poi, nel concreto, si può tradurre in: freghiamocene di quello che troveranno qui i nostri figli, non preoccupiamoci del fatto che non daremo loro alcuna base su cui lavorare (quanti anni crediamo che possa concretamente lavorare un forno elettrico — sempre che ne venga costruito uno — in un mercato così competitivo e di prossima saturazione?), rifiutiamoci di considerare seriamente delle alternative perché questo sappiamo fare e, seppure non sia più assolutamente così necessario come una volta, questo vogliamo fare fino alla morte! L’amministrazione, volente o nolente, pare ostaggio di questa concezione tolemaica della fabbrica: tutto ruota attorno all’onnipotente acciaio; perfino Baratti, perfino Calamoresca, perfino il più che lecito diritto di chi dall’acciaio ha ricevuto solo ed esclusivamente l’indimenticabile “spolverino” e malattie varie, di vedere la propria città proiettarsi concretamente, non solo a chiacchiere senza fondamento, verso un futuro sostenibile fatto di pulizia, di piste ciclabili che ci colleghino al mondo, di parchi veri (Monte Lupinaio avrebbe tutta l’acqua per proporne uno con un laghetto, ma è utopia), di lavoro che non sia per forza di cose legato alla fabbrica. Inutile ricordarvelo: Tolomeo, è dimostrato, aveva torto!