Una legge regionale per lo sviluppo sostenibile
La proposta di revisione della legge sul governo del territorio della Regione Toscana è stata presentata all’Anci e, come era prevedibile, è iniziata una discussione accesa. Anche perchè la legge è stata presentata come uno strumento per mettere fine alle “villette a schiera nel verde” e agli “ecomostri”.
Ma per bloccare questi “scempi”, che pur si sono verificati anche in Toscana pur se in misura molto inferiore al resto del paese, bastava solo una gestione un po’ più attenta dell’attuale legge. In primo luogo da parte della Regione che aveva tutti gli strumenti per una efficace attività di controllo e quindi da parte dei Comuni che qualche volta si sono lasciati guidare dalla necessità di fare cassetta con gli oneri di urbanizzazione. Ma ben vengano i correttivi se danno una mano in più.
Iniziamo dall’approccio generale. La prima modifica che colpisce è il passaggio dallo sviluppo sostenibile alla difesa del patrimonio territoriale. Può essere accettabile ma con due “attenzioni”: la prima è che la Toscana non può allontanare da sé, quasi fosse una “vergogna” da nascondere, la spinta verso uno sviluppo sostenibile. Sarebbe un danno cruciale per i toscani e quindi, alla lunga, anche per il paesaggio toscano. La seconda è l’accezione che si dà al concetto di patrimonio. Che non deve essere statico. Una sorta di “lascito” solo da preservare . Ma deve essere un concetto dinamico. Legato all’azione e alla vita dei toscani. Cioè legato, trasformato e qualificato nel tempo dal “fare” dei cittadini, delle imprese e delle Istituzioni. Il paesaggio non può essere solo tutela e conservazione, a meno di non pensare alla Toscana come perenne “cartolina” per turisti di passaggio.
Veniamo quindi al grande tema, dibattuto da più parti anche con molta superficialità, del consumo di suolo e dei limiti, più forti, che vengono previsti dalla legge. Anche su questo punto non si può che essere d’accordo. Molti comuni toscani, peraltro, stanno redigendo nuovi piani a consumo di suolo zero. E puntano quasi esclusivamente all’uso del suolo urbanizzato (fra cui non si capisce perchè non ci debbano essere anche i borghi rurali, almeno di non volerli “imbalsamare” in un “luogo finto” fuori dalla storia!) e alla qualificazione delle aree urbanizzate e degli edifici esistenti. Ma questa azione di riutilizzo e di riqualificazione, che non appare particolarmente dinamica né in Toscana né nel resto del paese, andrebbe favorita e incentivata e non resa difficile dal punto di vista normativo, amministrativo e anche finanziario.
Cioè se si parte dall’idea che le città, anche le città toscane che pur sono molto più equilibrate di molte realtà nazionali, devono essere trasformate, rese più vivibili, energeticamente e ambientalmente più sostenibili e, in fondo, anche più belle, bisogna che la legge dia più “spazio” alla progettazione di qualità e all’innovazione. Qualità e innovazione che stridono con le procedure burocratiche asfissianti, con la scarsità di incentivi in grado di rendere equilibrata in termini finanziari la progettazione e con la rigidità degli indici urbanistici che non sono mai stati, ed oggi ancora meno, garanzia di buona pianificazione e di efficace realizzazione. Forse accanto ad un maggior controllo dell’uso del suolo “green” ci vorrebbe un di più di liberalizzazione nella trasformazione e riqualificazione dei luoghi già urbanizzati.
E infine il problema della governance. La discussione su questo punto sarebbe, e sarà, lunga e articolata su vari aspetti. Quello che si può dire, da una prima lettura delle proposta di revisione, è che c’è un eccesso di fiducia nella centralizzazione verso la Regione, sia nella sua accezione politico-istituzionale che in quella tecnica, ed invece una sottovalutazione del ruolo e dell’importanza della sussidiarietà orizzontale (il mondo privato) e verticale (le autonomie locali). Si tratta sicuramente di un eccesso che trova fondamento in alcuni errori e criticità che si sono evidenziate nel passato (anche in quello lontano, a volte mitizzato) sia nei rapporti fra pubblico e privato, sia nei rapporti fra centro e periferia. Ma pensiamo che le criticità non siano superabili con le semplificazioni. E la centralizzazione regionale ci appare, in un mondo sempre più complesso e articolato, più una semplificazione ideologica che una buona base di partenza per la realizzazione di una riforma del governo del territorio in Toscana. Ma il problema non è tanto costituzionale quanto politico. In una regione, come la Toscana, i comuni difficilmente diventeranno “uffici della Regione”. E quindi occorre pensare ad un modello dove il centro e le realtà istituzionali locali svolgono, ognuno per le proprie competenze ma con eguale responsabilità, un’azione congiunta per uno sviluppo sostenibile e per la tutela, la promozione e la valorizzazione del paesaggio.
Non mi capita mai di fare commenti sui blog che leggo, ma in questo caso faccio un’eccezione, perche’ il blog merita davvero e voglio scriverlo a chiare lettere.