Trecento milioni in meno nei prossimi tre anni
PIOMBINO 5 settembre 2015 - Un operaio in cassa integrazione della Lucchini ha oggi una busta paga che mediamente oscilla tra gli 800 e i 900 euro. Non lo diciamo solo noi, lo ha rivelato una fonte diretta, l’operaio Paolo Francini il quale ha reso noto l’importo della sua prima busta da cassa integrato. In questa situazione si trovano oggi circa mille lavoratori (anche i numeri sono ballerini come abbiamo cercato di chiarire nel nostro articolo dal titolo “Tempi troppo lunghi ed occupazione incerta”). Giova a poco dire che tutto ciò era prevedibile e previsto. Ormai questa è oggi la realtà e con essa dobbiamo fare i conti.
La situazione, peraltro, non è molto migliore per chi invece è passato alla nuova società Aferpi e per ora è in solidarietà. Più o meno altri mille lavoratori.
Non conviene neanche parlare dell’indotto dove moltissimi operai (un altro migliaio?) versano in condizioni davvero critiche, per lo più privi di tutele e nella incertezza totale per il loro futuro.
Stop ai contributi integrativi della Regione
Di più. Il 30 luglio scorso la Regione Toscana ha sospeso l’avviso pubblico per l’integrazione del reddito dei lavoratori in solidarietà e ha disposto che saranno erogate le somme ad integrazione solo per le domande inviate fino al 5 agosto 2015. Il motivo è scontato e drammatico allo stesso tempo: fondi esauriti a fronte del rilevante numero di richieste. Per la cronaca l’integrazione dal primo gennaio 2014 oscillava, a seconda dei casi, dal minimo del 7,5 al massimo del 45 per cento del trattamento perso.
In questo contesto non ha speranza di venire accolta l’ultima proposta che Rifondazione comunista ha rivolto alla Regione perché metta a disposizione dei cassintegrati la quota di contributi che risparmierà rispetto allo scorso anno. Nel 2014 infatti il contributo aggiuntivo del 15 per cento veniva spalmato sui 2200 lavoratori della ex Lucchini in solidarietà al 60 per cento ; quest’anno lo stesso contributo verrebbe spalmato solo sui 1080 passati ad Aferpi ed anche loro in solidarietà al 60 per cento.
La stessa Regione, secondo quanto ha recentemente reso noto Gianfranco Simoncini, consigliere del presidente Rossi per i problemi del lavoro, sbloccherà a breve un milione e 435 mila euro destinati ai lavoratori ex Lucchini e Arcelormittal in solidarietà nel 2014. Si tratta di una trance dei contributi che la stessa Regione si era impegnata a versare (15 per cento del salario mensile perso per ogni lavoratore durante lo scorso anno) ma a cui non ha fatto ancora fronte. Indubbiamente, per le famiglie degli operai, un incasso di arretrati che rappresenta una bella boccata di ossigeno e che dovrà essere gestito con oculatezza perché, se non cambia qualcosa, non si ripeterà nel corso nell’immediato futuro.
Il disimpegno a far data dal 5 agosto, annunciato dalla Regione crea un handicap ulteriore per affrontare una situazione delicatissima nella quale una popolazione (più o meno pari a quella del Comune di San Vincenzo) è di fatto costretta a vivere con entrate mensili praticamente dimezzate.
Per quanto tempo in questa situazione?
Che durata potrà avere una simile recessione? La domanda non trova risposte certe. Quasi sicuramente non un anno e cioè entro il 6 novembre 2016 come indicato nell’accordo per la cassa integrazione firmato il 9 giugno scorso. Ma verosimilmente alcuni anni. Per ora si registrano solo i poco edificanti ritardi sulla tabella di marcia di Aferpi. Una situazione che è stata denunciata solo pochi giorni fa anche dalle organizzazioni sindacali. In più dominano gravi incertezze sulla durata degli ammortizzatori sociali riferita ai tempi necessari per concludere le opere e riavviare i processi produttivi.
Anche ipotizzando prudentemente soltanto tre anni di stagnazione la perdita secca per un famiglia che finora ha campato di acciaio si aggirerebbe intorno ai 30–32 mila euro all’anno. Ovvero circa 300 milioni di euro che verrebbero a mancare nell’economia della Val di Cornia da oggi alla fine del 2018 inizio 2019. Le conseguenze non sfuggono. I consumi, in una simile situazione, rischiano di contrarsi in maniera drastica investendo tutto il comparto del commercio e dell’artigianato con la conseguenza di una estensione della crisi dell’acciaio all’occupazione in tutti gli altri settori.
Con 800 euro al mese si campa male
Del resto una famiglia media con 800‑1000 euro stenta parecchio ad arrivare in fondo al mese. Si consideri che la stragrande maggioranza dei nuclei familiari che traggono sussistenza dall’acciaio, sconta il rateo di qualche mutuo e/o è gravata dall’affitto dell’appartamento in cui vive. Non si esagera se si dice che il 50–60 per cento delle famiglie, proprio per questi fardelli, si trova ulteriormente dimezzata una busta paga già falcidiata dalla precarietà dell’occupazione e dal ricorso ai sussidi degli ammortizzatori sociali.
Ma non ci sono solo mutui e affitto. Ad essi si aggiungono altre spese che è praticamente impossibile tagliare. Cittadinanzattiva ha recentemente indicato che il costo dell’acqua relativo ad una famiglia media arriva, nel territorio gestito da Asa, a 552 euro all’anno per una famiglia media di tre persone con un consumo di 192 metri. Difficile tagliare le spese per il gas e la corrente elettrica. Ebbene i dati Istat per i consumi energetici indicano una spesa media annua per famiglia di 1.635 euro. Con una banale descrizione di poche righe siamo già giunti alla conclusione che un cassintegrato Lucchini, gravato di un affitto o di un mutuo, ha già esaurito quasi cinque mesi dei propri introiti annuali solo per pagare le bollette di acqua, luce e gas. Non osiamo parlare di auto. Uno studio dell’Osservatorio nazionale federconsumatori ha calcolato un costo complessivo per il mantenimento di un’automobile di media cilindrata (dato riferito al 2012) pari a 4.628 euro. Un somma che pare eccessiva anche a noi ma che ci assicurano non lontana dalla realtà. Neanche da considerare le spese per le telecomunicazioni (Internet e telefoni), il canone tv, le spese condominiali e le tasse (Tari, Tasi, Redditi), le uscite per lo studio dei figli.
Morale, conti alla mano, i nostri operai non hanno i soldi per mangiare. Almeno per il momento, le risposte alle richieste ed alle giuste rivendicazioni si configurano appena come cure palliative e neanche immediate.
Gli aiutini del Comune
Recentemente il Comune ha licenziato una nota dove si tenta di fornire qualche risposta e, più esattamente, il sindaco Massimo Giuliani rimanda eventuali soluzioni alla convocazione di “un consiglio comunale tematico, aperto ai cittadini e al quale siano invitati gli altri sindaci dei comuni della Val di Cornia “.
Per il resto solo indicazioni abbastanza sommarie. Per esempio esiste solo nella prospettiva della firma di un protocollo di intesa, la possibilità che le banche adottino misure utili a favorire i lavoratori attraverso il blocco dei mutui per chi ha perso il lavoro o è finito in cassa integrazione.
Risulta poi abbastanza esiguo il fondo sociale (600 mila euro con la possibilità di arrivare a 800 mila) assegnato ai distretti dell’Ato per il pagamento delle bollette dell’acqua. Finora sono state accolte le domande di appena 23 famiglie.
Non c’è da stare allegri neanche per i contributi ad integrazione dei canoni di affitto: 334 mila euro nel 2014 dei quali 98 mila dal Comune ed il resto dalla Regione che per ora ha solo assicurato di versare la propria parte, lasciando tutti in attesa. E chi non paga i canoni mensili rischia lo sfratto, un provvedimento estremo per evitare il quale il Comune ha anticipato 7 mila euro di fondi non ancora arrivati dallo Stato e che ha aggiunto ai 43 mila euro provenienti dalla Regione. Poca roba se si considera che purtroppo gli sfratti sono in aumento e che oggettivamente, su questo fronte, le possibilità dei Comuni sono limitate. Non così sul versante della tasse il cui aumento nell’ultimo periodo è stato vissuto come una stonatura. Il sindaco al riguardo ha comunque riferito che il Comune “sta valutando la possibilità di stabilire un programma di riduzione di Tari e Tasi per i lavoratori in mobilità e i cassaintegrati”.
La conclusione non può purtroppo indurre all’ottimismo: appare chiaro che ci attendono anni di rinunce a cui non eravamo più abituati e di affannosa ricerca di rimedi per risalire la china.