Tutto fermo ma il manovratore non va disturbato
PIOMBINO 11 ottobre 2016 — Siamo preoccupati. Dopo due anni non si hanno ancora certezze sul futuro della fabbrica. Non si vede l’inizio di alcunché: né bonifiche, né demolizioni, né nuovo forno elettrico, né agroalimentare. Niente di niente. Due anni fa c’era molto ottimismo. Poco più di un anno addietro fu presentato un piano industriale che raccolse il consenso di molti. Adesso Aferpi ne ha presentato uno che rivede totalmente tutti i progetti, dimezza la produzione e preannuncia centinaia di esuberi. Non più due ma un solo forno elettrico. Il perché è stato ammesso chiaramente: il primo piano industriale non era credibile. Molti tecnici lo dissero fin da subito e furono collocati nell’ormai nutrita schiera dei “gufi”. Purtroppo, ora emerge che i “gufi” avevano ragione e che chi faceva promesse non era attendibile. Se poi analizziamo le notizie di queste ultime settimane non c’è di che rallegrarsi. Il gruppo Cevital ha problemi finanziari, acuiti dal deteriorarsi dei rapporti dell’imprenditore Rebrab con il governo algerino. Sembra manchi la liquidità per acquistare l’acciaio necessario a mandare avanti l’attività dei laminatoi. Con il nuovo piano industriale si allungano i tempi di ripartenza della produzione sino al 2020 o forse 2022, rischiando di far saltare i livelli occupazionali previsti e di vanificare i sacrifici richiesti ai lavoratori con un accordo capestro. In questo momento la situazione ha dell’assurdo dato che Aferpi compra il semilavorato da Jindal, il colosso industriale che era stato a suo tempo concorrente nell’acquisto dell’ex Lucchini, e non lo può neppure comprare direttamente da Jindal, data la mancanza di liquidità, ma lo deve fare tramite un intermediario, il trader internazionale Steel Mont GmbH, che gli garantisce credito, con notevoli costi aggiuntivi. Per non parlare del capitolo bonifiche: sono ormai due anni e mezzo che è stato spento l’altoforno e non è stata iniziata alcuna attività di bonifica. Soprattutto è grave che i lavoratori piombinesi non siano stati avviati a corsi di formazione per le demolizioni, attività non banali che richiedono conoscenze e destrezza. E ci chiediamo: quando, come e quanto verranno reimpiegati i lavoratori piombinesi? E ancora: che ne è del progetto agroindustriale? La sensazione è che brancolino nel buio, Rebrab, il governo centrale, quello regionale e l’amministrazione locale. Si succedono riunioni continue, da cui non sorte mai niente che si concretizzi. È di queste ore la notizia che Aferpi abbia chiesto un rinvio della riunione prevista per il 26 settembre al Mise. Perché? Come non sospettare che non sappiano cosa fare? Pochi giorni fa la quarta commissione del Consiglio comunale di Piombino ha ospitato i vertici di Aferpi per avere notizie sul futuro della fabbrica e, purtroppo, abbiamo dovuto apprezzare che anche la dirigenza dell’azienda ha sposato la filosofia del “non disturbate il manovratore”. Il dott. Azzi ha riferito che, quando vanno a trattare dei finanziamenti, le banche dimostrano perplessità, menzionando i dubbi sul piano industriale che in molti palesano anche attraverso articoli della stampa locale e non. In pratica il dirigente di Aferpi ci ha detto che dobbiamo smetterla di dimostrarci preoccupati perché altrimenti incriniamo la fiducia che devono infondere nei finanziatori. Ma vi pare possibile? Stiamo parlando di un colosso dell’economia internazionale e ci vogliono far credere che se le banche non gli danno soldi è colpa di chi, dopo anni di promosse non mantenute, dimostra preoccupazione. Quando il sottoscritto ha detto che sarebbe necessario riacquisire autorevolezza al tavolo di riunione dei grandi produttori di acciaio italiani e ricominciare ad avere un ruolo nel mercato dell’acciaio e che per questo sarebbe necessario l’aiuto del governo, Azzi ha risposto che ritiene di non aver bisogno di relazioni con la federazione dei grandi produttori, perché fuori dal quel consesso Aferpi è più libera di agire, avendo grandi prospettive e potenzialità. Speriamo tutti che sia così per il bene della città, ma, purtroppo, i fatti dicono ben altro. Per questo restiamo convinti che serva un progetto serio, pilotato dal governo, o magari un sistema misto d’impresa, tramite l’acquisizione di quote azionarie da parte del governo e della stessa Regione Toscana, a garanzia del futuro del polo piombinese ma anche di parte delle politiche industriali nazionali”
*Fabrizio Callaioli è Capogruppo consiliare di Rifondazione Comunista a Piombino