Una lista civica per “un’altra Piombino”
PIOMBINO 15 febbraio 2014 — È stata presentata a Piombino una nuova lista civica di sinistra per le prossime elezioni comunali. È costituita da un gruppo eterogeneo di persone che provengono da formazioni diverse, che non condividono il modo attualmente imperante di fare politicama che nella politica credono. Pregiudizialmente non chiudono a nessuno, né a movimenti né a forze politiche. Cinzia Bartalini e Marina Riccucci sono le portavoce del gruppo promotore. A loro abbiamo rivolto alcune domande.
Perché avete intrapreso questa iniziativa per far nascere una nuova lista civica?
Questa è una lista civica di sinistra nata per spontanea aggregazione di persone che hanno voluto incontrarsi e che hanno deciso di lavorare insieme partendo da un manifesto programmatico: quello che pone al centro l’eticità della politica.
Crediamo che Piombino possa essere altra, cioè diversa da quella che è oggi. Altra nel senso di vissuta, conosciuta e amministrata attraverso una politica diversa.
Tenuto conto che la Piombino che si prepara alle elezioni amministrative vive il dramma delle questioni occupazionali, ha un territorio che reclama cure e manutenzione, vanta un patrimonio ambientale che urla la propria difesa, soffre di una crisi sociale che nasce dalla crisi del sistema produttivo sul quale fino a oggi ha impostato la propria economia, ci riconosciamo nei dieci punti che costituiscono la campagna Miseria ladra di Don Ciotti.
Qual’è il significato di un’ altra Piombino?
Non siamo qui a dirvi che vogliamo lavoro — salute — ambiente, perché questo lo dicono tutti, tutti lo sbandierano.
Certo che li vogliamo, con tutte le nostre forze.
Ma li vogliamo in nome della sola politica che si incardina sui principi e sui valori che consideriamo ed eleggiamo come irrinunciabili: quelli della legalità, della moralità, della tutela della salute e dell’ambiente, del rispetto dell’individuo, di ogni diversità, di ogni idea.
Questa politica ha un suo statuto e una sua identità costituzionalmente sanciti: si chiama democrazia partecipata.
La democrazia partecipata è prima di tutto tre cose: apertura, confronto e progetto.
Apertura verso tutte quelle persone che lavorano su piccoli e grandi temi, specifici e generali, che spesso non hanno incarichi pubblici e che troppo spesso non hanno voce, ma che hanno un’idea chiara e precisa delle soluzioni da adottare e un’esperienza che non può che essere ricchezza.
Confronto perché confronteremo le idee a cui abbiamo dato ascolto con le informazioni che avremo raccolto dai cosiddetti ‘esperti’, che convocheremo e che incaricheremo di fornirci studi mirati su questioni specifiche che ci riguardano. Il confronto produrrà un’analisi oggettiva, tecnica e documentata.
Progetto perchèl figlio della democrazia partecipata è il progetto per il futuro, il progetto che fa futuro. Dall’analisi arriveremo alla formulazione di piani di lavoro e di intervento. Sceglieremo quelli che ci offrono le garanzie maggiori tenendo conto delle istanze espresse dal percorso partecipato. Siamo agli antipodi della politica dell’esclusione.
Ma siamo anche agli antipodi della politica dell’emergenza: quella che ha come pratica ordinaria i provvedimenti tampone, che hanno effetti di breve durata e nessun fondamento di prospettiva. Le soluzioni che nascono da un progetto condiviso in modo trasparente hanno la prospettiva futura di bene pubblico, le soluzioni che nascono da un’esigenza di emergenza, o peggio per creare solo consenso, non costruiscono un futuro per la città ma lo distruggono.
Spesso questi provvedimenti sono legati a interessi privati meramente speculativi che a tutto mirano fuorché al bene pubblico. Siamo contro la politica che ha connivenze con questo tipo di interessi. Siamo favorevoli all’impresa privata, vogliamo che passi questo messaggio.
Quali sono più specificamente le vostre idee fondamentali per Piombino?
Chi arriva a Piombino incontra cartelli con la scritta Piombino non deve chiudere.
Questa frase è un appello accorato, è la voce di una sofferenza, è la parola della povertà che attanaglia. In questa frase si condensano una storia, un pregresso, ma anche una prospettiva.
Piombino ha da sempre una vocazione industriale, eminentemente industriale. Piombino come fabbrica, Piombino che vive sotto la minaccia incombente della fabbrica che chiude. Oggi la situazione è gravissima: Piombino è caso nazionale, lo sappiamo bene. Come sappiamo bene che questa fabbrica, così com’è, non ha futuro. È una verità da cui nessuno può prescindere. Un tempo di intervento che non possiamo più rimandare. Questa è la realtà. La fabbrica si salva se si riconverte e riconvertire significa due cose: ambientalizzazione, preferibilmente con impianti nuovi lontani dalla città, poi, probabilmente, innovazione con forno elettrico e corex. Rimane la questione delle bonifiche che è una condizione ineludibile. Ma per tutto questo abbiamo bisogno di studi competenti, di vederli e di valutarli. Paradossalmente, oggi, si preferisce paventare lo spettro della chiusura piuttosto che investire su tutto questo. Diciamo basta.
Poi bisogna fare un’altra cosa. Puntare sulla diversificazione. Piombino si salva se si diversifica. E non c’è diversificazione senza una politica ambientale rigorosa che ponga al suo centro il territorio. Piombino è, oltre che fabbrica, anche territorio e questo territorio costituisce una risorsa, forte, reale, su cui investire.
Faremo nostro il programma che va sotto la dicitura ‘stop al consumo del territorio’. Perché le politiche ambientali portano ricchezza e a Piombino una politica ambientale non è mai stata fatta. Ovvio che non ci limiteremo a operazioni minimali e di facciata, ma faremo della tutela e della valorizzazione del territorio uno dei perni delle scelte di governo. Siamo tornati indietro sulle politiche sovracomunali, sui i parchi c’è stata una involuzione rispetto alla missione originale, per il turismo ci fermiamo solo al periodo estivo. Lavoreremo su tutto questo. Stessa cosa per i rifiuti: pensiamo a quelle città virtuose che di fronte alla questione della gestione dei rifiuti hanno agito in modo concreto (Capannori in prima fila qui in Toscana). Hanno sostituito la parola emergenza con la parola gestione.
Siamo convinti che riconversione e diversificazione sono la via della salvezza: perché tutelano i posti di lavoro e perché ne offrono di altri in altri settori. Solo così Piombino non chiuderà.
Solo così Piombino tornerà a essere una città che non produce più povertà. Povertà di reddito e povertà culturale atterrano questa città. Qui oggi si registra un altissimo tasso di abbandono scolastico (pari a quello della media nazionale). La povertà minorile produce povertà culturale, cioè analfabetismo e sudditanza silente e muta. Produce disoccupati, precari, malati, solitudini, sofferenza, morte della speranza, ostruzionismi a oltranza, sudditi e non cittadini. Noi vogliamo invertire questo e lo faremo, lavoreremo nelle scuole e con le scuole, lavoreremo nei quartieri e con i quartieri. Contrasteremo l’abbandono scolastico e la cosiddetta fuga dei cervelli, faremo le politiche di inclusione, accoglieremo culture diverse facendole nostre.
La povertà fa menomazione anche della nostra lingua: ci obbliga a usare frasi fatte, a ripetere espressioni stereotipate, a utilizzare sempre le stesse parole. Sostituiamo ‘emergenza’ con ‘questione’: nella seconda parola sono contenute le volontà di capire per agire; sostituiamo ‘paura’ con ‘curiosità’, ‘allarme’ con ‘osservazione’ e ‘aspettativa’.
Non dimentichiamo mai che più il linguaggio si fa povero, più le mafie di diverso ordine e grado prendono il potere. La ricchezza dell’espressione è come lo sguardo strabico, di Don Ciotti, lo sguardo che osserva il vicino ma che non perde di vista l’orizzonte allargato.