Una missione nella parrocchia difficile
Il loro vaccino era ed è anche oggi l’Africa delle missioni, la dura realtà del Congo, la lotta quotidiana per sopravvivere con l’essenziale e spesso neanche con quello. Chi parlò loro del Cotone spese parole dure: “Una parrocchia difficile dove i preti non vanno volentieri, anzi non vogliono proprio andare”. Era il 1986 e quella fu la parrocchia scelta da padre Carlo e dalla missionaria Emma. Ci tengono a precisarlo: non cercavano una parrocchia, volevano solo un luogo adatto per portare avanti la loro opera, per continuare a lavorare dall’Italia per le missioni preparando chi fosse disposto a partire animato dallo spirito della più autentica solidarietà cristiana. Una presenza religiosa forte in una zona dove ancora oggi chi ti indica con dovizia di particolare la strada per arrivare alla chiesa precisa – è capitato a noi – che comunque non ti accompagnerà.
Non lo ammetteranno mai ma Carlo e Emma non hanno incontrato difficoltà africane ma di certo hanno dovuto affrontare più di un ostacolo nella nuova comunità dove il confine tra la fabbrica e la casa non è mai netto, dove lo spolverino nero per anni è riuscito a coprire tutto ma non la fierezza e la determinata volontà di gente abituata al sacrificio. Carlo parla di “umanità sana”. E sta proprio in questa oggettiva valutazione il segreto di Pulcinella di un incontro che non poteva non esserci. Un anno appena e la presenza della parrocchia del Cotone nel quartiere divenne una realtà, per pochi anche un punto di riferimento.
Non solo l’opera missionaria per le missioni lontane del terzo mondo ma anche un’attività instancabile di partecipazione e di presenza nel quartiere, tra i bisogni e le necessità quotidiane degli abitanti al di là delle convinzioni e delle fedi. Emma, con una bella espressione, li ha definiti “le difficoltà della vita”.
E nelle “difficoltà della vita” la minuscola parrocchia del quartiere difficile non è mai mancata. In una borgata operaia è quasi sempre il lavoro, l’opera pratica, il desiderio di costruire qualcosa, che alla fine cementa convinzioni idealmente lontane e abbatte ogni possibile rifiuto sociale. Non c’è mai stato – dice Carlo – che spesso è diventato non il prete ma un operaio tra gli altri per lavori anche intorno alla chiesa.
L’esperienza estiva dei campi di lavoro è stata essenziale in questa direzione. Uno strumento aperto soprattutto ai giovani che ha definitivamente spianato strade importanti. Oggi ormai la parrocchia, aperta per la formazione verso le missioni lontane, esercita di fatto una normale missione evangelica e di solidarietà anche e soprattutto nella realtà in cui è riuscita ad inserirsi a pieno titolo. Non c’è iniziativa in cui i due religiosi missionari non siano riusciti a partecipare. “Mai da protagonisti ma sempre insieme”. Ci tengono a puntualizzarlo. Il concetto tipicamente missionario di non imporre ma di esserci ha improntato e sta tuttora caratterizzando l’attività della parrocchia che disdegna primogeniture pur offrendo la propria piena collaborazione a tante iniziative sociali.
E la vita di oggi richiama soprattutto alla solidarietà pratica. La volontà di rimboccarsi le maniche è alimentata dal bisogno. “Siamo – dicono Carlo ed Emma – al cinquanta e cinquanta”. Ovvero il 50 per cento di chi ci chiede aiuto viene dal sud del mondo, l’altro cinquanta per cento arriva dal territorio”. Una condizione nuova nella quale a bussare alla porta non sono ormai più solo coloro che Carlo chiama “gli amici di strada”. Anche qui il dramma delle nuove povertà si rivela in tutta la sua drammatica e crescente consistenza. Ed anche qui si fa, con il cuore, con la dedizione e con l’intelligenza, quel che si può fare. Sì anche con l’intelligenza perché non basta dare. Anche nella difficoltà c’è soprattutto da capire, da scegliere e da investire. Niente di nuovo rispetto all’antichissimo concetto del pesce da offrire nel bisogno ma anche dalla canna da pesca da porgere per vincere il bisogno. Anche perché – Carlo ne è convinto – il futuro nella zona non si presenta roseo. Questo prete che ha intensamente vissuto tra lo spolverino della fabbrica, confessa a bassa voce che per “questo tipo di realtà industriale non c’è futuro. La fabbrica che è stata una ricchezza potrebbe diventare addirittura un peso per la città”.
Ovviamente non è compito di una parrocchia, per quanto attiva e partecipe, dare risposta a tanto grandi problemi. Ma un pensiero il prete del Cotone si sente di esprimerlo: “Bisogna stimolare e rilanciare l’iniziativa privata, incoraggiare i giovani a impegnarsi in ciò in cui credono, affiancarli e seguirli senza volerli precedere”.
(foto di Pino Bertelli)
Carlo ed Emma due belle persone !
Loro sono la chiesa di DIO .… ma poi ci sono le gererchie ecclesiali che auspicano il trionfo dell’agenda Monti. Questo no dimentichiamolo.