Troppi buchi nella rete dell’urbanistica toscana
PIOMBINO 18 ottobre – Questa mattina si è svolta la riunione della IV commissione consiliare del Comune di Piombino per una prima discussione della Variante al Piano Strutturale d’Area e al Regolamento Urbanistico per l’attuazione del piano industriale Aferpi. Il Comune di Piombino ha già annunciato che non esiste «nessun contrasto tra il piano industriale Aferpi e i piani urbanistici di competenza provinciale e regionale (PTC e PIT)» e dunque si può procedere spediti all’adozione della Variante. In realtà, al di là della pomposa retorica usata dal Partito democratico che individua nella variante «la straordinaria occasione per il territorio della Val di Cornia di dotarsi di un nuovo modello di sviluppo» vale la pena di verificare, alla luce di questa decisione, alcuni temi chiave per la pianificazione territoriale come la sostanza e la forza degli strumenti urbanistici comunali, provinciali e regionali, il rapporto tra decisioni pubbliche e volontà private, la dimensione territoriale di riferimento.
Forza e debolezza degli strumenti urbanistici
Il Comune di Piombino è convinto che vi sia una “sostanziale coerenza” della variante urbanistica per l’attuazione del piano industriale Aferpi con la strategia di sviluppo territoriale delineata dal Piano Strutturale d’Area della Val di Cornia e la pianificazione territoriale di livello regionale (Piano d’indirizzo territoriale/Piano Paesaggistico Regionale – PIT/PPR) e provinciale (Piano Territoriale di Coordinamento – PTC).
Una prima verifica si è potuta svolgere nella conferenza dei servizi dell’ 8 agosto 2016 dove è stato accertato che «la variante proposta …risulta essere coerente con gli obiettivi prestazionali, gli indirizzi e le prescrizioni del PTC vigente”. Inoltre nella stessa sede gli uffici regionali hanno confermato che la verifica di adeguamento della variante allo stesso PIT/PPR verrà effettuata “assicurando il corretto bilanciamento degli interessi pubblici coinvolti».
Gli unici elementi di criticità più significativi, rispetto alla pianificazione regionale, per il Comune «risiedono principalmente negli smarginamenti del nuovo assetto industriale a vocazione siderurgica verso aree ancora oggi per lo più intatte e caratterizzate da un assetto ancora assimilabile a quel morfotipo riconosciuto dal PIT a matrice “agroecosistemicadi pianura”». Il quagliodromo insomma e niente più.
Niente da dire sul fatto che compaiono nella variante lo smantellamento degli impianti esistenti, la previsione di nuovi settori produttivi e di servizio (agroindustriale, logistica, artigianale, commerciale) vicino alla città e la stessa previsione di un tracciato della SS 398 che costeggia il quartiere Cotone-Poggetto e l’area di Città Futura per attestarsi poi sulla viabilità urbana in corrispondenza dell’intersezione tra via Pisa e via di Porto Vecchio.
Previsioni ben diverse da quanto approvato nell’aprile 2009 con la Variante al Piano Regolatore Generale (PRG) vigente e al Piano Strutturale d’Area per la portualità, il distretto della nautica, il riassetto delle aree industriali e delle infrastrutture connesse (la cosiddetta variante del minimill e del parco rottame) poi immesse nel Regolamento Urbanistico del 2012.
Con quella variante il tracciato della SS 398 veniva confermato in aderenza alla ferrovia (come previsto dal PRG degli anni 90), mentre si prevedeva un pesante avvicinamento degli impianti industriali alle abitazioni e ai servizi, compresi quelli previsti nelle aree comunali di Città Futura sulle quali il Comune, negli stessi anni, stava spendendo milioni di euro in studi e progettazioni per riqualificazioni ambientali e interventi mai realizzati, anche se finanziati da fondi europei. Una scelta in netto contrasto non solo con tutte le scelte di pianificazione operate dal Comune nei decenni precedenti, compreso il Piano Strutturale approvato nel 2007, ma con il più elementare buon senso e con la buona amministrazione. Una scelta insensata che non verrà cancellata neppure nel 2012 con il nuovo Regolamento Urbanistico, nonostante fosse ormai certo che il minimill non sarebbe mai stato realizzato.
La variante del 2009 ovviamente fu approvata sia dalla Provincia che dalla Regione, che sembrano oggi condividere l’ennesima variante al Regolamento Urbanistico e al Piano Strutturale che sul rapporto città fabbrica afferma cose a dir poco contraddittorie. Da un lato esalta i mutamenti epocali e ambientalmente benefici dovuti alla chiusura di tutta l’area a caldo del vecchio stabilimento (veri), dall’altro conferma l’ambito produttivo del 2009 che avvicinava la fabbrica alla città (anche se con funzioni artigianali e commerciali) e prevede addirittura la possibilità di realizzare una nuova industria (agroalimentare) di 47 ettari in aderenza al quartiere “Cotone”. In quelle aree i piani precedenti (tutti) prevedevano solo il mantenimento degli impianti industriali esistenti, in attesa della loro dismissione in quanto troppo vicini alla città. Senza considerare che tra le finestre degli edifici del Cotone e la nuova industria agroalimentare dovrebbe transitare ora anche la SS 398 e il traffico di transito per il porto. Dunque contraddizioni tra il 2009 e gli anni precedenti, tra il 2009 e il 2016 ed anche all’interno del 2016.
Vedremo alla fine del percorso cosa succederà ma le premesse non sono confortanti.
Ci è già consentito, comunque, di dire che se è possibile che previsioni urbanistiche contraddittorie tra sé siano giudicate coerenti anche da strumenti di pianificazione e provinciale e regionale vuol dire evidentemente che quegli strumenti sono poco significativi. Tanto generici da non individuare contraddizioni così evidenti certamente di livello non esclusivamente comunale come il percorso di una strada statale ed il rapporto tra città e grande industria.
Pare che nemmeno il Piano d’Indirizzo Territoriale/Piano Paesaggistico Regionale del 2015 aiuti a eliminare quelle contraddizioni così come il Piano Territoriale di Coordinamento provinciale approvato nel marzo 2009. E non saranno certamente valutazioni di impatto ambientale future o altro ancora a sciogliere i nodi non sciolti dall’urbanistica.
È questo il problema su cui va a sbattere la capacità di incidenza vera sui processi territoriali del livello regionale e provinciale di pianificazione. E questo spiega tanti problemi del territorio non solo toscano.
Due piani industriali privati, due varianti pubbliche
C’è però un continuità tra quelle contraddittorie previsioni. È costituita dal fatto che all’origine delle due varianti stanno due piani industriali proposti da privati ed accettati pedissequamente dalle istituzioni pubbliche. Nell’un caso il piano di reindustrializzazione Lucchini (quello che prevedeva il minimi ed il nuovo parco rottame) e nell’altro il piano industriale Aferpi. Ma non sono casi singoli, pur di dimensioni rilevanti; si potrebbe aggiungere, ad esempio, la recente variante per la residenza turistico alberghiera di Poggio all’ Agnello che viene trasformata in edilizia residenziale civile per una porzione non insignificante.
Si tratta dell’accettazione delle proposte provenienti dal privato sic et simpliciter ed anzi dell’attribuzione al privato, come si fa nella variante Aferpi, di compiti di pianificazione che sono tutti del pubblico. Di nuovo in contraddizione con ciò che la stessa Regione Toscana ha scritto nel 2014 nell’ articolo 128 della nuova legge regionale che detta norme sul governo del territorio. Un articolo dedicato alla promozione della riqualificazione urbanistica di aree industriali dismesse o parzialmente dismesse per la quale vengono promossi accordi di pianificazione ed anche le iniziative necessarie al reperimento delle risorse finanziarie. Ma nessuno, né Comune, né Provincia, né Regione si sono ricordati.
Pianificazione intercomunale declamata e realmente praticata
Ma vi è un altro problema. O meglio, un’altra continuità.
Quella di cui parliamo è una variante sia al Piano Strutturale d’ Area sia al Regolamento Urbanistico del Comune di Piombino. L’uno del 2007, l’altro del 2014. Tra l’uno e l’altro sono state approvate molte e rilevanti varianti anticipatrici, così le hanno chiamate: quella sulla portualità, il distretto della nautica, il riassetto delle aree industriali e delle infrastrutture connesse era una di quelle.
I Comuni della Val di Cornia hanno deciso un anno fa di dare avvio ad una nuova fase di pianificazione coordinata con l’obbiettivo di arrivare ad un nuovo piano strutturale intercomunale.
Nel frattempo tutti i Comuni stanno approvando varianti anticipatrici, senza un benché minimo riferimento nemmeno a preliminari linee di pianificazione discusse e condivise. Per la variante Aferpi si è parlato di una riunione dell’ufficio del piano, non si sa bene se politico o tecnico o ambedue, “per condividerne gli obiettivi strategici per il futuro sviluppo economico della Val di Cornia”. Un po’ poco.
La realtà è che si arriverà, se si arriverà, al piano intercomunale avendo già fatto tutte le scelte singolarmente senza nessuna coerenza ed al massimo quel piano sarà un collage di decisioni già prese e strumenti già approvati, anzi elaborati ed approvati nel modo che si sta seguendo per la variante Aferpi con tutte le sue contraddizioni.
Conclusioni
Che dire, in conclusione, se non che ci sono troppi buchi nel governo del territorio toscano e che le vicende della Val di Cornia ne sono una dimostrazione evidente?
Che dire se non che il governo del territorio è sempre meno espressione di una visione e di un progetto pubblico di lungo periodo, come si addice appunto alla pianificazione, e sempre più una mera e acritica trascrizione nei piani pubblici di istanze di privati, spesso neppure verificate e per questo destinate all’assoluta inconcludenza come è capitato nelle recenti vicende urbanistiche di Piombino?
Che dire se non che questo modo di procedere rende la pianificazione pubblica (sempre più dispersa in un intreccio perverso di piani, valutazioni e procedimenti amministrativi che coinvolgono una pletora infinita di enti e uffici della pubblica amministrazione) un insopportabile, costoso e inutile intralcio burocratico, da bypassare o svilire a meri procedimenti di ratifica ogni qual volta le esigenze della politica lo impongono?
Che dire se non che si tratta di fenomeni degenerativi che dovrebbero indurre a riflessioni sull’efficacia delle politiche per il governo del territorio, anche in Toscana, dato che da un lato si pone il problema dello snellimento del procedimento per la formazione dei piani, dall’altro quello di garantire che rispondano sempre all’interesse generale e non ad istanze di parte, molto spesso incoerenti e contraddittorie con altri interessi e esigenze dei territori?