Tre pilastri che poggiano sul niente e reggono il nulla
PIOMBINO 23 luglio 2017 — Al di là dei contenuti della variante Aferpi e delle controdeduzioni alle osservazioni che il consiglio comunale di Piombino si appresta ad approvare (ma l’intera variante non sarà approvata prima di ottobre dato che il procedimento di Valutazione Ambientale Strategica non è ancora terminata) tutta l’operazione variante poggia su tre pilastri (si fa per dire) politici:
- la variante Aferpi toglie ogni alibi a Rebrab, il Comune e le istituzioni hanno fatto tutto ciò che si erano impegnati a fare, se i contenuti dell’accordo di programma non vanno in porto la responsabilità è di Rebrab, sua e soltanto sua;
- senza la variante non potrà essere rilasciato il decreto ex articolo 252 bis del decreto legislativo 152 del 2006 che, dopo l’accordo di programma firmato a giugno 2015, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell’Ambiente devono firmare per l’attuazione del progetto integrato di riqualificazione ambientale del sito di Piombino e per la sua reindustrializzazione;
- in forza dell’art. 252 bis, il piano industriale del gruppo Cevital/Aferpi, parte integrante dell’Accordo di programma sottoscritto il 30 giugno 2015, è riconosciuto di interesse pubblico e tutte le istituzioni che hanno sottoscritto detto accordo, compreso quindi il Comune di Piombino, sono impegnate a determinare e favorire le condizioni per consentirne l’attuazione.
Lasciamo perdere il primo che sa tanto di furbizia provinciale e vernacolare (roba da strapaese) con la quale si ha la presunzione di confrontarsi e risolvere problemi di ben altre dimensioni.
Il secondo probabilmente fa riferimento (anche se non lo dice esplicitamente, sai mai che i cittadini sappiano e capiscano troppo) ad una decisione di una conferenza dei servizi svoltasi il 6 settembre 2016 al Ministero dell’ambiente con la quale, al termine di una discussione sul progetto integrato degli interventi di messa in sicurezza operativa e reindustrializzazione trasmesso da Aferpi e riguardante solo la parte siderurgica, si chiede ad Aferpi documentazione aggiuntiva e si decide che «la conferenza di servizi sarà convocata nuovamente una volta che gli esisti dei sub-procedimenti inerente alla variante urbanistica (da parte del comune di Piombino) ed alla verifica di assoggettabilità e valutazione ambientale (da parte della Rgione Toscana) e ad altri aspetti, oggetto di specifiche Conferenze di Servizi in sede locale, saranno acquisiti dalla presente Conferenza di Servizi». E si aggiunge: «Il Ministero dell’ ambiente e il Ministero dello sviluppo economico si impegnano sin da ora a garantire l’emanazione del decreto congiunto di competenza per l’approvazione del progetto integrato – 1ª fase nei minimi tempi tecnici una volta acquisito il parere favorevole della Conferenza di Servizi».
Dunque, riepilogando, si parla solo, 1ª fase vuol dire questo, del progetto siderurgico di Aferpi quello che riguarda un forno elettrico ed un laminatoio per la produzione delle rotaie.
Non certo del complesso previsto dall’accordo di programma (né logistica, né agroindustriale, né secondo forno elettrico) e nemmeno della bonifica del sito industriale di Piombino che, fatta eccezione per qualche decina di hot spot che saranno recintati per impedire l’accesso alle persone e piantumati, lo stesso Ministero dell’ambiente al termine dell’esame dell’analisi di rischio presentata da Aferpi ha giudicato tale da non dover essere bonificato (aree non contaminate, ha detto il Ministero, pari a 415 ettari, proprio quelle di Aferpi in proprietà o in concessione demaniale).
E già questo parla di una variante sproporzionata nei contenuti rispetto a ciò che si vuole permettere di realizzare.
Per non parlare del fatto che tutti i contenuti di quell’accordo di programma ormai sono più che superati così come sta scritto chiaramente nell’addendum recentemente siglato tra Aferpi e commissario straordinario della ex Lucchini che richiama «l’impegno di Cevital/Aferpi, a individuare, entro il 31 ottobre 2017, una partnership per la parte siderurgica del Progetto Piombino o a presentare, nello stesso termine, un piano industriale con evidenza delle fonti di finanziamento certe». A parte il fatto che ad oggi sembra proprio che si tratti di parole portate dal vento rimane il fatto che il piano previsto nell’accordo del giugno 2015 non c’è più e dunque qualunque decreto attuativo (quello cui si riferisce la conferenza di servizi) dei due ministeri si fonderebbe sull’inesistente. Sempre possibile, di questi tempi e visti i molti precedenti, ma così è.
Ed infine il terzo pilastro. Non è vero, si dice, che si tratti di una variante ad personam quanto piuttosto di una variante in ossequio agli interessi generali di cui il Comune deve essere portatore; è lo stesso articolo 252 bis del decreto legislativo 152 del 2006 che lo dice quando stabilisce che «la stipula dell’accordo di programma (nel nostro caso quello del 30 giugno 2015 su cui la variante si fonda, ndr) costituisce riconoscimento dell’interesse pubblico generale alla realizzazione degli impianti, delle opere e di ogni altro intervento connesso e funzionale agli obiettivi di risanamento e di sviluppo economico produttivo e dichiarazione e dichiarazione di pubblica utilità».
Il problema è che quell’accordo di programma di fatto non esiste più perché superato dalla realtà. Basta leggerlo: tempi completamente saltati, impegni industriali completamente disattesi, impegni ambientali del tutto irrealizzati. Se si vuole la conferma si rileggano di nuovo i contenuti dell’addendum recentemente siglato tra Aferpi e commissario straordinario della ex Lucchini e si capirà che è tutto in alto mare.
E dunque di quale interesse generale si parla?
La realtà è che si vuole approvare una variante che consegna una porzione enorme di territorio ad un imprenditore senza nessuna certezza della realizzabilità (oggi si potrebbe dire meglio che la percentuale di incertezza è molto molto superiore alla percentuale di certezza) e dunque si priva questo territorio della libertà di programmare il suo futuro. Se poi si sommano variante e concessioni demaniali diventa assai difficile sostenere il contrario.
Dunque i tre pilastri sono assai deboli. E lo sono perché ancora una volta fondati su desideri, accettazione di ipotesi, importazione di volontà altrui senza che il Comune e le altre istituzioni abbiano fatto il minimo sforzo di verificare e magari di formulare ipotesi, programmi, progetti diversi.
È la storia ripetuta degli ultimi anni, ma su di essa non si ha il coraggio di riflettere.